Ignorati per mesi dai media occidentali, i massacri delle brigate islamiste hanno fatto la loro comparsa anche sui media pro-ribelli. Essi denunciano esecuzioni sommarie, l’istituzione di tribunali islamici e massacri di sciiti. Tutti però sarebbero giustificati dall’odio contro Assad. Ad al-Qusair e Aleppo la popolazione accoglie l’esercito regolare.Damasco (AsiaNews) – Esecuzioni sommarie, condanne per blasfemia e la cacciata di cristiani e sciiti dalle loro abitazioni. Sono alcuni degli atti compiuti dai tribunali del “Califfato dell’Iraq e del Levante”, nome con cui al-Nousra e altre brigate ribelli islamiste hanno rinominato i territori siriani sotto il loro dominio.
In diversi quartieri di Aleppo, nelle città di al-Bab, Idlib e in altri villaggi controllati dai guerriglieri islamisti legati ad al-Qaeda vige già da un anno la sharia. Le corti islamiche hanno un’organizzazione capillare, non sono improvvisate. Le loro sentenze sono quotidiane e colpiscono in modo indiscriminato sunniti, cristiani, alawiti, sciiti e tutti coloro che non si conformano alle regole dell’islam wahabita. Lo scorso 6 giugno nel quartiere popolare di Chaar, situato nella parte di Aleppo in mano alle brigate al-Nousra, un bambino di 14 anni è stato giustiziato perché avrebbe offeso il profeta. Il 12 giugno le brigate Sadeq al-Amin hanno assaltato il villaggio a maggioranza sciita di Hatlah, nella provincia di Deir Ezzor. Un video diffuso su Youtube dagli stessi islamisti, quasi tutti stranieri dal marcato accento nord- africano, mostra i guerriglieri di ritorno dalla missione mentre espongono i corpi degli uccisi. Essi li deridono definendoli “cani fedeli ad Assad” e dichiarano di voler uccidere tutti coloro che si contrappongono all’avanzata dell’islam. Lo scorso 13 giugno la popolazione di al-Bab (Aleppo) ha trovato nella locale moschea il corpo di un uomo con fori di proiettile alla testa e al collo. Secondo i residenti, la vittima era stata arrestata diversi mesi fa dalle milizie islamiste per un caso di furto e condannato a morte dal tribunale shariatico del villaggio.
A diffondere i report dei massacri è proprio l’Osservatorio siriano per i diritti umani, organizzazione creata dai ribelli in esilio, a cui si deve la maggioranza delle informazioni sul conflitto siriano e la denuncia delle violenze compiute dal regime. Per quasi due anni l’Sohr ha riferito solo i casi di violenza compiuti dal regime contro i ribelli. I principali organi di informazione mondiali – con in testa Bbc, al-Jazeera e al-Arabya – hanno utilizzato come unica fonte le notizie riportate dall’organizzazione. In questi mesi diversi esperti e gli stessi siriani intervistati da AsiaNews hanno accusato i media occidentali e del Golfo di produrre informazioni “parziali”. I recenti articoli mostrano un atteggiamento più imparziale. Tuttavia, per evitare di perdere consensi fra le milizie ribelli, l’Sohr continua a prendere le difese anche degli estremisti islamici. Nel caso di al-Bab, l’autore dell’articolo ci tiene a precisare che il villaggio si era schierato con il regime e ospitava nelle proprie abitazioni diversi contingenti armati. Il redattore dell’Sohr va a ripescare antiche divisioni sostenendo che “ai tempi di Hafez al-Assad, padre dell’attuale presidente, la popolazione locale avrebbe compiuto massacri contro i sunniti”, giustificando in parte il massacro.
In un’intervista rilasciata ad AsiaNews lo scorso 28 maggio, Gregorio III Laham, patriarca cattolico di Antiochia, sosteneva che “il futuro della Siria non si può costruire attraverso la distruzione. Con la guerra non ci sono vincitori”. Negli ultimi mesi di conflitto, il finanziamento indiscriminato della ribellione e il continuo ingresso di guerriglieri stranieri ha paradossalmente ridato nuova forza al regime, invece di smorzare il suo potere, dando un pretesto alle milizie sciite di Hezbollah per fare la loro chiamata alla guerra contro il nemico sunnita. La stessa popolazione siriana, compresi molti musulmani schierati contro il regime, hanno iniziato a denunciare la presenza dei guerriglieri stranieri nelle loro terre e li considerano dei terroristi. Ciò sta accadendo ad Al-Qusair, fra le prime città ad aderire alla ribellione contro Assad e per mesi roccaforte della ribellione, dove la popolazione ha denunciato la distruzione mirata di chiese e moschee perché considerati non in linea con l’islam radicale. Una situazione simile si vive anche ad Aleppo dove in diversi quartieri la gente ha accolto l’arrivo dell’esercito regolare.
Già nel novembre 2012, il quotidiano turco Hurryiet puntava il dito sull’estrema divisione dell’esercito ribelle siriano, avvertendo l’occidente sui rischi di un loro sostegno armato, avallato nei giorni scorsi dal presidente degli Stati Uniti Barak Obama e dai governi di Francia e Gran Bretagna. A tutt’oggi le milizie riconosciute sono circa 30, per un totale di oltre 100mila guerriglieri. Di queste solo tre fanno dichiaratamente parte del Free Syriam Army, il principale interlocutore della comunità internazionale. Le altre 27 sono legate ad Al-Qaeda o rispondono ad altri movimenti ideologici islamisti o politici.
Fonti di AsiaNews, spiegano “che il fine dei questi gruppi, non è solo la liberazione della Siria da Assad, ma diffondere con le armi l’islam radicale in tutto il Medio Oriente e conquistare Gerusalemme”. Molti guerriglieri non parlano nemmeno l’arabo. Altri sono partiti da villaggi del Pakistan, Afghanistan, Somalia, Indonesia senza conoscere l’esatta ubicazione della Siria. Alcuni abitanti di un villaggio nei pressi di Aleppo hanno riferito che diversi guerriglieri, soprattutto i più giovani, sono stati reclutati con la falsa promessa di andare a liberare Gerusalemme”. (S.C.)
Commenti