Così si esprimono la Regola e le Nostre Costituzioni.
Alberto, per grazia di Dio chiamato patriarca della Chiesa di Gerusalemme, ai diletti figli in Cristo Brocardo e agli altri eremiti che sotto la sua obbedienza dimorano sul monte Carmelo, presso la Fonte di Elia, salute nel Signore e benedizione dello Spirito Santo. (Regola primitiva, n.1)
Le origini dell’Ordine, il titolo della “Beata Vergine Maria del Monte Carmelo” e le antiche tradizioni spirituali dimostrano l’indole mariana e biblica della vocazione carmelitana. […] Guardando ai venerabili Padri antichi, specialmente al profeta Elia, quale suo ispiratore, l’Ordine prende più viva coscienza della sua vocazione contemplativa, tutta protesa all’ascolto della Parola di Dio, alla ricerca del supremo tesoro, della perla preziosa del suo Regno, in grande solitudine e nel totale distacco dal mondo. (Costituzioni, n. 2)
Papa Giovanni Paolo II nel Discorso del 29 settembre 1989 ai Carmelitani ha detto:
“L’eredità dell’Ordine è legata alla prima chiamata di quegli eremiti che, nel Monte Carmelo, si davano alla contemplazione e alla solitudine; essa ricorda come l’Ordine si è messo al servizio della Chiesa e del Vangelo; ha testimoniato attraverso i secoli i valori della vita religiosa, imitando il profeta Elia, e Maria, splendore e madre del Carmelo, ascoltatrice attenta della Parola di Dio, solidale con il Popolo dell’Alleanza e con la sofferenza degli oppressi di ogni genere.
La profezia del carisma dell’ordine si rifà ad Elia, appassionato assertore della presenza viva di Dio nella Storia e negli eventi. I Carmelitani, gli unici nell’Occidente che celebrano la festa e il messaggio di Elia, sono chiamati ad essere profeti e testimoni nella “notte oscura” dello Spirito che la nostra società sta vivendo. L’esempio zelante di Elia deve risvegliare in tutta la Famiglia carmelitana uno sguardo vigile di fede profonda, sulla situazione attuale dell’uomo e sulle minacce che ne avvelenano l’ambiente e le radici stesse della vita: il suo rapporto con Dio, il senso della vita, del lavoro, della giustizia e della oppressione, della dignità autentica di ogni vivente.
La sfida poi rivolta all’Ordine del Carmelo nel suo viaggio verso l’anno Duemila è la stessa che è di fronte a tutta la Chiesa: di offrire al mondo secolarizzato il volto di Cristo come fonte di speranza e di dignità. È una sfida di fede che lancia tutta la Chiesa verso un futuro sconosciuto, ma certamente pieno di potenzialità e ottimismo per il Regno di Dio. Il Carmelo deve portare il proprio contributo, camminando in compagnia di ogni uomo e donna, verso le sfide che, in dimensioni ormai cosmiche, l’umanità si trova ad affrontare”.
Anche Santa Teresa di Gesù e San Giovanni della Croce hanno custodito e rivalorizzato l’esperienza originaria del grande profeta: “Tutte siamo chiamate all’orazione e alla contemplazione, perché questa è stata la nostra origine, questa è la schiatta da cui proveniamo, di quei nostri santi Padri del monte Carmelo che nella più aspra solitudine e nel totale disprezzo del mondo cercavano questo tesoro, questa perla preziosa di cui parliamo”… (Teresa di Gesù, Castello interiore, V 1,2,) “Il sibilo delle aure amorose…” Proprio perché questo sibilo significa l’intelligenza sostanziale, alcuni teologi pensano che il nostro padre Elia, mentre era sul monte, abbia veduto Dio in quel sibilo di aura soave che egli sentì presso l’apertura della sua caverna. (Giovanni della Croce, Cantico Spirituale B, 13.14). Anche Santa Teresa Benedetta della Croce ha amato molto il profeta Elia. Commentando un passo della Regola carmelitana ella scrive: “Meditare nella legge del Signore” può essere una forma di preghiera quando assumiamo la preghiera nel suo ampio senso abituale. Ma noi pensiamo al “vigilare nella preghiera” come all’inabissarci in Dio, come è proprio della contemplazione, allora la meditazione ne è solo una via”. Vegliando in preghiera, esprime lo stesso che Elia disse con le parole: ‘Stare davanti al Volto del Signore”…La preghiera è guardare in alto al Volto dell’Eterno. Lo possiamo solo quando lo Spirito veglia nelle ultime profondità, sciolti da ogni attività e godimento terreno, che lo attutiscono. Essere vigilanti con il corpo non garantisce quest’essere vigilanti e la quiete, desiderata secondo la natura, non lo impedisce”. “Non abbiamo il Salvatore solo nelle narrazioni dei testimoni sulla sua vita. Egli è presente a noi nel Santissimo Sacramento, e le ore di adorazione dinanzi al Massimo Bene, l’ascolto della voce del Dio eucaristico sono: “meditare la Legge del Signore” e “vigilare nella preghiera” nel contempo.” “Elia ritornerà come testimone della rivelazione segreta, quando si avvicinerà la fine del mondo, nella lotta contro l’Anticristo per patire la morte dei martiri per il suo Signore”.
La vicenda di Elia possiamo leggerla nel Primo Libro dei Re.
Elia (il cui nome significa «il mio Dio è Jahvè») nacque verso la fine del X sec. a.C. e svolse gran parte della sua missione sotto il regno del pavido Acab (873-854), docile strumento nelle mani dell’intrigante moglie Jezabel, di origine fenicia, che aveva dapprima favorito e poi imposto il culto del dio Baal. Quando ormai il monoteismo pareva soffocato e la maggioranza del popolo aveva abbracciato l’idolatria, Elia si presentò dinanzi al re Acab ad annunciargli, come castigo, tre anni di siccità. “Per la vita di Jahvè, Dio d’Israele, alla cui presenza io sto: in questi anni non ci sarà né rugiada, né pioggia, fino a quando io lo dirò” (I Re, 17,1 ss). Perseguitato per questo da Acab, Elia, sempre per volere di Dio, rimase nascosto presso il torrente Cherit, nel folto verdeggiante e nelle grotte che si trovavano sul pendio, mentre i corvi gli portavano da mangiare. Egli beveva al torrente, che presto però si prosciugò; seguendo sempre la voce del Signore Elia cercò rifugio a Sarepta, a sud di Sidone, recandosi da una vedova, per avere un po’ di cibo. Così questa donna, che praticava la grande virtù orientale dell’ospitalità, gli offrì il poco cibo che le rimaneva, vedendo con gioia la moltiplicazione della farina e dell’olio nella giara; vide anche con stupore che il suo unico figlioletto morto, era ritornato in vita per la preghiera di intercessione del profeta. Elia trascorse a Sarepta tre lunghi anni, quando Dio stesso gli si rivolse ancora, per mandarlo ad Acab e far cessare la tremenda siccità. Egli ritornò dal re e per dimostrare la inanità degli idoli lanciò la sfida sul monte Carmelo contro i 400 profeti di Baal. Quando sul solo altare innalzato da Elia si accese prodigiosamente la fiamma, e l’acqua invocata scese a porre fine alla siccità, il popolo esultante linciò i sacerdoti idolatri. Elia credette giunto il momento del trionfo di Jahvè, e perciò tanto più amara e incomprensibile gli apparve la necessità di sottrarsi con la fuga all’ira della furente Jezabel. Braccato nel deserto come un animale da preda, l’energico e intransigente profeta sembrò avere un attimo di cedimento allo sconforto. Il suo lavoro, la sua stessa vita gli apparvero inutili e pregò Dio di recidere il filo che lo teneva ancora legato alla terra. Si addormentò sotto un ginepro; un angelo lo confortò, porgendogli una focaccia e una brocca d’acqua. Elia riuscì, così, a riprendere forza e si rimise in cammino, per tornare all’Oreb, alle sorgenti della pura fede, per riprendere l’antica fiducia. Dopo aver attraversato per quaranta giorni e quaranta notti il deserto, il profeta si rifugiò in una caverna, sulla cima del monte. Probabilmente pensava, come Mosè, di incontrarsi con Dio. Ma Dio non gli si mostrò né nel vento forte, né nella tempesta, né nel fuoco, con tutti i suoi fenomeni impressionanti, bensì nel mormorio di un vento leggero. Elia si coprì il volto col mantello, uscì e si fermò all’ingresso della caverna. Ed ecco udì una voce che gli disse: “Che fai qui, Elia?”. Egli rispose: “Sono pieno di zelo, per il Signore Dio degli eserciti…” Il fiero profeta, che indossava un mantello di pelle sopra un rozzo grembiule stretto ai fianchi, come otto secoli dopo vestì il precursore di Cristo, Giovanni Battista, di cui è la prefigurazione, tornò con rinnovato zelo in mezzo al popolo di Dio, ma non assistette al pieno trionfo di Jahvè. L’opera di riedificazione spirituale, tanto faticosamente iniziata, venne portata avanti con pieno successo dal suo discepolo Eliseo, al quale comunicò la divina chiamata mentre si trovava nei campi dietro l’aratro, gettandogli sulle spalle il suo mantello. Eliseo fu anche l’unico testimone della misteriosa fine di Elia, avvenuta verso l’ 850 a. C., su un carro di fuoco. Elia era partito da Galgala per Betel e poi per Gerico con Eliseo, che presago della sua fine, volle seguirlo, nonostante le sue insistenze di rimanere solo. Sulle rive del Giordano le acque, percosse dal mantello di Elia, si aprirono. Egli si decise finalmente a riconoscere che stava per essere rapito in cielo e chiese ad Eliseo che cosa dovesse fare per lui. “Due terzi del tuo spirito diventino miei” disse Eliseo (2 Re, 2,7ss). I due terzi, nella mentalità ebraica, rappresentavano la parte di eredità spettante al primogenito. Eliseo voleva essere riconosciuto quale primogenito del profeta Elia. Al che Elia rispose: “Se mi vedrai, ciò ti sarà concesso”. Eliseo, in una specie di estasi profetica, vide apparire un carro e dei cavalli di fuoco e l’improvviso elevarsi di Elia nel turbine. Il discepolo si strappò le vesti e raccolse il mantello di Elia: non capì che il profeta in una grande estasi, era salito al cielo. In un momento di grande confusione politica e religiosa della storia di Israele, Elia rappresenta un sicuro punto di riferimento. È colui che restaura l’alleanza con Dio contro il culto dilagante di Baal; è il profeta che manifesta l’intervento strepitoso di Dio sul Carmelo. Egli appare nella Sacra Scrittura come l’uomo che cammina sempre alla presenza del suo Creatore e combatte, infiammato di zelo, contro l’ingiustizia e la sopraffazione, per il culto dell’unico vero Dio: prima il fuoco che brucia il sacrificio, poi l’acqua, la nuvoletta, “come una mano d’uomo” che sale dal mare e porta la pioggia a dirotto. Nella tradizione biblica (Siracide 48, 1) Elia è il profeta simile al fuoco, nel libro dei Re è anche colui che incontra Dio nel silenzio e nella preghiera (1Re 19, 11-14). In questo profeta dalla linea ferrea, appare un senso di umanità e di povertà quando è colto dallo scoraggiamento, quando crolla dentro, quando ha paura di morire ed è stanco e depresso (“non sono migliore dei miei padri”). Il grande eroe per trovare veramente Dio dovrà percorrere un lungo cammino di prova, una forte crisi che lo renderà più umile, meno sicuro di sé: egli dovrà nascondersi per dare a Dio il suo vero posto. Egli verrà ricondotto al silenzio, ad ascoltare una Parola che gli viene dall’Alto, e questa Parola serena e seria lo condurrà a fare una nuova esperienza di Dio. Se prima Elia si era mostrato come l’eroe che combatte per Dio, da questo momento, egli ritraendosi nel deserto, si immedesima con la Parola di Dio. Vuole attendere che Dio gli si manifesti, prima che egli stesso parli. Il suo incontro è portatore di intimità, di profondo silenzio, di forza. Elia, che ha visto e servito il Signore con un senso della signoria e del primato di Dio veramente eccezionali, gode sull’Oreb dell’intima esperienza del Dio vivente. Il Profeta comprende che Dio non propizia il trionfo del bene con gesti spettacolari, ma agisce con longanime pazienza, poiché egli è l’Eterno e domina il tempo. Elia arriva così ad una conoscenza più reale di quel Dio, alla cui presenza vive, che è tale da cambiare la sua persona, da renderlo diverso, veramente “uomo di Dio”. Adesso egli è il profeta pieno, che non solo parla di e per Dio, ma anche con Lui. D’ora in poi, dopo la crisi e la dura prova, Elia si rivela l’uomo del distacco, dell’obbedienza, della purezza interiore e della preghiera, il vero contemplativo, il primo monaco, padre dei futuri monaci, che conosce in questa “voce di silenzio svuotato” qualcosa di più profondo e vero della realtà divina e ne rimane letteralmente trasformato. Egli è fuoco e acqua, zelo e misericordia, azione e contemplazione; il suo santuario è dentro e viene percorso interiormente: è un pellegrinaggio interiore per incontrare il Dio vivo e vero.