Edith Stein Santa Teresa Benedetta della Croce

Biografia

Edith Stein nacque a Breslavia – appartenente allora alla Germania, oggi è la città polacca di Wroclav – il 12 ottobre 1891, undicesima e ultima figlia di una coppia di sposi ebrei di ceppo tedesco, molto religiosa. Rimase orfana di padre a due anni e la numerosa famiglia venne guidata con saggezza e forza dalla madre, una donna profondamente religiosa e tenacemente attaccata alla propria tradizione ebraica. Edith era una bambina indipendente e di intelligenza particolarmente vivace. Fino all’età di tredici anni era praticamente atea. Subito dopo gli esami di maturità, nel 1911, s’iscrisse alla facoltà di Germanistica, Storia e Psicologia dell’Università di Breslavia. In questo periodo scoprì la corrente fenomenologica di Edmund Husserl (1859-1938) e nel 1913 si trasferì all’Università di Gottinga per seguirne le lezioni. A Gottinga incontrò il filosofo Max Scheler (1875-1928), convertito al cattolicesimo e così ebbe le prime conoscenze solide del cristianesimo. Allo scoppiare della prima guerra mondiale scrisse: “Ora non ho più una mia propria vita”. Frequentò un corso d’infermiera e prestò servizio in un ospedale militare austriaco per due anni come crocerossina: accudì i degenti del reparto malati di tifo, prestò servizio in sala operatoria, vide morire uomini nel fiore della gioventù. Per lei furono tempi duri ,tempi in cui entrò a contatto col mistero della sofferenza anche se la dedizione a questo lavoro le fece meritare la medaglia al valore. Alla chiusura dell’ospedale militare, nel 1916, seguì Husserl a Friburgo nella Brisgovia, ivi conseguì nel 1917 la laurea “summa cum laude” con una tesi “Sul problema dell’empatia“. A quel tempo accadde che osservò una donna del popolo, con la borsa della spesa sotto il braccio, entrare nel Duomo di Francoforte per una breve preghiera. “La cosa mi parve strana. Nelle sinagoghe e nelle chiese protestanti che avevo visitato si entra soltanto durante il servizio divino. Al vedere qui la gente entrare tra una occupazione e l’altra, quasi per una faccenda abituale o per una conversazione spontanea, rimasi colpita a tal punto che non mi riuscì più di dimenticare quella scena” . Altri due episodi furono ancora più precisi e determinanti. A Gottinga aveva conosciuto un giovane docente, Adolf Reinach, braccio di Husserl per i contatti con gli studenti, che l’aveva molto impressionata per la bontà, la finezza, il gusto artistico che si riflettevano perfino nella sua abitazione. Edith era diventata amica di famiglia, ma nel 1917 l’amico era stato ucciso combattendo nelle Fiandre. La giovane vedova allora chiese a Edith di aiutarla a classificare gli scritti filosofici del defunto, in vista di una pubblicazione postuma. Costei provò un estremo disagio al pensiero di dover tornare in quella casa che aveva conosciuto piena di bellezza e di felicità, convinta che l’avrebbe trovata sprofondata nel lutto e nella disperazione. Trovò invece l’atmosfera di un’indicibile pace e vide l’amica con il volto segnato dal dolore, ma come trasfigurato. “Fu il mio primo incontro con la croce, la mia prima esperienza della forza divina che dalla croce emanava e si comunica a quelli che l’abbracciano. Per la prima volta mi fu dato di contemplare in tutta la sua luminosa realtà la Chiesa, nata dalla Passione salvifica di Cristo, nella sua vittoria sul pungolo della morte. Fu quello il momento in cui la mia incredulità crollò, impallidì l’ebraismo e Cristo si levò raggiante davanti al mio sguardo: Cristo nel mistero della sua Croce! È questa la ragione per cui, nel prendere l’abito di Carmelitana, ho voluto aggiungere al mio nome quello della Croce”. Più tardi scrisse: “Ciò che non era nei miei piani era nei piani di Dio. In me prende vita la profonda convinzione che – visto dal lato di Dio – non esiste il caso; tutta la mia vita, fino ai minimi particolari, è già tracciata nei piani della provvidenza divina e davanti agli occhi assolutamente veggenti di Dio presenta una correlazione perfettamente compiuta”. Durante l’estate del 1921 Edith si recò per alcune settimane a Bergzabern (Palatinato), nella tenuta della signora Hedwig Conrad-Martius, una discepola di Husserl. Questa signora si era convertita, assieme al proprio coniuge, alla fede evangelica. Una sera che i due sposi dovettero assentarsi, le lasciarono la propria biblioteca a disposizione.
Ecco il racconto di ciò che accadde.
“Senza scegliere, presi il primo libro che mi capitò tra mano. Era un grosso volume che portava il titolo: Vita di Santa Teresa d’Avila, scritta da lei stessa. Ne cominciai la lettura e ne rimasi talmente presa che non la interruppi finché non fui arrivata alla fine del libro. Quando lo chiusi dovetti confessare a me stessa: Questa è la verità!””A eccezione delle Confessioni di Sant’Agostino, non esiste nella letteratura universale un altro libro che, come questo, porti il sigillo della veracità che tanto inevitabilmente illumina, fino agli angoli più nascosti della propria anima e che dia una testimonianza vibrante della misericordia di Dio”. Considerando retrospettivamente la sua vita scrisse più tardi: “Il mio anelito per la verità era un’unica preghiera”. Aveva trascorso nella lettura l’intera notte; al mattino andò in città a comprare un catechismo e un messalino: li studiò a fondo e dopo qualche giorno si recò ad assistere alla prima Santa Messa della sua vita. “Niente mi rimase oscuro – disse -. Compresi anche la più piccola cerimonia. Al termine raggiunsi il prete in sacrestia e dopo un breve colloquio gli chiesi il battesimo. Mi guardò con molto stupore e mi rispose che una certa preparazione era necessaria per l’ammissione in seno alla Chiesa: ‘Da quanto tempo segue l’insegnamento della fede cattolica?’ -mi chiese- ‘Chi la istruisce?’. Per tutta risposta riuscii a balbettare: ‘La prego, reverendo Padre, mi interroghi'”. Dopo un esame approfondito il prete riconobbe che non c’era nessuna verità della fede su cui ella non fosse istruita. Edith ricevette il Battesimo il 1 gennaio del 1922 e quello stesso giorno ricevette la Comunione e il 2 febbraio successivo la Confermazione. La conversione segnò una profonda lacerazione tra Edith e la madre, che non riusciva a capire perché mai la figlia non fosse tornata al Dio dei suoi padri. Lacerazione che doveva ulteriormente e misteriosamente approfondirsi e superarsi quando Edith decise il proprio ingresso nel monastero carmelitano di Colonia. Dal punto di vista interiore, per Edith Stein la vocazione al battesimo e quella al Carmelo coincisero con assoluta certezza, fin dal primo momento. Tuttavia il suo direttore spirituale, dom Raphael Walzer O.S.B. (1886-1966), arciabate di Beuron, le impedì di concretizzare subito quella vocazione claustrale, ritenendo che ella avesse un compito insostituibile da svolgere nel mondo. I primi dieci anni dalla conversione li passò a fare la “maestra”, nel senso più totale del termine, nell’ Istituto Magistrale delle Domenicane di Spira in cui “la signorina professoressa” si dedicava ad educare le ragazze che si preparavano alla maturità liceale, insegnando lingua e letteratura tedesca. Lasciato poi l’insegnamento cominciò la sua attività di conferenziere che la portò in quasi tutte le città della Germania, della Polonia e dell’Austria. Infatti dal 1928 al 1931 partecipò a numerosi congressi e fu chiamata a tener conferenze a Colonia, Friburgo, Basilea, Vienna, Salisburgo, Praga, Parigi, soprattutto su temi femminili. “Nel tempo immediatamente prima della mia conversione e per un certo periodo dopo di essa, sono stata del parere che condurre una vita spirituale significava tralasciare tutte le cose terrene e vivere soltanto pensando alle cose divine. A poco a poco ho imparato a comprendere che in questo mondo ci viene chiesto altro da noi e che pur nella vita più contemplativa il legame con il mondo non deve essere interrotto. Anzi credo che quanto più profondamente una persona è attratta da Dio, tanto più in questo senso deve ‘uscire da se stessa’, cioè entrare nel mondo per portarvi la vita divina”. Scrissero i suoi studenti: “Era la docente che difendeva più di tutti senza compromessi il punto di vista cattolico… Superava tutti gli altri docenti per l’acutezza dell’intelligenza, per la vastità della cultura, per la forma perfetta dell’esposizione e per la fermezza dell’atteggiamento interiore”. Conduceva una vita molto riservata, quasi monastica, e intanto studiava la tradizione filosofica cattolica (in particolare san Tommaso) con l’intento di paragonarla col pensiero fenomenologico. La sua traduzione e commento del De Veritate di san Tommaso fu considerata un’opera d’arte sia per la limpidità della traduzione, che così bene si adattava all’antica lingua del Santo Dottore, sia per la profondità delle annotazioni. Nel 1933 la notte scese sulla Germania. “Avevo già sentito prima delle severe misure contro gli ebrei. Ma ora cominciai improvvisamente a capire che Dio aveva posto ancora una volta pesantemente la Sua mano sul Suo popolo e che il destino di questo popolo era anche il mio destino”. L’introduzione delle leggi razziali di Norimberga, rese impossibile la continuazione dell’attività d’insegnante. “Se qui non posso continuare, in Germania non ci sono più possibilità per me”. “Ero divenuta una straniera nel mondo”. L’Arciabate Walzer di Beuron non le impedì più di entrare in convento. Già al tempo in cui si trovava a Spira aveva fatto il voto di povertà, di castità e d’ubbidienza. Il 14 ottobre 1933 entrò nel Carmelo di Colonia, assumendo il nome di Teresa Benedetta della Croce. “Non l’attività umana ci può aiutare ma solamente la passione di Cristo. Il mio desiderio è quello di parteciparvi “.”Il Carmelo è un giardino in cui Dio e l’anima vivono in intimità… Ciò che più meraviglia è il fatto che lo spirito del Carmelo sia l’amore, e che questo spirito sia completamente vivo in questa casa… Non conosco nulla di più grandioso!”. Nel 1938 scrisse: “Sotto la Croce capii il destino del popolo di Dio che allora (1933) cominciava ad annunciarsi. Pensavo che capissero che si trattava della Croce di Cristo, che dovevano accettarla a nome di tutti gli altri. Certo, oggi comprendo di più su queste cose, che cosa significa essere sposa del Signore sotto il segno della Croce. Certo, non sarà mai possibile di comprendere tutto questo, poiché è un segreto”. L’entrata di Edith Stein nel convento delle Carmelitane non fu una fuga. “Chi entra nel Carmelo non è perduto per i suoi, ma in effetti ancora più vicino; questo poiché è la nostra professione di rendere conto a Dio per tutti”. Soprattutto rese conto a Dio per il suo popolo. “Confido nel fatto che il Signore ha preso la mia vita a vantaggio di tutti. Devo pensare sempre di più alla regina Ester che fu tolta al suo popolo per rappresentarlo di fronte al Re. Io sono una piccola Ester, molto povera e debole, ma il Re che mi ha scelto è grande e infinitamente misericordioso. Questa è una grande consolazione” (31-10-1938). In clausura visse umilmente, come tutte le altre suore che nulla sapevano della sua fama né delle sue capacità, e la giudicavano solo, benevolmente, dal suo notevole impaccio nei lavori manuali. I superiori religiosi tuttavia giudicarono che le sue capacità dovessero essere valorizzate e le chiesero di continuare – compatibilmente col nuovo stile di vita monastica e di preghiera – la sua attività scientifica. Riscrisse così interamente la sua opera filosofica principale Essere finito ed Essere eterno: più di mille e trecento pagine, di cui giunse a correggere le bozze, ma poi l’editore rinunciò, per paura, alla pubblicazione. Ma la filosofia divenne ormai sempre più per lei una “verità senza anima”, man mano che arrivava a gustare “la verità che si sa per amore”. Nel 1938, poiché il razzismo infuriava, si pensò di salvarla facendola trasferire nel monastero olandese di Echt, dove si recò assieme alla sorella Rosa che l’aveva seguita nella conversione e attendeva anch’ella di entrare in convento. Nel 1939 scoppiò la seconda guerra mondiale. A Echt Edith stilò, il 9 giugno 1939, il suo testamento:” Già ora accetto con gioia, in completa sottomissione e secondo la Sua santissima volontà, la morte che Iddio mi ha destinato. Io prego il Signore che accetti la mia vita e la mia morte … in modo che il Signore venga riconosciuto dai Suoi e che il Suo regno venga in tutta la sua magnificenza per la salvezza della Germania e la pace del mondo…”. Si offre come vittima espiatrice per la vera pace: “So di essere un nulla, ma Gesù lo vuole”. Teresa Benedetta abbracciò la croce perché sapeva con certezza che la Croce di Cristo, segno supremo dell’Amore di Dio, era la risposta alla sua ricerca di verità. Questo il credo che lasciò scritto: “Credo in Dio, credo che la natura di Dio è Amore, credo che nell’amore l’uomo esiste, è sostenuto da Dio, è salvato da Dio”. I Superiori le chiesero di scrivere un libro sul pensiero e l’esperienza di San Giovanni della Croce, il mistico Dottore della Chiesa, in occasione del quattrocentesimo anniversario della sua nascita. Ella obbedì con gioia e intitolò il saggio: Scientia Crucis (La scienza della Croce). Nel 1940 la situazione divenne critica anche nei Paesi Bassi. Quando le prescrizioni si fecero più dure, si cercò di trasferire Suor Teresa in Svizzera. Mentre era in corso la trattativa per l’espatrio, nel campo di concentramento furono deportati anche gli ebrei cattolici dei Paesi Bassi. Anche Suor Teresa, assieme alla sorella Rosa, fu prelevata dal convento. Sul suo tavolo la Scientia Crucis era quasi finita: l’opera era giunta al momento in cui descriveva la morte di San Giovanni della Croce. Le ultime parole di Edith che le consorelle udirono erano rivolte alla sorella Rosa, terrorizzata: “Vieni, andiamo per il nostro popolo”. Da lei ricevettero ancora un biglietto indirizzato alla Priora in cui ella chiedeva di rinunciare ai tentativi che erano stati messi in atto per rintracciarla e farla liberare. C’era scritto: “…Io non farei più niente in questa faccenda. Sono contenta di tutto. Una Scientia Crucis la si può acquistare solo se la croce la si sente pesare in tutta la sua gravezza. Di questo sono stata convinta fin dal primo momento e ho detto di cuore: ‘Ave, Crux, spes unica’ (Salve, o Croce, unica speranza)”. Il 2 agosto 1942 fu trasferita ad Amersfoort e il 3 agosto a Westerbork. Un testimone affermò: “Tra tutti gli altri deportati suo Teresa Benedetta attirava l’attenzione per la sua calma e il suo abbandono. Le urla e la confusione nel campo erano indescrivibili. Lei andava qua e là tra le donne consolando, aiutando e calmando come un angelo. Molte madri, vicine ormai alla follia, non si occupavano più dei loro bambini e guardavano davanti a sé con ottusa disperazione. Lei li lavava, li pettinava, e curava”. Edith confidò ad un compagno di prigionia: “Non avrei mai immaginato che gli uomini potessero essere così… e che le mie sorelle e i miei fratelli ebrei dovessero soffrire tanto… Ora io prego per loro. Ascolterà Dio la mia preghiera? Certamente ascolterà il mio lamento”. Il 7 agosto, insieme alla sorella Rosa e ad altri deportati, rinchiusa in un vagone ferroviario, fu avviata al campo di sterminio di Auschwitz, con un viaggio di due giorni. Suor Teresa Benedetta della Croce fu uccisa in una camera a gas lo stesso giorno dell’arrivo al campo di Auschwitz, ossia domenica 9 agosto 1942, e poi bruciata in uno dei forni crematori: non aveva ancora compiuto cinquantuno anni. Con la sua beatificazione nel Duomo di Colonia, il 1° maggio del 1987, la Chiesa onorò, per esprimerlo con le parole del Pontefice Giovanni Paolo II, “una figlia d’Israele, che durante le persecuzioni dei nazisti è rimasta unita con fede ed amore al Signore Crocifisso, Gesù Cristo, quale cattolica ed al suo popolo quale ebrea”. Fu canonizzata l’11 ottobre 1998 da Giovanni Paolo II. Il 2 ottobre 1999 lo stesso Papa l’ha proclamata compatrona di Europa insieme a S. Brigida di Svezia e a S. Caterina da Siena. Edith Stein, donna di singolare intelligenza e cultura, ha lasciato una vasta produzione filosofica – teologica attraversata da una intensa ispirazione mistica.