L’icona è stata realizzata secondo la tecnica della tradizione iconografica bizantina ed è venerata nella cappella del Noviziato di Monte Carmelo (Villasmundo – Siracusa). La tavola è di forma rettangolare e misura cm 116 x 72.
Il Santo monaco Alberto è rappresentato al centro dell’icona a busto intero, con la figura di tre quarti rivolta a sinistra, il capo sollevato (distaccato e pensoso) circondato dal nimbo dorato, lo sguardo in contemplazione e ascolto. Vestito dell’ abito dei carmelitani, a piedi scalzi, ha la mano destra in gesto d’intercessione mentre con l’altra tiene il Vangelo chiuso, come a mostrare l’essenzialità e il tutto della Parola rivelata, e, da apostolo della fede quale fu, sembra invitare colui che guarda alla conoscenza e allo studio della Scrittura.
Alla destra del Santo s’innalza una montagna e una piccole vite, simbolo del rigoglioso Monte Carmelo e dell’ascesi spirituale. In basso un serpente, simbolo del Maligno, cacciato dalla fenditura della Terra (fama del Santo è di avere avuto il potere di scacciare i demoni). In alto a sinistra (come in opposizione) è la Madre di Dio e il Cristo Bambino avvolti da nubi: la “Regina del Carmelo” porta al braccio sinistro lo scapolare; Gesù, con la mano destra, porge al Santo un giglio mentre con la sinistra mostra il rotolo con la scritta: Beati i puri di cuore perché vedranno Dio.
Il Cristo Gesù e la Santa Madre sono figure ideali in quanto “il monaco” incarna la purezza e la castità della Madre di Dio.
Più in basso è rappresentata la città di Messina che, si racconta, fu liberata per intercessione di S. Alberto da un assedio e provvista da tre navi colme di viveri che, dopo la distribuzione, scomparvero.
Sempre a sinistra è una palma che rievoca il Paradiso celeste promesso ai giusti (Salmo 91: Il giusto fiorirà come palma), simbolo di santità. Infine una piccola anfora colma d’acqua, la cui presenza è dovuta ad una forma di devozione: nel giorno di S. Alberto, nelle chiese carmelitane, viene benedetta dell’acqua con l’immersione di una reliquia del Santo.
Quest’acqua viene poi distribuita ai fedeli poiché, si dice, abbia la proprietà di rendere salute e vigore e di guarire dalle febbri.
Il fondo dell’icona è d’oro: l’oro significa luce, luce eterna. Un piccolo bordo rosso delimita la cornice esterna della tavola: indica il sangue versato da Gesù per la nostra salvezza.
L’icona è da contemplare, è preghiera e serve per la preghiera, è una finestra aperta nel divino, è luogo di presenza, luogo d’incontro con colui che essa rappresenta.
Alberto da Trapani è una delle tante figure eminenti che ogni Ordine religioso ha agli inizi della sua storia. Nelle pitture o negli affreschi che lo riproducono, Alberto è l’uomo capace un po’ di tutte le cose che hanno del prodigioso: è l’uomo casto che porta in braccio Gesù Bambino; è il predicatore che trascina; è colui che sfama la città di Messina durante un assedio; benedice le acque apportatrici di malaria e di febbri. Egli vive alle sorgenti della vita carmelitana, ai suoi inizi e ne porta all’esterno, tra il popolo, la grande fecondità.
Di nobile famiglia, quella fiorentina Degli Abati, nacque verso il 1250. Si è molto e a lungo discusso sul luogo di nascita, Trapani o Monte di Trapani, cioè Erice: controversia che, in base ai documenti ufficiali, va risolta a favore di Trapani. Una Vita del Santo, composta nella seconda metà del XIV secolo, è giunta a noi in molte copie o rifacimenti del sec. XV. Secondo una base comune alle varie redazioni, i dati biografici possono ridursi ai seguenti: Alberto nacque (dopo ventisei anni di matrimonio sterile) da Benedetto degli Abati e da Giovanna Palizi, che promisero di consacrarlo al Signore. Mentre il ragazzo era ancora in tenera età il padre pensò per lui a un onorevole sposalizio, ma la madre riuscì a fargli tenere fede al voto. Fin da piccolo crebbe in lui un’esigenza spirituale al di fuori dei canoni d’insegnamento ed a otto anni entrò nell’Ordine dei Carmelitani, da poco costituito, votando la sua castità alla rinuncia delle ricchezze, del piacere dei sensi, abbandonando tutti i legami mondani e da quel momento dedicò la sua vita alla contemplazione dello spirito. Per la sua modestia non avrebbe voluto accettare l’ordinazione sacerdotale; ma si piegò alle affettuose insistenze dei confratelli e dei superiori distinguendosi per le sue virtù, il suo amore per la purezza e la preghiera, per i miracoli e per la sua predicazione. Poco dopo Alberto venne mandato dai Superiori all’altra estremità dell’isola, nel convento carmelitano di Messina e liberò la città, assediata dal Duca di Calabria, dalla fame causata da un assedio: alcune navi cariche di vettovaglie passarono miracolosamente attraverso gli assedianti. Per la parola e per i prodigi, per la carità e soprattutto per le numerose conversioni di Ebrei, la fama di Sant’Alberto corse rapidamente anche fuor di Messina. Venne così additato come esempio di vero carmelitano, tutto dedito all’austerità e alle opere apostoliche e, verso il 1287, fu nominato, meritatamente, Superiore provinciale dell’Ordine per la Sicilia. Morì a Messina il 7 agosto con probabilità nel 1307. Il cielo stesso, si narra, volle dirimere la controversia sorta tra il clero ed il popolo circa la specie di Messa da celebrare in tale occasione: due angeli apparvero ed intonarono l’Os iusti, l’Introito della Messa dei confessori. La presenza di Alberto nel convento di Trapani nei giorni 8 agosto 1280, 4 aprile e 8 ottobre 1289 è attestata da pergamene dello stesso convento, oggi alla Biblioteca Fardelliana della città; qui si trova anche una pergamena in data 10 maggio 1296, da cui risulta la sua carica di Superiore provinciale. Fu il primo Santo del Carmelo ad essere venerato e quindi venne insignito del titolo di Patrono e protettore dell’Ordine Carmelitano. Ebbe anche il titolo di «padre», titolo condiviso con l’altro Santo carmelitano del suo tempo, Sant’Angelo di Sicilia. Nel convento di Palermo già nel 1346 apparve una cappella a lui dedicata; in vari capitoli generali, a cominciare da quello del 1375, si pensò di ottenerne la canonizzazione papale; in quello del 1411 si dice che è pronto il suo Ufficio proprio.
Nel 1457 Callisto III , vivae vocis oraculo, ne permise il culto, confermato in seguito da Sisto IV con bolla del 31 maggio 1476. Nel 1524 si ordinò che la sua immagine fosse nel sigillo del capitolo generale e il superiore dell’Ordine, Nicolò Audet, volle che in ogni chiesa si trovasse un altare a lui dedicato. Già nel capitolo del 1420 si era ordinato che in tutti i conventi si tenesse la sua immagine raggiata. Con questo culto intenso ed esteso si spiega l’abbondante iconografia, nella quale Alberto è raffigurato (con o senza libro) dapprima recante un giglio, simbolo della vittoria sui sensi riportata all’inizio della sua vita religiosa, poi nell’atto di vincere un diavolo, o anche – dal sec. XVII – mentre compie i suoi miracoli. Sullo sfondo viene spesso riprodotta la città di Trapani di cui è Patrono. A Messina nel 1623 gli fu dedicata una porta della città. Alberto è patrono di Trapani, di Erice, di Palermo, di Messina e di Revere (Mantova). S. Teresa di Gesù e S. Maria Maddalena dei Pazzi ne furono particolarmente devote; il beato Battista Spagnoli compose in suo onore un’ode saffica. Le sue reliquie sono sparse in tutta Europa: esse sono necessarie, ancor oggi, alla benedizione dell’acqua di S. Alberto, molto usata, specialmente, in passato, contro le febbri. Il capo del Santo è nella chiesa dei Carmelitani di Trapani. Il Santo è invocato anche contro i terremoti e le ossessioni. Nell’ultima riforma liturgica è stato concesso il grado di festa per S. Alberto per i Carmelitani e di memoria per i Carmelitani Scalzi.
La Cappella
I trapanesi, da sempre dediti agli avvenimenti religiosi del proprio territorio, lo hanno considerato, insieme alla Madonna Maria SS. Di Trapani, il patrono della città. All’interno del Santuario Maria SS. Di Trapani si trova la Cappella di Sant’Alberto degli Abati del 1582. L’altare è di marmi policromi intarsiati del XVII secolo. In questa Cappella, di gusto barocco, si custodisce la Statua reliquario argenteo di Sant’ Alberto. La statua, contenente il teschio del Santo (che si mette a contatto con la bambagia che viene distribuita nel giorno della festa, il 7 agosto) è opera dell’argentiere trapanese Vincenzo Bonaiuto. Dalla porticina laterale a destra si passa nella “celletta” di S. Alberto, la cameretta da lui abitata, che conserva le miracolose reliquie del Santo ad anche le reliquie del B. Luigi Rabatà. Secondo la tradizione, durante una liturgia, il figlio del re Pietro d’Aragona, morente, venne guarito da un sorso d’acqua contenete pezzetti del vestito di Sant’Alberto.
La festa
Il 7 agosto si celebra la festa in onore del patrono della città, Sant’Alberto, festività che si celebra sin dal 1624. Fu questo l’anno in cui Trapani si liberò dal flagello della peste e i trapanesi vollero onorare il Santo Patrono con delle manifestazioni. I pescatori del rione San Pietro, detto quartiere “Casalicchio”, fecero scolpire un simulacro argenteo che ritraeva Sant’Alberto e ogni anno collocavano ritualmente la statua nella Via Biscottai, sito in cui era apparso il Santo a due pescatori per riferire che presto il morbo della peste sarebbe stato sconfitto per sua intercessione.La festa coinvolgeva i trapanesi che addobbavano di luci e bandiere la strada in fondo alla quale era collocata la bella statua di Sant’Alberto. Per 9 giorni venivano celebrate delle messe in onore al Santo, mentre i fedeli recitavano diverse preghiere e orazioni. Al suono della banda musicale della città si concludeva la “Novena”. La festa continuava per tutta la notte con canti e balli nei cortili, alternandole con il consumo di biscotti inzuppati nel caffè. Durante i festeggiamenti si svolgevano anche vari giochi come u jocu di pignateddi, u jocu da pertica e da paredda n’sapunata e a cursa ri sacchi. Per la celebrazione, diciamo, ufficiale, si ricorreva ad un’altra statua argentea che conteneva la testa del santo e che viene conservata nella Basilica dell’Annunziata. Anche questa ricorrenza ha le sue origini nel 1624. In quel tempo il Senato decise, insieme ai Padri Carmelitani, di trasportare annualmente la statua-reliquario nella Chiesa del Carmine cosicché si costruisse una nuova cappella in onore del Santo Patrono. Pertanto il 6 agosto di ogni anno si portava in processione la statua dall’Annunziata fino in città. Fino al 1833 il Senato andava incontro al Santo in carrozza per rendere un omaggio floreale e partecipava ai vespri pontificali che si tenevano nella Chiesa di Sant’Alberto. Il 7 agosto, giorno della festa, veniva celebrata la messa solenne presso la Chiesa Madre reggente e poi si partecipava alla processione per le vie della città. Anche per celebrare Sant’Alberto venivano sparati i giochi d’artificio, e precisamente in Corso Vittorio Emanuele, davanti al Palazzo Senatorio o Cavarretta. Qui veniva montato un palchetto per la banda musicale e davanti veniva collocata, l’allora detta, “macchina”, che accoglieva la statua del Santo Patrono. La “macchina” era un corpo architettonico in legno rivestito e decorato con figure di cartapesta. Era pitturata con vari colori e filettature d’oro e d’argento; due angeli sostenevano le armi reali e ai lati della macchina stavano quattro statue indorate e due puttini. Dentro un grande arco vi era dipinta la città: nella parte di sotto vi erano ritratte tre righe di mare di corallo e nella parte sovrastante un carro d’oro tirato da quattro cavalli. Sul carro vi era dipinto Sant’Alberto accompagnato da angeli, puttini e serafini. Ideatori della “macchina” furono gli artisti del tempo, tra cui gli architetti Giuseppe La Bruna e Giovanni Amico, gli scultori Mario Ciotta e Giuseppe Tartaglia e il pittore Domenico La Bruna. Oggi la festa di Sant’Alberto viene celebrata in modo diverso. La festa adesso consiste nel far uscire la statua del Santo e portarla in processione. Alla vigilia della festività per antichissima tradizione, durante una devota liturgia, si benedice l’acqua in ricordo del prodigio fatto in favore del figlio del re Pietro III d’Aragona, che stava morendo. Questi venne guarito miracolosamente da un sorso d’acqua contenente pezzettini di un vestito di Sant’Alberto. Subito dopo la benedizione dell’acqua viene estratta la bambagia, rimasta a contatto con la reliquia del Cranio del Santo, contenuto nel capo argenteo della Statua. La Statua di Sant’Alberto, poi, lascia ogni anno il Santuario della Madonna di Trapani (dove risiede per tutto l’anno nella cappella a lui dedicata) a bordo di un carro trainato da devoti per raggiungere dapprima il sindaco di Trapani che gli consegna le chiavi, e poi la Cattedrale di San Lorenzo dove si celebrano le S. Messe in Suo onore. La tradizione vuole che la Statua di Sant’Alberto torni al Santuario il 10 agosto, ma per problemi di concomitanza con la festa di San Lorenzo, da qualche anno il ritorno avviene il 9 agosto, con le campane che suonano a distesa, tra due ali di folla festante che accoglie il Santo con le celebri e caratteristiche grida: “Ittamuccilla ‘na santa uci! Viva Maria e Santu Libbettu! Viva!”
Alberto appare frequentemente nelle leggende e nelle tradizioni popolari siciliane. Ad Agrigento si mostra un pozzo, che esiste ancora, di cui egli raddolcì l’acqua molto amara; a Corleone il recipiente in cui conservava l’assenzio; a Petralia Soprana una pietra su cui riposò. A Piazza Armerina gli sarebbe stata eretta la prima cappella. Numerosi aneddoti danno prova della santità di Alberto e fra tutti spiccano il miracolo ad una giovane donna partoriente (che in preda al dolore del parto venne a mancare al momento fatidico… Sant’Alberto infilandole un dito in bocca le sciolse la lingua ed ungendo con una croce d’olio il suo ventre riuscì a farle partorire una meravigliosa bambina) e il miracolo sul Platani (dove alcuni giudei in procinto di annegare nel fiume riconobbero Sant’Alberto e lo implorarono di aver salva la vita promettendo di abbracciare la fede cristiana ed il battesimo… il Nostro Santo, come il Cristo in Tiberiade, camminò sulle acque del fiume portandoli in salvo).
La leggenda del Vascelluzzo
Verso la fine del XIII secolo a Messina ci fu una tremenda carestia aggravata dalla discordia che c’era fra gli amministratori messinesi e quelli stranieri presenti in città: questi ultimi infatti non si interessavano di fare coltivare il terreno in modo che la gente potesse nutrirsi. Grazie ai “Vespri siciliani” Messina e Palermo si erano liberate dal dominio Angioino, chiamando come re della Sicilia Pietro III D’ Aragona e dopo di lui Giacomo, poi Federico II D’Aragona. Prima di stabilire la pace di Caltabellotta, gli Angioini cercarono di riconquistare le città perdute nella guerra, soprattutto Messina. Roberto D’Angiò, duca di Calabria, figlio di Carlo II e re di Napoli, per assalire Messina mandò il suo esercito a Catona e assediò Reggio Calabria, in modo che essa non potesse aiutare Messina. Questa, non potendo procurarsi il cibo, cominciava a languire. In quel momento, Messina era sotto il dominio di Federico II D’Aragona. Vedendo che tutta la città era in crisi, egli fece andare via tutte le persone che non erano abili al lavoro, ma, nonostante ciò, la situazione era sempre più grave. Allora Nicolò Palizzi gli suggerì di andare da Santo Alberto da Trapani che già da allora veniva considerato santo per alcuni grandi prodigi che aveva fatto. Il giorno seguente, Federico II, insieme alla sua corte, si diresse alla chiesa del Carmine in cui Sant’Alberto officiava la Messa. All’offertorio egli cominciò a pregare per tutto il tempo e dopo che finì, una voce dal cielo parlò dicendo:”EXAUDIVIT DEUS PRECES TUAS!” che significa: “Dio ha esaudito le tue preghiere”. Tutta la gente a queste parole si rallegrò perché sapeva di poter contare sulla grazia di Dio. Poco prima che i fedeli uscissero dalla chiesa si videro tre navi i cui equipaggi scaricarono del grano quasi senza parlare; le navi se ne ritornarono da dove erano venute, ma non si sa dove. Fu ferma convinzione dei messinesi che le navi fossero state mandate dalla Madonna; da allora da quell’avvenimento nacque la tradizione del vascelluzzo.
I fedeli e la corte di Federico corsero ai piedi del Santo ringraziandolo, lui li benedì, li esortò a credere in Dio e nella Madonna della Lettera e ritornò nella sua umile cella. Quattro giorni dopo arrivarono altre quattro navi cariche di vettovaglie sfuggite alla flotta avversaria. Roberto D’Angiò, vedendo che ormai non poteva prendere Messina per fame, si arrese e stabilì un trattato di pace con Federico II D’Aragona. La leggenda narra che in quei giorni accadde un fatto straordinario simile a questo: una signora vestita di bianco fu vista passeggiare tranquillamente sugli spalti delle mura con lo stendardo di Messina, un francese lanciò una freccia contro di lei, ma la freccia ritornò indietro, colpendo in un occhio l’arciere. Ed ecco che anche in questa occasione la Madonna della Lettera fu presente e difese Messina. Sant’Alberto morì nel 1307 nel Villaggio Pace e fu celebrata una Messa funebre nel Duomo allora chiamato Santa Maria. Quando Federico II fece alloggiare i suoi cavalli nel convento del Carmine, trasformando in stalla proprio la chiesa in cui era sepolto Sant’Alberto, un male misterioso colpì prima i cavalli e poi i soldati stessi che morirono tutti. Si aprì poi la tomba di Sant’Alberto che fu trovato in ginocchio in atto di chiedere la punizione per il profanatori.
Storia curiosa di un quadro
Al Centro Internazionale S. Albert in Rome si conserva un quadro di S. Alberto degli Abati.
Nel lato inferiore del quadro un cartiglio reca la scritta in latino Studiorum mecenati divo Alberto theologiae bacconicae candidati tabulam inaugurarunt 1704. Si tratta della dedica fatta dagli religiosi studenti nello studium generale della Traspontina al loro patrono. L’origine del quadro è legata ad una curiosa storia. Nel corso della seconda metà del secolo XVII il curricolo degli studi per il conseguimento dei gradi accademici subì nell’Ordine notevoli variazioni, sia nei contenuti, sia nelle condizioni richieste per l’accesso a ciascun grado, sia nell’impostazione e organizzazione stessa che le case dagli studenti dovevano assumere, anche rispetto ad orari e periodi di lezioni e relative vacanze. Gli aspetti normativi del curricolo degli studi, disciplinato nelle Constituzioni del 1625, venivano modificati e variati da interventi di capitoli generali successivi e sopratutto con l’azione di un priore generale, Giovanni Feijó de Villalobos. Questi nel 1692 emanava una serie di decreti assai esigenti sugli studi nell’Ordine. Il programma di Feijó, riflettendo la pratica spagnola, si dimostrò impraticabile altrove, specialmente in Italia. Di qui numerose proteste da varie parti. Quando, nell’aprile del 1700, il priore generale seguente, Carlo Filiberto Barbieri, volle verificare se gli studi erano compiuti secondo tali decreti, gli studenti dello studium della Traspontina, che era allora un dei più prestigiosi nell’Ordine, ricorsero alla Congregazione dei Vescovi e Regolari per ottenerne la dispensa e continuare l’assegnamento dei gradi e il seguire l’ordinamento dello studium nei suoi giorni di scuola e nei periodi di vacanza come era consuetudine da più di cent’anni nello studium stesso. Così il 9 settembre ottennero un decreto a loro favorevole e confermato da un breve di Clemente XI in data 9 settembre 1701. Con tale decisione era d’accordo anche il priore generale Barberi, che si era già pronunciato a favore degli studenti della Traspontina. Vi furono però alcuni religiosi ‘zelanti’ (tra cui sembra anche qualcuno del governo centrale dell’Ordine) che si opposero a tale concessione. Di qui un nuovo ricorso, sempre alla suddetta Congregazione dei Vescovi e Regolari, e, attraverso vie poco chiare, detti “zelanti” ottennero la sospensione del breve pontificio. Gli studenti reagirono e promossero presso la S. Sede un processo contro quei “zelanti” che si definivano “La Religione Carmelitana,” senza mai però manifestare il proprio nome. La causa venne tratta dalla solita Congregazione dei Vescovi e Regolari. Durò vari mesi, con l’ascolto e l’esame delle motivazioni di una parte e dell’altra, e degli inconvenienti e osservazioni segnalate dai difensori di entrambe le parti. Alla fine, il 10 novembre 1702 venne decretato irrito e nullo quanto ottenuto dagli “zelanti” e si dava piena soddisfazione agli studenti della Traspontina, confermando quanto già essi avevano ottenuto dal Papa. Quando il capitolo generale del 1704 aggiornò semplicemente la parte delle costituzioni che trattava degli studi, eliminando leggi e ordinanze stabilite da Villalobos “diritti” essi offrirono al priore generale in segno di riverenza il quadro di S. Alberto, di cui non si conosce l’autore.
NEL VII CENTENARIO DELLA MORTE DI SANT’ALBERTO DI TRAPANI...
Lettera di P. Gaudenzio Gianninoto alle comunità di Sicilia per annunciare l’apertura del VII Centenario della morte di Sant’Alberto di Trapani, titolare del Commissariato.
Carissimi,
il prossimo 7 agosto si apre il centenario della morte di Sant’ Alberto di Trapani (+ 1307), titolare del Carmelo Teresiano di Sicilia. Nella storia dell’Ordine carmelitano la venerazione per questo santo della nostra terra è stata sempre molto viva e diffusa, tanto da essere considerato fin dal secolo XV patrono e protettore dell’Ordine; infatti nel 1524 si era stabilito che la sua immagine fosse nel sigillo del Capitolo generale e il P. Generale, Nicolò Audet, ordinò che si dedicasse a lui un altare in ogni chiesa carmelitana. Anche da ciò si può capire la ragione della ricca iconografia che lo riguarda e nella quale spesso appare affiancato da S. Angelo di Licata. Benché la Vita, scritta fin dal secolo XIV, e poi le successive redazioni siano arricchite da molti fatti miracolosi e leggendari, tuttavia alcuni dati storici sono sufficientemente fondati. Generoso nella predicazione della Parola di Dio e famoso per prodigi, fu per alcuni anni (attorno al 1296) superiore Provinciale dei Carmelitani di Sicilia; morì a Messina il 7 agosto 1307 con fama di santità. Sarà il primo santo carmelitano dichiarato tale dalla Chiesa. Presto la Provincia carmelitana di Sicilia si chiamò “di Sant’Alberto”, la quale diede vita nel 1472 a una seconda, detta “di Sant’Angelo”, e poi da queste due sorsero altre due Province, riformate, nel 1645 la “Provincia del Primo Istituto di Monte Santo”, e nel 1741 la “Provincia S. Maria della Scala”. Nell’ambito della nostra Riforma il Capitolo Generale OCD della Congregazione d’Italia il 13 maggio 1632 istituì la nuova Provincia di Sicilia e la intitolò a Sant’Alberto di Trapani. E così, ancora recentemente, il nostro Definitorio Generale, il 10 ottobre 1998, nel Decreto di erezione ripropose il titolo di Sant’Alberto per il nostro Commissariato. Anche la Provincia del Messico ha come titolare questo Santo. Ma ora cosa può voler dire per noi celebrare il centenario di un santo di 7 secoli fa, dopo che il Carmelo ci ha dato Santi di altro rilievo, Fondatori di una nuova Famiglia, Dottori della Chiesa? Già i brevi cenni storici indicati ci devono richiamare a una volontà del Signore nei riguardi del Carmelo di Sicilia: da secoli Sant’Alberto è il nostro patrono, il custode del nostro Carmelo. Dobbiamo perciò conoscerlo, saper invocare la sua intercessione e onorarlo. Questo per noi avvenne non solo perché egli è un santo siciliano, ma anche perché la nostra Santa Madre Teresa ebbe per lui una devozione particolare; lei lo invocava come “Padre”, lo riconobbe più volte in visione, a lui ha attribuito delle ispirazioni importanti e si preoccupò anche di pubblicarne la “Vita”, per farlo conoscere e amare dalle sue monache e dai frati scalzi. C’è poi un aspetto della sua vita che tutto il Carmelo, antico e riformato, gli ha sempre riconosciuto e per cui ha invocato nelle commemorazioni la sua intercessione: la purezza, la castità, il candore del comportamento. Possiamo ricordare l’antifona che fino a non molto tempo fa si ripeteva O Alberte, norma munditiae, puritatis et continentiae, ora Matrem misericordiae ut in hac valle miseriae nos defendat ab omni labe. Conoscendo a questo proposito il disastro che sta avvenendo in questo nostro mondo, i comportamenti più spregiudicati a tutti i livelli, quale mentalità sta dilagando, favorita dalla prepotenza invadente dei mezzi di comunicazione, noi, religiosi e laici carmelitani, non possiamo vivere nella presunzione di non aver bisogno di molta vigilanza, di fare scelte chiare e controcorrente, di preghiere come questa, se non vogliamo rischiare di perdere la beatitudine dei puri di cuore, indispensabile alla vita di orazione e di contemplazione e di attesa della visione di Dio. Il centenario potrà essere poi l’occasione propizia perché ogni comunità, fraternità e gruppo immagini una qualche iniziativa che possa giovare a una migliore conoscenza delle nostre radici e della nostra storia sacra, che tanto deve ai santi che l’hanno fatta… Come la devozione alla Madonna del Carmine, così radicata tra noi, anche quella ai Santi, specialmente dell’Ordine, ci può aiutare a una comprensione più penetrante della tradizione religiosa nella quale siamo chiamati a vivere e a testimoniare il carisma del Carmelo. Che Sant’Alberto, “servo di Cristo, sostenga nella sicurezza il nostro cammino, e ci insegni la vera via della pace”. Così preghiamo nella liturgia della festa e nella commemorazione settimanale.
P. Gaudenzio Gianninoto
Commissario
Monte Carmelo, 04 luglio 06
Santa Teresa di Gesù grande devota di S. Alberto di Sicilia
Diversi autorevoli testimoni riferiscono della grande devozione di S. Teresa d’Avila per S. Alberto. Così il p. Francisco de Ribera nella sua biografia della Santa scrive che la lista dei
santi della sua speciale devozione inizia proprio dal “Nostro Padre San Alberto” precisando che si deve escludere che si tratti di Sant’Alberto di Gerusalemme, autore della Regola del Carmelo, bensì di quello di Sicilia. Nella sua Autobiografia S. Teresa ci ha lasciato delle tracce che ci fanno risalire al motivo di tanta devozione per S. Alberto. Al cap 40, 13 parla di una visione profetica avvenuta mentre pregava davanti al SS. Sacramento. Le apparve un santo che le mostrò un grande libro dove a caratteri grossi e ben leggibili era scritto: In avvenire quest’Ordine fiorirà e avrà molti martiri. E poi (Vita 40, 15) “Quel Santo glorioso mi si fece vedere più volte: mi parlò di varie cose, mi ringraziò delle preghiere che facevo per il suo Ordine, e promise di raccomandarmi al Signore.” È stato sempre ritenuto nell’Ordine, anche per successiva ammissione della santa che nello scrivere la sua biografia era tenuta alla consegna dell’anonimato, che il santo in questione è sant’Alberto. C’è un altro episodio ancora più esplicito, anch’esso situato fra le esperienze mistiche della santa dottore della Chiesa, riferito dallo stesso padre Yanguas al processo di canonizzazione. Egli depone che il giorno della festa di S. Alberto, 7 agosto 1574, mentre la Santa stava nella fondazione della casa di Segovia, dopo averla confessata e comunicata, essendo successivamente venuti a colloquio, le sentì dire che il Signore e Sant’Alberto si erano intrattenuti con lei. La santa in quell’occasione avendo chiesto consiglio sul futuro della Riforma Carmelitana, ricevette la risposta da Sant’Alberto che gli “scalzi” avrebbero dovuto avere una gerarchia propria e distinta da quella dei “mitigati”. Non è inverosimile pensare che ci sia una relazione diretta fra questo episodio e la composizione dell’opera “Vita e miracoli di Sant’Alberto”. Padre Tommaso Álvarez, ocd, ha dedicato uno studio a una iniziativa singolare di S. Teresa sulla rivista “Monte Carmelo” di Burgos, 2, 1993, con il titolo significativo: Una impresa editorial de Santa Teresa. “La vida y milagros de San Alberto”(1582), e nel fare questo ne dà anche i motivi, che hanno radici nella sua storia personale. Difatti S. Teresa si impegnò per far conoscere e divulgare la devozione verso il santo carmelitano siciliano, che lei venerava “come padre e avvocato”, fino a incaricare il domenicano p. Diego de Yanguas di scrivere un libretto, “La Vita e i miracoli di S. Alberto”. Quest’operetta, destinata alle sue monache, doveva essere pubblicata assieme a “Il Cammino di Perfezione”. Il volume progettato poté essere pubblicato a Lisbona nel febbraio del 1583, ma La vida de San Alberto, inserita nel volume, porta la data del 1582, per cui P. Tommaso si chiede se forse la S. Madre abbia fatto a tempo ad averla tra le mani già stampata. Nel corso di questo prossimo centenario ci proponiamo di tradurla in italiano e di pubblicarla.