Santa Teresa di Gesù De Los Andes

Biografia

Teresa de Los Andes, con il linguaggio della sua intensa vita, ci assicura che Dio esiste, che Dio è amore e gioia, che Dio è il nostro tutto. Raccolse i suoi pensieri nel “Diario” e nelle “lettere” che ci fanno conoscere non solo le vicende della sua giovane vita, ma soprattutto la profondità della Sua Anima. Ella ci consegna un messaggio profondamente umano e al tempo stesso religioso: leggendo i suoi appunti, le sue lettere, ci accorgiamo che per lei essere “santi” significa essere pienamente una persona umana che vuol vivere l’impegno cristiano di battezzato con generosità, aspirando a realizzarsi compiutamente e liberamente, nella padronanza delle cose create, senza esserne asservito. La santità della sua vita brilla negli atti di ogni giorno negli ambienti dove vive: la famiglia, il collegio, le amiche, i contadini con i quali divide le sue vacanze e quanti con zelo apostolico catechizza ed aiuta. Pur essendo una giovane uguale alle sue amiche, queste la ritengono differente. La prendono per modello, appoggio e consigliera. Juanita soffre e gode intensamente, in Dio, tutte le pene e le gioie che l’uomo incontra. La cosa più sorprendente è la naturalezza con cui riesce a comporre in armonia il rapporto con Dio e quello con gli uomini. Può inabissarsi e rimanere assorta nella contemplazione delle perfezioni di Dio e delle delicatezze del suo amore, senza cessare di mostrarsi allegra, amabile, comunicativa. Con la stessa naturalezza tratta con Gesù a cuore a cuore e pratica lo sport e contagia tutti di allegria con i suoi scherzi e le sue risate. È proprio questo equilibrio psicologico e spirituale che ce la rende particolarmente vicina e “imitabile” nella vita di ogni giorno. La serenità del suo volto è il riflesso di Colui che vive in lei.
Juana Fernández Solar nacque il 13 luglio 1900 a Santiago del Cile. Due giorni dopo fu battezzata. Al fonte battesimale venne chiamata Juana Enriqueta Josefina de los Sagrados Corazones Fernandez Solar. Familiarmente era chiamata, e ancora oggi è conosciuta con il nome di Juanita. Visse la sua infanzia nella normalità in seno alla famiglia: i genitori, Michele Fernández e Lucia Solar; tre fratelli e due sorelle; il nonno materno, zii, zie e cugini. La famiglia godeva una buona posizione economica e conservava autenticamente la fede cristiana, vivendola con sincerità e perseveranza. La piccola crebbe assetata di Dio e della voglia di conoscerlo e di pregarlo. Era curiosissima: domandava spiegazioni continue sulla Comunione, il rosario, la Vergine, Gesù Crocifisso e… il cielo. “Nacqui nel 1900, il 13 luglio… Gesù non volle che io nascessi come Lui. Io nacqui in mezzo alle ricchezze, vezzeggiata da tutti. Ero la quarta…, benché fossi molto vezzeggiata, ero molto timida.” Juanita trascorse i primi anni nella grande, patriarcale casa del nonno materno, Eulogio Solar, una amata figura spirituale che ha segnato di tanti ricordi il suo diario. Egli possedeva una vasta tenuta a Chaca-buco. Lì, insegnò alla nipotina Juanita – bimba di pochi anni – a cavalcare ed ella si divertiva un mondo con la sorellina Rebecca. I cavalli resteranno la sua passione, anche dopo che il nonno morì, nel 1907, lasciandole un grandissimo dolore. Ella fin da piccola venne chiamata alla vita della grazia. Afferma che, a sei anni, attratta da Dio cominciò a riversare il suo affetto totalmente in Lui. “Gesù cominciò a prendere il mio cuore per Sé, poco dopo il terremoto nell’anno 1906 ” (Diario, n. 3, p. 25). Juanita possedeva un’enorme capacità di amare e di essere amata insieme ad una straordinaria intelligenza. Dio le fece sperimentare la sua presenza, la imprigionò con la sua conoscenza e la fece sua attraverso le esigenze della croce. Conoscendolo, lo amò; amandolo, si abbandonò perdutamente in Lui. Ancora bambina comprese che l’amore si dimostra con i fatti più che con le parole, per questo lo tradusse in ogni azione della sua vita, cominciando dalla radice. Si guardò con occhi sinceri e saggi e capì che per essere di Dio era necessario morire a se stessa e a tutto quello che non fosse Lui. “Attorno ai sette anni – scriveva più tardi – nacque nell’anima mia una grandissima devozione alla SS.Vergine. Le raccontavo tutto quello che mi avveniva e Lei mi parlava. Con mio fratello Luigi, recitavo il Rosario”. La Vergine Maria le rispondeva e la consigliava maternamente, dicendole ciò che doveva fare per piacere a Nostro Signore. “Si può dire che fin d’allora Nostro Signore mi prese per mano insieme alla Santissima Vergine”. Era affascinata dalla S. Messa, assai inquieta però perché a lei, troppo giovane, non era dato di ricevere Gesù nella Comunione. Ma Juanita non era per niente nata già santa… La sua natura era totalmente contraria all’esigenza evangelica: orgogliosa, egoista, ostinata, con tutti i difetti che ciò suppone. “Il mio carattere divenne irascibile, perché mi prendevano delle rabbie feroci… L’obbedire mi costava. Soprattutto quando mi comandavano, per svogliatezza ritardavo ad andare”. Ma quello che ella fece fu dichiarare accanita battaglia contro qualsiasi impulso che non nascesse dall’amore. Con un implacabile lavoro ascetico, eliminava ogni mancanza e infedeltà, guardando al suo divino Modello, lasciando che Lui la modellasse sempre più a sua immagine. A 10 anni era una creatura nuova. Il motivo immediato era stata la preparazione alla prima Comunione che stava per ricevere. Sapendo che proprio Dio andava ad abitare in lei, s’impegnò per acquistare tutte le virtù che l’avrebbero fatta meno indegna di questa grazia, giungendo in brevissimo tempo a trasformare completamente il suo carattere. “Nel mese del Sacro Cuore cambiai completamente di carattere. Non bisticciavo più con i bambini. A volte mi mordevo le labbra e mi sbrigavo a vestirmi. Facevo atti di virtù che appuntavo sul mio libretto. Nessuno riusciva più a farmi perdere la pazienza… La mamma si mostrava felice nel vedermi preparare così bene alla Prima Comunione”. Finalmente il 22 ottobre 1909 ricevette la Cresima e, dopo lunga e accurata preparazione, 1’11 settembre 1910 visse “il giorno senza nubi” del suo primo incontro eucaristico con Gesù. Il giorno della prima Comunione fu un giorno radioso. “Fu un giorno bello anche per la natura: il sole spandeva i suoi raggi ricolmando la mia anima di felicità e di ringraziamenti al Creatore… Quello che passò nell’anima mia verso Gesù non è cosa che si possa descrivere. Gli chiesi mille volte di prendermi e sentii per la prima volta la sua voce: ‘Figlia mia, dammi il tuo cuore, perché voglio farne il mio tempio’. Gli chiesi grazie per tutti… Gesù, dopo quel primo abbraccio, non mi lasciò più e mi prese per Sé”. Nel ricevere il sacramento dell’Eucaristia ebbe da Dio grazie mistiche di locuzioni interiori che poi si mantennero durante la sua vita. L’inclinazione naturale verso Dio, da questo giorno si trasformò in amicizia, in vita di orazione. Molto presto, cominciò ad accostarsi ogni giorno alla Comunione, preparata dalla Confessione assai frequente e da un fortissimo impegno di preghiera e di vita cristiana: “Mi comunicavo ogni giorno e parlavo con Gesù a lungo. Da quel giorno, la terra non aveva più attrattive per me”. Eppure Juanita sprizzava una gran gioia di vivere. Come si usava al suo tempo, per la formazione, dal 1907 al 1915, frequentò come esterna il collegio delle Suore del Sacro Cuore di Alameda. Dal 1915 al 1918, come alunna interna. Affettuosa, espansiva, piena di vita, non le piaceva molto quell’ambiente che giudicava troppo chiuso. Ne soffrì molto, e si sfogò: “Ridurrei in cenere l’Internato”. Avviandosi alla giovinezza, si rivelava una ragazza delicata di salute, ma gaia, briosa, amante dell’aria libera; praticava lo sport: il tennis, le gare di velocità, il nuoto. Continuava ad amare le lunghe cavalcate: “Ho viaggiato molto a cavallo e sono incantata salendo e scendendo colline. Mi dicono che sono una vera amazzone”. Amava la natura e ne rimaneva estasiata. Eppure si impegnava a fondo nello studio, diventando colta e saggia. Slanciata, alta un metro e settanta, occhi azzurri dolci e limpidi, un bel viso sempre sorridente e fresco, si sentiva adocchiata dai ragazzi e ne gradiva le attenzioni, sorrideva e rispondeva amabilmente… “Fin da piccola mi dicevano che ero la più carina dei miei fratelli. Solo Dio sa quanto mi è costato distruggere questo orgoglio o vanità che si impadronì del mio cuore…” – annotava revisionando la sua vita. Al di sopra e al di là di tutto, però, il suo unico Amore era Gesù ed era consapevole della via che Lui le stava tracciando: “lo devo seguire Gesù anche in capo al mondo, se Egli lo vuole. Egli solo occupa il mio pensiero e fuori di Lui tutto è ombra, afflizione e vanità”. Nel collegio del S. Cuore, scoprì la sua vera vocazione, aiutata dalla Madre Izquierdo e da Madre Rios: l’ideale della consacrazione a Dio, intravisto il giorno della sua prima Comunione, si fece sempre più sicuro e reale. Di fatto, già nella sua adolescenza, visse come una piccola consacrata. Si fece apostola di Gesù nella scuola e in mezzo ai poveri, i suoi prediletti, in mezzo ai bambini che amava perdutamente. Collaborò come bravissima catechista con i sacerdoti, andò a cercare quelli che soffrivano portando loro consolazione a ferite nascoste e aspre con cuore di sorella, di madre. Commentò: “Non c’è nulla di più ricco che donare”. Consigliata dalla Madre Rios, lesse la “Storia di un’anima” di S.Teresa di Gesù Bambino e imparò la fiducia totale nell’amore di Dio, e le “Lettere” della B. Elisabetta della Trinità, che le insegnò a “vivere con Gesù nell’intimo della mia anima, una vita di cielo”. Più tardi lesse il “Cammino di Perfezione” di Santa Teresa di Gesù, che le fece comprendere ancor meglio la sua vocazione. Ma l’instabilità tipica dell’età si fece sentire con rabbie, puntigli, voglia di piangere… A volte si sentiva triste, improvvisamente immusonita. Allora,”… ero così desiderosa di carezze che non potevo stare sola. .. Ma Nostro Signore mi parlò e mi fece capire quanto fosse solo e abbandonato nel Tabernacolo. Mi disse di tenergli compagnia… Ogni giorno penso più intensamente al Carmelo…”. Gesù le disse che la voleva carmelitana e che la sua meta doveva essere la santità. Nacque così in lei la vocazione al Carmelo: come ideale di silenzio, di preghiera contemplativa, di totale immolazione per la Chiesa e per l’umanità. La lotta che dovette combattere contro se stessa per essere fedele alla chiamata divina non poteva essere più dura. Lei stessa confessò l’estremo suo affetto verso la famiglia. Il bisogno di tenerezza fu innato in lei, perché ebbe un temperamento bisognoso di affetto. Lo dichiarano le lettere scritte ai suoi cari, specialmente al padre. Nell’agosto 1918, Juanita rientrò in famiglia nascondendo tutte queste sue pene e, per quanto le fu possibile, anche il suo progetto. Con molta naturalezza, mentre trattava a cuore a cuore con Gesù, intensamente, nel medesimo tempo si comportava come una qualsiasi giovane ragazza amante della vita: amava le passeggiate, contagiava tutti con la sua allegria, viveva aperta all’amicizia, alla gioia, alle cose belle della vita. Le piaceva rileggere le pagine del suo diario, in cui aveva annotato i suoi “incontri” con Lui: (“Gesù – scriveva il 13 luglio 1915, giorno del suo 15° compleanno – ha preso il comando della mia barchetta; mi ha tenuta legata a Lui solo e mi tiene prigioniera in Lui. Per Gesù lascerò tutto e andrò a nascondermi dietro le grate del Carmelo. Che felicità, che gioia! E’ il cielo sulla terra! ” “L’8 dicembre 1915, a 15 anni di età, faccio voto di non ammettere altro sposo che il mio Signore Gesù che voglio servire fino all’ultimo momento della mia vita”). Ma non era tutto così facile. La salute delicata le presentava ogni tanto un menù di sofferenze fastidiose: mal di testa, stanchezze improvvise, aridità interiori… “Mi sento insensibile, fredda come un marmo, senza poter meditare né fare la comunione con devozione. Gesù mio, tutto ti offro per i miei peccati e per i peccatori, per il Santo Padre e per i sacerdoti. Mi unisco al tuo abbandono sul Calvario”. E ancora: “ieri ho ricavato questo proposito dalla meditazione: mostrarmi allegra tutto il giorno. E l’ho fatto. Quasi non riuscivo a dominarmi… E’ una tristezza così grande che mi sento isolata da tutto il mondo… Questa è la volontà di Dio. Che si faccia come a Lui piace”. Mentre tutti, parenti, amici, domestici, si compiacevano della sua chiassosa allegria, dentro di lei si agitavano dubbi e tormenti cruciali sul suo futuro.”Mi trovo in un periodo di dubbi così atroci che non riesco a decidermi se essere Carmelitana o delle Suore del Sacro Cuore… Ciò che desidero sapere è dove mi santificherò più presto, dato che Nostro Signore, come lo ha manifestato più volte, mi ha fatto capire che vivrò molto poco…”. Scoprì che a Los Andes c’era un piccolo monastero di Carmelitane. Una visita al piccolo monastero le tolse ogni dubbio: “Si sono finalmente compiuti i desideri che ho coltivato per anni. Ho conosciuto il mio caro piccolo “colombaio”. Che impressione mi ha fatto nel vedere quel conventino! Ha un aspetto molto povero… Appena l’ho visto mi ha incantato e sedotto… E loro, incantevoli: così allegre, così spontanee. Al principio mi sentivo un po’ emozionata e un po’ vergognosa; ma poi nulla. Ero diventata una gazza. Tutto è semplicità, confidenza, intimità. Tra loro scherzavano, ridevano, si prendevano amabilmente in giro. Mi hanno trovato molto alta…”. Era tornata la pace del cuore. Era ormai decisa per il Carmelo… Il 5 settembre 1917, scrisse alla Priora confidandole il suo sogno e dicendole molto realisticamente le difficoltà che pure incontrava, soprattutto per la sua salute. Era consapevole della scelta che stava per fare, tutt’altro che facile: soffrire, pregare e amare: era questo il suo ideale. “Il mio Gesù mi ha insegnato queste tre cose fin da bambina”. Nel settembre 1918 ricevette la notizia che era accettata in monastero. Ma come dirlo in casa? Tremava al solo pensarci per sé e per loro. Intanto si diede con rinnovato ardore alle opere di carità e di apostolato. Con la sorella Rebecca organizzava doposcuola, commediole e giochi e perfino il cinema per più di cinquanta ragazzi troppo abbandonati a se stessi e all’ignoranza. Ed ogni tanto ancora si dava pazzamente all’equitazione, uscendo per giornate intere coi suoi fratelli, salendo “una collina di tale pendenza, che Edoardo credeva che non l’avrei potuta salire. Mi sono aggrappata alla criniera del cavallo e ho cominciato a salire tranquillamente… Vi sono tratti di cammino che sono vere montagne russe: ciò mi dava un vero piacere”. Sentiva ormai avvicinarsi il giorno della separazione. Le si spezzava il cuore soltanto a pensarci. Confidò il suo progetto alla sorella prediletta, Rebecca, alla mamma, infine al padre, chiedendo il consenso che le veniva dato, tra le lacrime. “Tutto questo tempo – scriveva il 25 aprile 1919 – è terribile perché dovunque io giri lo sguardo, non vedo che lacrime. Tuttavia dentro di me sento una energia e un coraggio che mi è impossibile descrivere”. Era il miracolo della grazia santificante che dal Cuore di Gesù scendeva nella sua anima e la sosteneva nel passo decisivo che stava per compiere. Il 7 maggio 1919 entrò nel piccolo monastero dello Spirito Santo, a Los Andes, a circa 90 km. da Santiago. Era assai felice e lo scrisse ai genitori e alle amiche lasciate nel mondo:”Se ieri mi sono separata dai miei con il cuore lacero, oggi godo di una pace inalterabile. Non puoi immaginare, papà caro, l’affetto e la sollecitudine veramente materna delle consorelle… Ora ti scrivo dalla mia cella che seppure povera non cambierei con la casa più ricca del mondo. Mi sento felice in mezzo a tanta povertà, perché possiedo Dio ed Egli solo mi basta”. “Che felicità quando ci troviamo immerse nell’oceano immenso dell’Amore. Quanto mi sento felice con Colui che solo vive! Egli mi ha trasformata”. Era davvero l’inizio della sua più intensa (quanto rapida) trasfigurazione in Gesù. Giunsero presto i giorni dell’aridità e della fatica, del dolore. Juanita sapeva che era giunta l’ora di essere più unita che mai a Gesù, alla sua espiazione sulla Croce per i peccati del mondo, al suo sacrificio per la Chiesa e per tutte le anime: “Non abbiamo altro desiderio che di glorificare Dio, compiendo, ogni momento, come Gesù, la sua divina volontà, fino alla croce”. Il 14 ottobre 1919, vestì l’abito carmelitano e prese il nome di suor Teresa di Gesù, in onore della grande Riformatrice del Carmelo. Visse assai regolarmente la sua vita di novizia: fedele alle istruzioni della madre Maestra, alla preghiera, al lavoro, ai servizi che le erano richiesti, con un’intensità da stupire. Dal suo cuore innamorato di Gesù Cristo saliva a Dio un’ offerta purissima di amore e di dedizione. Passava lunghe ore davanti al Tabernacolo, in un colloquio con Lui, per riparare, intercedere per tutta la Chiesa. Amava il suo Sposo e amava la Chiesa e sentiva che come carmelitana era inviata a tutta la Chiesa, che ogni anima doveva poter contare su di lei. Ebbe una sete grande di imitare, in questo, la SS. Vergine che amò fin da bambina: “Quello che mi fa amare di più la mia vocazione è vedere la vita della carmelitana simile a quella della Madonna. Ella solo pregò, soffrì e amò. E tutto in silenzio”. Suor Teresa avvertì però che le sarebbero stati dati solo una manciata di giorni per vivere. Accolse questa realtà con gioia, serenità e confidenza, sicura che nell’eternità avrebbe continuato la sua missione: far conoscere ed amare Dio. Nel marzo 1920, confidò al suo confessore, il P. Avertano che, sapendo di morire entro un mese, aveva bisogno di poter intensificare le sue penitenze. Il 1° aprile 1920, giovedì santo, rimase a lungo in coro, rapita dalla presenza reale di Gesù nell’Eucaristia. Così, il venerdì santo, non mancò alla sua giornata di vita comune con le altre, occupata fino all’ultima fibra nell’offerta di sé con il Cristo Crocifisso. Ma alla sera, quando già la febbre era altissima, il medico, subito chiamato, constatò che nessun rimedio era efficace al tifo che l’aveva colpita. Il giorno di Pasqua, era sicura che ormai sarebbe andata in Paradiso a vedere per sempre il Risorto. Lunedì 5 aprile, ricevette l’Estrema Unzione. Il 6 aprile, offrì a Dio i voti facendo la professione “in articulo mortis”: morirà carmelitana professa. Seguirono giorni di grande sofferenza, che ella offrì a Dio minuto per minuto. Il 12 aprile 1920, al tramonto del giorno, ore 19 circa, Teresa andò incontro a Dio: aveva solo 19 anni e nove mesi di età, 11 mesi di vita religiosa. Aveva bruciato le tappe ed era giunta alla meta, luminosa, ardente, edificando tutta la comunità con le sue virtù. Pochi mesi di intensa mistica esperienza della presenza di Gesù, contemporaneamente a terribili sensazioni di abbandono da parte di Dio, esperienza dolorosa dell’assenza di Dio. Al Carmelo, come Teresa di Gesù Bambino, provò ansie di martirio, ma sapeva che il suo martirio stava nel terribile quotidiano, lì tra quattro mura, con le proprie consorelle: c’era il sufficiente per offrirsi tutta a Dio. Come Teresa di Gesù Bambino propose e ribadì la possibilità concreta in via ordinaria, quotidiana e feriale, della santità per tutti, senza illusioni e senza requisiti e fenomeni straordinari. Nel 1947, iniziò la sua causa di beatificazione. A Santiago del Cile, il 3 aprile 1987, Papa Giovanni Paolo II la beatificò. Il 21 marzo 1993, in S. Pietro a Roma, il medesimo Pontefice la iscrisse tra i Santi: S. Teresa di Gesù de Los Andes. I suoi resti sono venerati nel Santuario di Auco-Rinconada de Los Andes da migliaia di pellegrini che cercano e trovano in lei consolazione, luce e via sicura verso Dio. Santa Teresa di Gesù de Los Andes è la prima Santa cilena, la prima Santa Carmelitana Scalza fuori le frontiere d’Europa e la quarta Santa Teresa del Carmelo dopo le Sante Terese di Avila, di Firenze e di Lisieux.