Santa Teresa del Bambino Gesù del Volto Santo

Biografia

Nacque ad Alençon, piccolo paese della Normandia francese, il 2 gennaio 1873, da Luigi Giuseppe Stanislao Martin (22 agosto 1823 – 29 luglio 1894) e Maria Zelia Guérin (23 dicembre 1831 – 28 agosto 1877), ultima di nove bimbi. Battezzata nel pomeriggio del giorno 4 nella chiesa di Notre – Dame, la bambina ricevette i nomi di Maria Francesca Teresa. L’ambiente familiare era tutto pervaso di fede e di pietà. I genitori, che nella loro giovinezza avevano aspirato ambedue alla vita religiosa, formarono poi una famiglia, animati dalla preoccupazione principale del bene spirituale delle figlie. Teresa scriverà: «Avevo soltanto buoni esempi intorno a me, naturalmente volevo seguirli» (MA 32). Ebbero nove figli, tra i quali quattro morti in tenera età: Maria (Suor Maria del Sacro Cuore, carmelitana a Lisieux, 22 febbraio 1860 – 19 gennaio 1940); Paolina (Suor Agnese di Gesù, carmelitana a Lisieux, 7 settembre 1861 – 28 luglio 1951); Leonia (Suor Francesca Teresa, visitandina, 3 giugno 1863 – 16 giugno 1941); Elena (1864 – 1870), Giuseppe Luigi (1866 – 1867), Giuseppe Giovanni Battista (1867 – 1868); Celina (Suor Genoveffa del Volto Santo, carmelitana a Lisieux, 28 aprile 1869 – 25 febbraio 1959); Melania Teresa (16 agosto – 8 ottobre 1870); Teresa (Suor Teresa del Bambino Gesù del Volto Santo, carmelitana a Lisieux, 2 gennaio 1873 – 30 settembre 1897). Il padre aveva imparato l’orologeria in Svizzera mentre la madre dirigeva merlettaie che a domicilio facevano i celebri pizzi di Alençon. Teresa, nata quando la mamma aveva 42 anni ed era sofferente e affaticata, aveva ereditato una salute precaria. Da piccina soffriva facilmente di bronchiti, infiammazioni polmonari con febbre alta e oppressione. Di indole e intelligenza precoce, era affettuosissima: «Per tutta la vita è piaciuto a Dio circondarmi d’amore: i primi ricordi sono sorrisi e carezze tenerissime…» (MA 14), ma non era una bambina mite e mansueta: la stessa madre, nei suoi scritti, affermava che quella sua piccola figlia era vivace, fiera e testarda. «…,è di una ostinazione quasi invincibile; quando dice “no”, niente da fare; la metti in cantina tutta la giornata, lei ci dorme piuttosto che dire “sì”» (Lettera della mamma a Paolina 5.12.1875). Alla morte della madre (per un male di natura cancerogena), avvenuta il 28 agosto 1877, Teresa aveva solo quattro anni. Il giorno delle esequie della mamma «il buon Dio volle darmene un’altra sulla terra e volle che scegliessi liberamente». E così se Celina si gettò nelle braccia della sorella maggiore, Maria, Teresa si buttò in quelle di Paolina (cfr. MA 44). Il grave lutto le procurò una ferita profonda e il suo carattere cambiò: diventò timida, dolce, sensibile. Ebbe, nel padre, un valido supporto materiale ma soprattutto spirituale. Egli la chiamava scherzosamente “piccola Regina di Francia e di Navarra”, o anche “l’orfanella della Beresina”, quasi prevedendo il freddo che la piccola Teresa avrebbe sofferto senza mai un lamento, nel Convento del Carmelo. In famiglia, Teresa fu oggetto della tenerezza più delicata del padre e delle sorelle, per cui non provò alcun dispiacere nel lasciare Aleçon per la nuova residenza a Lisieux, nella bella villa dei Buissonnets dove vivevano zii e cugini. «Non soffrii lasciando Alençon. I bimbi gradiscono i cambiamenti; e venni a Lisieux con piacere» (MA 46). Il trasferimento si era reso quasi necessario a papà Martin per trovare un sostegno nell’ educazione delle cinque figlie. «Potrei dire che fu durante il mio soggiorno ad Alençon che feci il mio primo ingresso nel mondo. Tutto era gioia, felicità attorno a me, ero festeggiata, coccolata, ammirata, in una parola la mia vita per quindici giorni fu cosparsa soltanto di fiori. Confesso che quella vita aveva un fascino per me… perciò considero una grande grazia non essere rimasta ad Alençon; gli amici che avevamo là erano troppo mondani,… non pensavano abbastanza alla morte… Quanto ringrazio Gesù di avermi fatto trovare solo «amarezza nelle amicizie della terra». Con un cuore come il mio, mi sarei lasciata prendere e tarpare le ali, … Come può un cuore dedito all’affetto delle creature unirsi intimamente a Dio? … Senza aver bevuto alla coppa avvelenata dell’amore troppo ardente per le creature, io sento che non posso sbagliarmi… Ah, lo sento, Gesù mi sapeva troppo debole per espormi alla tentazione! … Quindi non ho alcun merito per non essermi abbandonata all’amore delle creature, dal momento che ne fui preservata solo per la grande misericordia del buon Dio!» Paolina, come sua seconda mamma, le era vicina da quando si svegliava: l’aiutava a vestirsi, a recitare le preghiere; più tardi, con l’aiuto delle sorelle, imparò a leggere e a scrivere. Verso la fine del 1879 Teresa si accostò per la prima volta al sacramento della penitenza. Educata dalle Benedettine di Lisieux, l’8 maggio 1884 ricevette la prima Comunione che fu per lei una “fusione d’amore”. «Il giorno bello tra tutti finalmente arrivò… come fu dolce il primo bacio di Gesù alla mia anima! Fu un bacio d’amore, mi sentivo amata, e perciò dicevo: «Ti amo, mi do a te per sempre» …da molto tempo, Gesù e la povera piccola Teresa si erano guardati e si erano capiti… Quel giorno non era più uno sguardo, ma una fusione, non erano più due: Teresa era scomparsa, come la goccia d’acqua che si perde in seno all’oceano…» (MA 109). Poche settimane più tardi, il 14 giugno, ella ricevette il sacramento della Cresima. L’entrata nel Carmelo di Lisieux della sorella Paolina nel 1882 consentì a Teresa di capire come la vita fosse sofferenza e separazione continua. Pur nel grande dolore per la partenza della sorella cominciò ad avvertire la certezza di una chiamata di Dio. Infelice a scuola, nonostante la pronta e non comune intelligenza, si ammalò di una malattia grave e misteriosa. Un’insistente preghiera a Maria la salvò il 13 maggio 1883: aveva 10 anni. La “Vergine del sorriso” diventò sua Madre. Nel 1885, Teresa affrontò un’altra dolorosa separazione in quanto la sorella Maria, colei che sapeva tutto quello che passava nella sua anima, decise di farsi anche lei carmelitana. La notte del 25 dicembre del 1886 ottenne la “grazia di Natale”: la grazia della sua trasformazione, della sua completa conversione. Ricevette la forza di Cristo e la guarigione da una specie di nevrosi (timidezza eccessiva, ipersensibilità, fragilità emotiva, scrupoli, paure…) che la paralizzava, recuperando la sua serenità. Ormai rassicurata, si aprì a grandi interessi ed intensi desideri, dedicandosi alla conversione dei peccatori. Avendo sentito parlare di un grande criminale, il Pranzini, appena condannato a morte, volle ad ogni costo impedirgli di ricevere il castigo eterno e pose questa intenzione in tutte le sue preghiere. La sua fiducia nella misericordia divina fu appagata e il criminale salì al patibolo baciando il crocifisso. Fu il suo primo figlio… Intanto il desiderio e la determinazione di entrare anche lei al Carmelo si fecero sempre più forti. «Gesù mi istruiva in segreto delle cose che riguardavano il suo amore». «Tutte le grandi verità della religione… immergevano l’anima mia in una felicità che non era di questa terra. Presentivo ciò che Dio riserva a coloro che lo amano» (MA 138). Il 29 maggio del 1887 (solennità della Pentecoste), Teresa chiese al padre il permesso di entrare al Carmelo: «Soltanto nel pomeriggio, tornando dai vespri, trovai l’occasione per parlare al mio babbo carissimo; era andato a sedersi sul bordo della vasca, e, con le mani giunte, contemplava le meraviglie della natura… Il bel volto di Papà aveva un’espressione celeste, sentivo che la pace gl’inondava il cuore. Senza dire una parola mi sedetti accanto a lui, gli occhi pieni di pianto. Mi guardò con tenerezza, mi prese la testa, l’appoggiò sul suo cuore, dicendomi: “Che cos’hai, reginetta? Confidamelo”. Poi, alzandosi come per nascondere la propria emozione, camminò lentamente tenendomi sempre la testa appoggiata sul suo cuore. Tra le lacrime gli confidai che desideravo entrare nel Carmelo. Allora le lacrime sue si unirono alla mie, ma non disse una parola per distogliermi dalla mia vocazione… egli fu subito convinto che il mio desiderio era quello di Dio stesso, e nella sua fede profonda esclamò che il buon Dio gli faceva un grande onore a domandargli così le sue figlie. Continuammo a lungo la nostra passeggiata; il mio cuore, sollevato dalla bontà con la quale il mio incomparabile padre aveva accolto le sue confidenze, si riversava dolcemente nel suo. Papà sembrava godere di quella gioia tranquilla che dà il sacrificio consumato…» (MA 143). Al Carmelo le monache non erano contrarie al suo ingresso, ma il canonico Delatroette, delegato del Vescovo per il monastero, oppose un veto risoluto, motivandolo con la sua giovane età. Ma «ero risoluta a raggiungere il mio scopo… sarei andata perfino al Santo Padre se Monsignore non mi avesse permesso d’entrare nel Carmelo a quindici anni… ” (MA, 146). Un pellegrinaggio diocesano a Roma, in occasione delle nozze d’oro sacerdotali di Leone XIII, rese immediatamente possibile quel passo. La accompagnarono il papà e Celina. Dopo varie tappe, giunsero a Roma, al grande giorno, domenica 20 novembre. «Prima di entrare nell’appartamento pontificio ero ben decisa a parlare, ma mi sentii mancare il coraggio quando vidi alla destra del Santo Padre “Monsignore Révérony!”… “Santo Padre – dissi – in onore del vostro giubileo, permettetemi di entrare nel Carmelo a quindici anni”. L’emozione certo mi fece tremare la voce, cosicché il Santo Padre, volgendosi al Monsignore Révérony, il quale mi guardava meravigliato e scontento, disse: “Non capisco bene”… “Beatissimo Padre – rispose il Vicario generale – è una bambina che desidera entrare nel Carmelo a quindici anni, ma i superiori stanno esaminando la questione”. “Ebbene, figlia – rispose il Santo Padre guardandomi con bontà – fate ciò che vi diranno i superiori”. Allora, appoggiando le mani sulle sue ginocchia, tentai un ultimo sforzo e dissi con voce supplice: “Oh! Beatissimo Padre, se voi diceste ‘sì’, tutti sarebbero d’accordo”. Mi guardò fissamente, e pronunciò queste parole appoggiando su ciascuna parola: “Bene…, bene… Entrerete se Dio lo vorrà» (MA 173-174). Finalmente il 9 aprile 1888 Teresa, dopo tre mesi di attesa, entrò al Carmelo di Lisieux, varcò la soglia della clausura in preda ad un emozione così profonda che a causa dei battiti del proprio cuore temette di morire. La mattina del gran giorno, dopo aver dato un ultimo sguardo ai Buissonnets, «partii al braccio del mio caro Re per salire la montagna del Carmelo» (MA 192). «La mia emozione non mi tradì all’esterno. Dopo aver abbracciato tutti i miei, m’inginocchiai dinanzi al mio incomparabile Padre, chiedendogli la benedizione, Per darmela, si mise in ginocchio e mi benedisse piangendo… Dopo qualche istante le porte dell’arca santa si chiusero dietro di me, e là ricevetti gli abbracci delle consorelle… Sentivo nell’animo una pace così dolce e profonda che non posso esprimerla, e da sette anni e mezzo questa intima pace mi è rimasta e non mi ha mai abbandonata, neppure tra le più grandi prove» (MA 193). Al Carmelo incontrò “più spine che rose”, ma ella tutto offrì per la salvezza delle anime e per i sacerdoti in particolare. Aveva quindici anni, e più delle altre patì il rigore del freddo: andava al refettorio come ad un supplizio per il cibo non adatto – ma era così paziente che le consorelle le passavano i cibi avanzati dalle altre – e poi le penitenze prescritte dalla Regola: astinenza perpetua dalle carni, frequenti e prolungati digiuni, tre flagellazioni settimanali, recita notturna di una parte della liturgia delle Ore, abito di panno rozzo, biancheria di ruvida tela, il pagliericcio. Ma soffriva anche per altro. Scrisse della madre Superiora, Maria di Gonzaga: «… il buon Dio permetteva che, senz’accorgersene, fosse molto severa; non potevo incontrarla senza baciar terra e lo stesso accadeva nei rari colloqui di direzione che avevo con lei» (MA, 197). La Comunità religiosa era la sua nuova famiglia e lei non doveva avere preferenze, non doveva avere delle confidenti privilegiate, neppure le sorelle Maria e Paolina. Trasformò in stimoli di santificazione maltrattamenti, mediocrità, storture, restituendo gioia in cambio delle offese. Cercò, con semplicità evangelica e con il sorriso, espressione di quella gioia ultraterrena che la animava, di trasmettere ciò che sentiva e ciò a cui anelava alle sue consorelle, con la parola e con l’esempio. «Non c’è che una cosa da fare per provarti il mio amore, o Gesù, – ella scriveva nel suo libro – : gettare sotto i vostri passi i fiori dei piccoli sacrifici». E altrove: «lo voglio insegnare i piccoli modi che mi sono riusciti»; oppure «0 mio Ben amato, ti supplico d’abbassare il tuo sguardo divino su un gran numero di piccole anime; ti supplico di sceglierti in questo mondo una legione di piccole anime, degne del tuo amore». Spesso però questi gesti, la sua umiltà e le sue parole furono incomprese. Ma ella non se ne curò e accettò e sopportò pazientemente tutto, non rifiutò alcun lavoro e offrì risolutamente e serenamente tutti i sacrifici, come disse con parole che sono diventate il suo segno distintivo, «per gettare rose su tutti, giusti o peccatori» o «l’indulgenza plenaria, che tutti possono acquistare, non è forse quella della Carità che copre la moltitudine dei peccati?».Teresa «senza illusioni» aveva trovato «la vita religiosa così come se l’era immaginata»; «nessun sacrificio mi ha meravigliato»; «la sofferenza mi ha teso le braccia, e mi sono gettata con amore» (MA 195). E in sé compì la riforma del monastero. Il 23 giugno ebbe una prova quale forse mai avrebbe pensato le accadesse: il signor Martin – il suo «re» – sparì da casa per quattro giorni; il 12 agosto poi fu colpito da paralisi. «O Madre, quanto abbiamo sofferto!… ed era soltanto l’inizio della nostra prova. Tuttavia il tempo della mia vestizione era giunto; fui accolta dal capitolo, ma come pensare a fare una cerimonia? Già si parlava di darmi il santo abito senza farmi uscire, quando si decise di aspettare. Contro ogni speranza il nostro diletto papà si riprese dal suo secondo attacco e Monsignore fissò la cerimonia al 10 gennaio». Il giorno della vestizione il papà era presente alla cerimonia, e lei, in abito da sposa, uscì dalla clausura per assistere in mezzo alla famiglia alla cerimonia. Aveva desiderato la neve per quel giorno, e, nonostante il clima mite, nevicò. In quel giorno al nome di Suor Teresa del Bambino Gesù aggiunse anche quello del Volto Santo. «Che bella festa!… niente mancò, niente, nemmeno la neve… e il fiore più bello, più incantevole, era il mio diletto Re … quel giorno fu il suo trionfo, la sua ultima festa quaggiù. Aveva dato tutti i suoi figli al buon Dio… Dopo aver abbracciato per l’ultima volta il mio diletto Re, rientrai in clausura:… subito dopo il mio sguardo si posò sui fiocchi di neve… il cortile era bianco come me. Che delicatezza di Gesù! Prevenendo i desideri della sua piccola fidanzata, le donava la neve…» «Che io cerchi e non trovi mai che te solo… Che le cose della terra non possano mai turbare la mia anima… Gesù, non ti domando che l’amore, l’amore infinito, senza altro limite che te… l’amore che non sia più io ma Tu»: questa fu la preghiera formulata da Teresa nel giorno della sua professione, l’8 settembre 1890. «Finalmente il bel giorno delle mie nozze arrivò: fu senza nubi, ma la sera prima si alzò nella mia anima una tempesta come mai ne avevo viste. Mai il minimo dubbio sulla mia vocazione mi era venuto in mente; bisognava che conoscessi questa prova». Il Signore sembrava “dormire” nella sua anima. Erano i primi segni della “notte oscura” della fede: «… La sera, mentre facevo la via Crucis dopo mattutino, la mia vocazione mi apparve come un sogno, una chimera: trovavo bellissima la vita del Carmelo, ma il demonio mi ispirava la certezza che non era fatta per me, che avrei ingannato le superiore procedendo per una strada alla quale non ero chiamata. Le mie tenebre erano così grandi che vedevo e capivo una cosa sola: Non avevo la vocazione! Ah, come descrivere l’angoscia della mia anima? Mi sembrava, cosa assurda che dimostra che quella tentazione veniva dal demonio, che se dicevo i miei timori alla maestra questa mi avrebbe impedito di pronunciare i Santi Voti; … piena di smarrimento le raccontai lo stato della mia anima… appena ebbi finito di parlare i miei dubbi scomparvero… La mattina dell’8 settembre, mi sentii inondata da un fiume di pace e fu in questa pace «che sorpassa ogni sentimento» che pronunciai i Santi Voti… Quante grazie ho chiesto in quel giorno! …»(MA 217). Ebbe in quel periodo una grande consolazione. Era di gusti raffinati anche nello spirito e non trovava facilmente dei “buoni” predicatori, ma le piacquero gli esercizi predicati da padre Alexis Prou che le disse che «le sue colpe non addoloravano il Signore, e aggiunse come suo rappresentante e a nome suo, che Dio era molto contento» di lei (MA 227). Il suo maestro di preghiera era Gesù, e il suo libro: il Vangelo. «Quando leggo certi trattati spirituali… il mio povero spirito è ben presto affaticato. Chiudo il dotto libro che mi spacca la testa e mi secca il cuore, e apro la S. Scrittura. Basta una sola parola perché scopra al mio animo orizzonti infiniti e la perfezione mi sembra facile» (LT 226). «Senza mostrarsi, senza far sentire la propria voce, Gesù mi istruisce segretamente, non attraverso i libri, poiché io non capisco ciò che leggo» (MB 241). Il 12 maggio 1892 Teresa ricevette l’ultima visita al Carmelo del signor Martin, che riuscì a dire soltanto: «Al Cielo». Dopo la morte del padre, il 29 luglio 1894, la vita di Teresa fu ancora attraversata da prove interiori, ma fu sollevata dall’incontro con il proprio padre spirituale che la spinse a vele spiegate sulle onde della fiducia e dell’amore. Venne affidata a Teresa la formazione delle novizie e anche la sorella Celina, il 14 settembre, fece il suo ingresso fra le suore del Carmelo di Lisieux prendendo il nome di suor Genoveffa del Volto Santo. Le due sorelle si ritrovarono ed ebbero modo di aiutarsi reciprocamente nel loro cammino verso la perfezione. Verso al fine del 1894, un giorno, proprio durante l’orazione, due versetti dell’Antico Testamento la illuminarono. In San Paolo e nel Vangelo trovò conferma. Anche lei, che si sentiva così piccola, fragile, debole e impotente, incapace di cose grandi, poteva aspirare alla santità: l’ascensore che le avrebbe permesso di salire così in alto sarebbero state “le braccia di Gesù”. Sarebbe bastato aver confidenza totale in Lui, abbandonarsi, restare piccola e divenirlo sempre più. «Il buon Dio non può ispirare desideri inattuabili, perciò posso, nonostante la mia piccolezza, aspirare alla santità; diventare più grande mi è impossibile: debbo sopportarmi tale quale sono con tutte le mie imperfezioni. Nondimeno voglio cercare il mezzo di andare in Cielo per una via ben diritta, molto breve, una piccola via tutta nuova» (MC 271). Teresa ebbe la gioia di scoprire nei Proverbi (9,4) queste parole: «Chi è molto piccolo venga a me»; ed anche la gioia di apprendere da Isaia (66,13) quel che Dio avrebbe preparato al piccolissimo che fosse andato da Lui: «Come una madre accarezza il suo bambino, così io vi consolerò, vi porterò sul seno e vi cullerò sulle ginocchia». La via tutta nuova, breve, diritta era quella dei “piccoli” del Vangelo: «Se non diventerete come fanciulli non entrerete nel regno dei cieli» (Mt 18,13). Scoprì così la “piccola via” dell’infanzia spirituale ispirata alla semplicità e all’umile confidenza nell’amore misericordioso del Padre. Non riusciva a rendersi ragione di come alcune sue consorelle avessero “paura di Dio” e si sentiva un po’ sola nella ricerca della santità, perché il suo padre spirituale era andato missionario in Canada. La sua «piccola via » aveva in sé una potenza di dedizione senza limiti e trasformò la sua vita: «Non ho mai rifiutato nulla al buon Dio!». Il 9 giugno 1895 Teresa ricevette l’ispirazione di offrirsi quale olocausto all’Amore misericordioso e compì questa offerta di sé insieme alla sorella Celina: «Pensavo alle anime che si offrono come vittime alla Giustizia di Dio allo scopo di stornare e di attirare su di sé i castighi riservati ai colpevoli; questa offerta mi sembrava grande e generosa, ma io ero lontana dal sentirmi portata a farla. «O mio Dio! esclamai in fondo al cuore, ci sarà solo la tua Giustizia a ricevere anime che si immolano come vittime? Il tuo Amore Misericordioso non ne ha bisogno anche lui? … O mio Gesù! che sia io questa felice vittima, consuma il tuo olocausto con il fuoco del tuo Amore Divino!». Madre diletta, lei che mi ha permesso di offrirmi così al buon Dio, lei conosce i fiumi o meglio gli oceani di grazie che sono venuti ad inondare la mia anima. Ah, da quel giorno felice, mi sembra che l’Amore mi penetri e mi circondi, mi sembra che ad ogni istante questo Amore Misericordioso mi rinnovi, purifichi la mia anima e non vi lasci nessuna traccia di peccato…». Ella accompagnò con la preghiera un giovane seminarista che si preparava a divenire missionario, incoraggiandolo ad affrontare con coraggio e fiducia il suo impegno. Proprio in quell’anno la Priora, madre Agnese di Gesù (Paolina), le domandò di scrivere i suoi appunti, quasi un diario. Su di un piccolo quaderno di scuola, cominciò a “Cantare le Misericordie del Signore” nella sua vita. Scisse la prima parte della «Storia di un’anima» (Manoscritto A). I suoi pensieri furono la cronaca quotidiana del suo cammino di identificazione con l’Amore. Scrisse pure dei poemi e delle scene teatrali per le ricreazioni nei giorni di festa particolare per la comunità. Né la malattia – una grave forma di tubercolosi la stava divorando! – né una tremenda prova interiore contro la fede e la speranza (e qui arrivò a comprendere e com-patire gli increduli del suo tempo!) riuscirono ad arrestare la sua audace fiducia in Gesù Salvatore. Nella corrispondenza con i suoi due fratelli spirituali sacerdoti missionari, maturò una mentalità ed una passione missionaria per tutta la Chiesa. «Vorrei percorrere la terra, predicare il tuo nome e piantare sul suolo infedele la tua Croce gloriosa! Ma, o mio Amato, una sola missione non mi basterebbe: vorrei al tempo stesso annunciare il Vangelo nelle cinque parti del mondo e fino nelle isole più lontane. Vorrei essere missionaria non solo per qualche anno, ma vorrei esserlo stata dalla creazione del mondo ed esserlo fino alla consumazione dei secoli…Da molto tempo avevo un desiderio che mi pareva veramente irrealizzabile, quello di avere un fratello sacerdote … ed ecco che Gesù non solo mi ha fatto la grazia che desideravo, ma mi ha unita con i vincoli dell’anima a due dei suoi apostoli, …poiché «lo zelo di una carmelitana deve incendiare il mondo», spero con la grazia del buon Dio di essere utile a più di due missionari …». Il 3 aprile 1896, durante la notte fra il giovedì ed il venerdì santo, ebbe una prima manifestazione della malattia che l’avrebbe condotta alla morte: «Dopo essere rimasta al “sepolcro” fino a mezzanotte, rientrai nella nostra cella; ma avevo appena posto la testa sul cuscino che sentii un fiotto salire, salire quasi bollendo fino alle mie labbra» (MC, 275). Nel corso del suo ultimo ritiro (nel settembre 1896), Teresa scrisse il Manoscritto B. Ella scoprì la sua vocazione: “Nel cuore della Chiesa, mia Madre, io sarò l’amore!” e offrì la sua vita per la salvezza delle anime e per l’edificazione della Chiesa. «Essere tua sposa, Gesù, essere carmelitana, essere, grazie all’unione con te, madre di anime, dovrebbe bastarmi. Non è così! Certo, questi tre privilegi sono la mia vocazione: Carmelitana, Sposa e Madre; ma io sento in me altre vocazioni: mi sento la vocazione di Guerriero, di Sacerdote, di Apostolo, di Dottore, di Martire; insomma, sento il bisogno, il desiderio di compiere per te, Gesù, tutte le opere più eroiche…Sento in me la vocazione di Sacerdote: con quanto amore, o Gesù, ti porterei nelle mie mani … Con quanto amore ti darei alle anime! … vorrei illuminare le anime come i Profeti, i Dottori! Ho la vocazione d’essere Apostolo. Vorrei percorrere la terra, predicare il tuo nome …Ma vorrei soprattutto, o mio Amato Salvatore, vorrei versare il sangue per te fino all’ultima goccia! Il Martirio: ecco il sogno della mia giovinezza! … O mio Gesù, cosa risponderai a tutte le mie follie? Esiste un’anima più piccola, più impotente della mia? … Durante l’orazione i miei desideri mi facevano soffrire un vero e proprio martirio. Aprii le epistole di San Paolo per cercare qualche risposta. Mi caddero sotto gli occhi i capitoli XII e XIII della prima lettera ai Corinzi. Nel primo lessi che non tutti possono essere apostoli, profeti, dottori, ecc…, che la Chiesa è composta da diverse membra e che l’occhio non potrebbe essere al tempo stesso la mano. La risposta era chiara ma non appagava i miei desideri, non mi dava la pace… continuai la lettura e questa frase mi rincuorò: «Cercate con ardore i doni più perfetti; ma io vi mostrerò una via ancora più eccellente». E l’Apostolo spiega come tutti i doni più perfetti non sono niente senza l’Amore. Che la Carità è la via eccellente che conduce sicuramente a Dio. Finalmente avevo trovato il riposo! … Capii che solo l’Amore faceva agire le membra della Chiesa: che se l’Amore si dovesse spegnere, gli Apostoli non annuncerebbero più il Vangelo, i Martiri rifiuterebbero di versare il loro sangue. Capii che l’Amore racchiudeva tutte le vocazioni, che l’Amore era tutto, che abbracciava tutti i tempi e tutti i luoghi! Insomma che è eterno! Allora, nell’eccesso della mia gioia delirante ho esclamato: O Gesù mio Amore, la mia vocazione l’ho trovata finalmente! La mia vocazione è l’Amore! Sì, ho trovato il mio posto nella Chiesa e questo posto, o mio Dio, sei tu che me l’hai dato: nel Cuore della Chiesa, mia Madre, sarò l’Amore! Così sarò tutto, così il mio sogno sarà realizzato!!!». Teresa ricevette il dono di comprendere davvero il mistero dell’infanzia di Cristo: una infanzia che si estendeva fin sulla Croce, là dove Egli diventò totalmente il Bambino del Padre celeste, abbandonato nelle Sue mani, prima di essere nuovamente deposto sul grembo della Vergine Addolorata. A Teresa – nell’ultimo anno e mezzo di sua vita – fu chiesto di immedesimarsi nella passione di Gesù. Morendo in Croce, Egli si caricò di tutti i nostri peccati, di tutto il nostro rifiuto di Dio, di tutta la nostra maledizione. Perfino il mondo si coprì di tenebra. Ma contemporaneamente il Suo cuore bruciava di amore per il Padre e per tutti gli uomini. Così Cristo esperimentava assieme tutta la tenebra del nostro male e tutto il fuoco luminoso del Suo amore. Così pure Teresa – in quegli ultimi mesi di vita – si sentiva avvolta da tenebre fittissime e da pensieri angoscianti, ma i suoi insegnamenti più caldi sull’amore di Dio e del prossimo, i suoi desideri più travolgenti, le sue espressioni più tenere e delicate appartengono tutte a questo periodo. Fu allora che ella divenne compiutamente «Teresa del Bambino Gesù del Volto Santo». L’8 luglio 1897, date le sue gravi condizioni, Teresa venne trasferita in infermeria e madre Agnese di Gesù (Paolina), giorno dopo giorno, ne annotò gli Ultimi colloqui. «Sento di avviarmi al riposo. Ma soprattutto sento che la mia missione sta per cominciare: la mia missione di fare amare il Signore come io l’amo… Sì, voglio passare il mio Cielo a fare del bene sulla terra. Dopo la mia morte farò cadere una pioggia di rose. Nessuno m’invocherà invano. Lavorerò fino alla fine del mondo per i miei fratelli che sono sulla terra fino a che non li vedrò tutti in Paradiso. Quando l’Angelo del Signore dirà: “Il tempo non è più!” allora riposerò perché il numero degli eletti sarà completo» (NV, 17 luglio 1897). I dolori e le prove, sopportati con pazienza, si intensificarono; Teresa, comunque, completò il racconto della propria vita scrivendo il Manoscritto C. Il 30 luglio ricevette l’Estrema Unzione e il Santo Viatico. Il 19 agosto l’ultima Comunione. «Se questa è l’agonia, che cosa sarà la morte?». «Sì, Dio mio, tutto quello che vorrete, ma abbiate pietà di me!». «Sì, mi pare di aver cercato sempre la verità. Sì, ho capito l’umiltà del cuore». «Non mi pento di essermi offerta all’Amore». E più tardi: «Non avrei mai creduto possibile soffrire tanto! Mai! Mai! Non posso spiegarmelo se non con i desideri ardenti che ho avuto di salvare la anime» (NV, 30 settembre 1897). Ogni respiro divenne un tormento. Pregò la Madonna: «Mamma!… l’aria della terra mi manca… quand’è che il buon Dio mi darà l’aria del Cielo?» (Ultimi Colloqui, 28,9,1). E, alla fine, fissando gli occhi sul suo Crocifisso: «Oh… l’amo!… Dio mio… Vi… amo!…». Dopo aver pronunciato queste parole cadde dolcemente indietro, la testa reclinata a destra. Morì il 30 settembre 1897, all’età di ventiquattro anni, con i polmoni quasi completamente consumati. Il 4 ottobre Suor Teresa del Bambino Gesù del Volto Santo fu sepolta nel cimitero di Lisieux, nel recinto riservato alle Carmelitane Scalze. La sua fama, dopo la pubblicazione dei suoi scritti, attraversò velocemente la Francia, l’Europa e il mondo. Venne dichiarata beata da Pio XI il 29 aprile 1923, e dopo appena due anni, il 17 maggio del 1925, lo stesso Pontefice procedette alla solenne canonizzazione in S. Pietro a Roma. Il 14 dicembre del 1927 Santa Teresa fu proclamata “Patrona delle missioni cattoliche universali” insieme a San Francesco Saverio; nel 1932 “Protettrice della Russia” e nel 1944 Pio XII la affiancò a Santa Giovanna d’Arco quale “Patrona di Francia”. Giovanni Paolo II, nella XII Giornata Mondiale della Gioventù a Parigi (1997), volle riproporne la testimonianza additandola come esempio a tutti giovani del mondo. Il 19 ottobre 1997 lo stesso Pontefice proclamò Santa Teresa di Lisieux Dottore della Chiesa (terza “eccezione” dopo Caterina da Siena e Teresa d’Avila). Teresa Martin è una Santa cattolica amata e venerata anche da ortodossi e protestanti e onorata perfino nel mondo arabo. Un privilegio che condivide solo con S. Francesco d’Assisi.

Teresa del Bambino Gesù – Del Volto Santo

La Santa di Lisieux ha dato come esempio al mondo la propria totale conformazione a uno dei misteri più trascurati della vita di Cristo: quello della “infanzia di Gesù” che – dalla culla alla croce – ci ha mostrato come si diventa adulti restando sempre “figli”, sempre bambini che si affidano alle braccia del loro Padre, sempre protesi a un amore obbediente. È contemplando assieme, incessantemente, con un unico sguardo, il Bambino di Betlemme e il Volto Santo che Teresa ha compreso il mistero dell’adultezza cristiana. Fu a partire dal 10 gennaio 1889 che Teresa del Bambino Gesù (questo è il nome che ricevette in monastero) cominciò ad aggiungere al suo nome un nuovo “titolo”: “del Volto Santo”. Che cosa era accaduto? Perché legare l’infanzia di Gesù direttamente con la sua Passione, (tanto che ella scriveva i due “titoli” senza la congiunzione “e”)? Proprio in quel tempo il papà di Teresa cadeva in preda di una malattia che, a tratti, gli sconvolgeva la mente. Egli aveva offerto al Signore la sua vita, come le figlie, e accettava pazientemente quella umiliante malattia di cui aveva dolorosa coscienza. Nei momenti più tristi le figlie lo vedevano coprirsi il volto con un fazzoletto come se si vergognasse a farsi vedere in quello stato. Teresa – che aveva chiesto di poter partecipare alle sofferenze di Cristo – non aveva mai creduto che fosse possibile soffrire tanto, come quando vide il papà così ridotto. Ma ecco: il volto del papà era come quello che Gesù lasciò impresso nel velo della Veronica: un volto segnato dalla sofferenza e dall’umiliazione, dagli occhi abbassati, obbedienti. Allora Teresa capì che il mistero dell’infanzia di Gesù si estendeva fin sulla Croce: era là che giungeva al suo culmine l’obbedienza con cui Egli aveva accettato di farsi uomo per nostro Amore. Così, mentre Teresa si consacrava al mistero dell’infanzia di Gesù, il papà – che l’aveva condotta al Padre celeste – le dava l’ultimo insegnamento diventando anche lui, vecchio sofferente, il “bambino del buon Dio”, ma anch’egli in croce.

I grandi principi teologici di Teresa

All’inizio del 1895 (due anni e mezzo prima della morte di Teresa) Madre Agnese di Gesù (Paolina), sorella e priora della nostra Santa, le chiese «per obbedienza» di scrivere i suoi ricordi d’infanzia (il futuro «Manoscritto A»). Teresa obbedì e, introducendo la narrazione, si soffermò a precisare che avrebbe raccontato soprattutto i suoi pensieri sulla Misericordia di Dio. Senza volerlo, diede così uno splendido riassunto di quella “teologia della Misericordia” che ella avrebbe insegnato a tutta la Chiesa.
Ecco i suoi quattro grandi «principi»:
1. «La perfezione consiste nel fare la volontà di Dio: nell’essere ciò che Lui vuole che noi siamo».
2. «L’amore di Nostro Signore si rivela altrettanto bene nell’anima più semplice quanto nell’anima più sublime. E poiché è proprio dell’Amore abbassarsi misericordiosamente… quanto più il buon Dio discende fino alle anime più piccole, tanto più dimostra la sua grandezza infinita».
3. «Come il sole rischiara allo stesso tempo i grandi cedri e ogni piccolo fiore, come se ciascuno fosse solo sulla terra, così Nostro Signore si occupa in particolare di ciascuna anima, con tanto amore come se fosse unica al mondo».
4. «E come nella natura tutte le stagioni sono regolate in modo da far sbocciare nel momento stabilito anche la più umile pratolina, così tutto è regolato in modo da corrispondere al bene di ciascuna anima».

(Prologo del Manoscritto A)

 Il 25 agosto 1897 Teresa inviò al “fratello” missionario l’ultima immagine da lei dipinta nei mesi di maggio-giugno. Su di essa scrisse pochissime parole. Furono “la sua ultima lettera”: «Io non posso temere un Dio che per me si è fatto così piccolo… io l’amo!… perchè Egli è soltanto amore e misericordia! ».

Offerta come vittima di Olocausto all’Amore Misericordioso

Mio Dio, Trinità beata, desidero amarvi e farvi amare, lavorare per la glorificazione della santa Chiesa, salvando le anime che sono sulla terra e liberando quelle che sono nel purgatorio. Desidero compiere perfettamente la vostra volontà e arrivare al grado di gloria che m’avete preparato nel vostro regno. In una parola, desidero essere santa, ma sento la mia impotenza e vi domando, o mio Dio, di essere voi stesso la mia Santità. Poiché mi avete amata fino a darmi il vostro unico Figlio perché fosse il mio Salvatore e il mio Sposo, i tesori infiniti dei suoi meriti appartengono a me ed io ve li offro con gioia, supplicandovi di non guardare a me se non attraverso il Volto di Gesù e dentro il suo Cuore che brucia d’Amore. Vi offro inoltre tutti i meriti dei Santi che sono in Cielo e sulla terra e degli Angeli; vi offro infine, o beata Trinità, l’amore e i meriti della santa Vergine, mia madre diletta. A lei abbandono la mia offerta e la prego di presentarvela. Il suo Figlio divino, mio Sposo diletto, nei giorni della sua vita mortale, ci ha detto: “Tutto ciò che domanderete al Padre in nome mio, ve lo darà!”. Sono dunque certa che esaudirete i miei desideri. Lo so, mio Dio: più volete dare, più fate desiderare. Sento nel mio cuore desideri immensi e vi chiedo con tanta fiducia di venire a prendere possesso della mia anima. Ah, non posso ricevere la santa comunione così spesso come vorrei, ma, Signore, non siete l’onnipotente? Restate in me come nel tabernacolo, non allontanatevi mai dalla vostra piccola ostia. Vorrei consolarvi dell’ingratitudine dei cattivi e vi supplico di togliermi la libertà di dispiacervi. Se qualche volta cado per la mia debolezza, il vostro sguardo divino purifichi subito la mia anima consumando tutte le mie imperfezioni. Vi ringrazio o mio Dio, di tutte le grazie che m’avete accordate, in particolare di avermi fatta passare attraverso il crogiolo della sofferenza. Sarò felice di vedervi comparire, nel giorno finale, con lo scettro della Croce e spero di rassomigliare a voi nel Cielo e di veder brillare sul mio corpo glorificato le sacre stimmate della vostra passione. Dopo l’esilio della terra, spero di venire a godervi nella patria. Ma non voglio ammassare dei meriti per il Cielo: voglio lavorare solo per il vostro amore, con l’unico scopo di farvi piacere e di salvare anime. Alla sera di questa vita comparirò davanti a voi a mani vuote perché non vi chiedo, Signore, di contare le mie opere. Tutte le nostre giustizie hanno macchie ai vostri occhi. Voglio perciò rivestirmi della vostra giustizia e ricevere dal vostro amore il possesso eterno di Voi stesso. Ai vostri occhi il tempo è nulla. Un giorno solo è come mille anni e perciò potete prepararmi in un istante a comparire davanti a voi. Per vivere in un atto di perfetto amore, mi offro come vittima d’olocausto al vostro amore misericordioso, supplicandovi di consumarmi senza posa, lasciando traboccare nella mia anima i flutti d’infinita tenerezza che sono racchiusi in Voi. Così potrò diventare martire del vostro amore, o mio Dio! Che questo martirio, dopo avermi preparata a comparire davanti a Voi, mi faccia morire e la mia anima si slanci senza alcuna sosta verso l’eterno abbraccio del vostro amore misericordioso. Voglio, o mio Diletto, ad ogni battito del cuore rinnovarvi questa offerta un numero infinito di volte, fino a che, svanite le ombre, possa ridirvi il mio amore in una faccia a faccia eterno!

Dagli scritti…

“Gesù mi ha dato un mezzo semplice per compiere la mia missione. Mi ha fatto capire questa parola dei Cantici: «Attirami, noi correremo all’effluvio dei tuoi profumi». O Gesù, dunque non è nemmeno necessario dire: Attirando me, attira le anime che amo. Questa semplice parola: «Attirami» basta. Signore, lo capisco, quando un’anima si è lasciata avvincere dall’odore inebriante dei tuoi profumi, non potrebbe correre da sola, tutte le anime che ama vengono trascinate dietro di lei: questo avviene senza costrizione, senza sforzo, è una conseguenza naturale della sua attrazione verso di te. Come un torrente che si getta impetuoso nell’oceano trascina dietro di sé tutto ciò che ha incontrato al suo passaggio, così, o mio Gesù, l’anima che si immerge nell’oceano senza sponde del tuo amore attira con sé tutti i tesori che possiede… Signore, tu lo sai, io non ho altri tesori se non le anime che ti è piaciuto unire alla mia; questi tesori, sei tu che me li hai affidati,… Tu lo sai, o mio Dio, non ho mai desiderato altro che amarti, non ambisco altra gloria. Il tuo amore mi ha prevenuta fin dall’infanzia, è cresciuto con me, e ora è un abisso del quale non riesco a sondare la profondità. L’amore attira l’amore, perciò, mio Gesù, il mio si slancia verso di te, vorrebbe colmare l’abisso che l’attira, ma ahimè, non è neanche una goccia di rugiada perduta nell’oceano! Per amarti come mi ami tu, devo far mio il tuo stesso amore, solo allora trovo riposo. O mio Gesù, forse è un’illusione, ma mi sembra che tu non possa colmare un’anima con più amore di quello con cui hai colmato la mia; per questo oso domandarti di amare quelli che mi hai dato come hai amato me. Se un giorno, in Cielo, scoprirò che li ami più di me, ne sarò felicissima, riconoscendo fin da adesso che quelle anime meritano il tuo amore molto più della mia; ma quaggiù non riesco a concepire un’immensità di amore più grande di quella che ti sei compiaciuto di prodigarmi gratuitamente senza alcun merito da parte mia…. Madre mia, credo che sia necessario darle ancora qualche spiegazione sul brano del Cantico dei Cantici: «Attirami, noi correremo» perché quello che ho voluto dirne mi sembra poco comprensibile. «Nessuno può venire a me, ha detto Gesù, se non lo attira il Padre mio che mi ha mandato». …. Dice inoltre che tutto quello che chiederemo al Padre suo nel suo nome Egli lo concederà. Certo è per questo che lo Spirito Santo, prima della nascita di Gesù, dettò questa preghiera profetica: Attirami, noi correremo. Cos’è dunque chiedere di essere attirati, se non unirsi in modo intimo all’oggetto che avvince il cuore? …. Madre amata, ecco la mia preghiera: chiedo a Gesù di attirarmi nelle fiamme del suo amore, di unirmi così strettamente a Lui, che Egli viva ed agisca in me. Sento che quanto più il fuoco dell’amore infiammerà il mio cuore, quanto più dirò: Attirami, tanto più le anime che si avvicineranno a me… correranno rapidamente all’effluvio dei profumi del loro Amato….”
“Ho sempre desiderato di essere una santa, ma, ahimé, ho sempre constatato quando mi sono confrontata con i Santi, che tra loro e me c’è la stessa differenza che esiste tra una montagna la cui vetta si perde nei cieli e il granello di sabbia, oscuro, calpestato dai piedi dei passanti. Invece di scoraggiarmi, mi sono detta: il buon Dio non potrebbe ispirare desideri irrealizzabili; quindi, nonostante la mia piccolezza, posso aspirare alla santità. Farmi diversa da quel che sono, più grande, mi è impossibile: mi devo sopportare per quello che sono con tutte le mie imperfezioni; ma voglio cercare il modo di andare in Cielo per una piccola via bella diritta, molto corta, una piccola via tutta nuova. Siamo in un secolo di invenzioni: oggi non vale più la pena di salire i gradini di una scala: nelle case dei ricchi un ascensore la sostituisce vantaggiosamente. Vorrei trovare anch’io un ascensore per innalzarmi fino a Gesù, perché sono troppo piccola per salire la dura scala della perfezione. Allora ho cercato nei libri santi l’indicazione dell’ascensore, oggetto del mio desiderio e ho letto queste parole uscite dalla bocca della Sapienza Eterna: Se qualcuno è molto piccolo, venga a me. Così sono arrivata ad intuire che avevo trovato quello che cercavo. E volendo sapere, o mio Dio, che cosa faresti al molto piccolo che rispondesse alla tua chiamata, ho continuato le mie ricerche ed ecco quello che ho trovato: “Come una madre accarezza il figlio, così io vi consolerò: vi porterò in braccio e vi cullerò sulle mie ginocchia!”. Ah, mai parole più tenere, più melodiose hanno rallegrato la mia anima! L’ascensore che mi deve innalzare fino al Cielo sono le tue braccia, o Gesù! Per questo non ho bisogno di crescere, anzi bisogna che io resti piccola, che lo diventi sempre di più. O mio Dio, hai superato ogni mia aspettativa e io voglio cantare le tue misericordie”.
“Come può un’anima così imperfetta come la mia aspirare a possedere la pienezza dell’Amore? O Gesù, mio primo, mio solo Amico, tu che io amo UNICAMENTE, dimmi che mistero è questo? Perché non riservi queste immense aspirazioni alle grandi anime, alle Aquile che si librano nelle altezze?… Io mi considero invece un debole uccellino coperto solo da una leggera lanugine. Non sono un’aquila: dell’aquila ho semplicemente gli occhi e il cuore perché, nonostante la mia piccolezza estrema, oso fissare il Sole divino, il Sole dell’Amore e il mio cuore sente dentro di sé tutte le aspirazioni dell’aquila. L’uccellino vorrebbe volare verso quel Sole brillante che affascina i suoi occhi, vorrebbe imitare le Aquile sue sorelle che vede elevarsi fino al focolare divino della Santissima Trinità… Ahimé, tutto ciò che riesce a fare è sollevare le sue piccole ali! Ma alzarsi in volo, questo non è nelle sue piccole possibilità! Che ne sarà di lui? Morirà dal dispiacere vedendosi così impotente?… Oh, no! L’uccellino non si affliggerà nemmeno. Con un abbandono audace, vuole restare a fissare il suo Sole divino. Niente potrebbe spaventarlo: né il vento, né la pioggia. E se nubi oscure vengono a nascondere l’Astro dell’Amore, l’uccellino non cambia posto, sa che al di là delle nubi il suo Sole brilla sempre, che il suo splendore non potrebbe eclissarsi neanche un momento. Talvolta, è vero, il cuore dell’uccellino è assalito dalla tempesta: gli sembra di non credere che esista altro se non le nubi che lo avvolgono. E’ quello il momento della gioia perfetta per il povero debole esserino. Che felicità per lui restare là ugualmente, fissare la luce invisibile che si nasconde alla sua fede!!!… Gesù, fin qui capisco il tuo amore per l’uccellino, poiché egli non si allontana da te… Ma io lo so e anche tu lo sai: spesso l’imperfetta creaturina, pur restando al suo posto (cioè sotto i raggi del Sole), si lascia un po’ distrarre dalla sua unica occupazione. Prende un granellino a destra e a sinistra, corre dietro a un vermiciattolo; poi, quando incontra una piccola pozzanghera, si bagna le penne appena spuntate; vede un fiore che gli piace e il suo piccolo spirito si occupa di quel fiore. Insomma, non potendo librarsi come le aquile, il piccolo uccellino si occupa ancora delle piccolezze della terra. Eppure, dopo tutte queste birichinate, invece di andare a nascondersi in un angolo a piangere la sua miseria e morire di pentimento, l’uccellino si gira verso il suo amato Sole, presenta ai suoi raggi benefici le sue alucce bagnate, geme come la rondine e nel suo dolce canto egli ha fiducia, egli racconta una per una le sue infedeltà, pensando nel suo abbandono temerario di acquistare più potere, di attirare più pienamente l’amore di Colui che non è venuto a chiamare i giusti ma i peccatori… Se l’Astro adorato resta sordo ai cinguetti lamentosi della sua creaturina, se resta velato, ebbene, la creaturina resta bagnata, accetta di essere intirizzita di freddo e si rallegra anche di questa sofferenza che comunque ha meritata!… O Gesù, come è felice il tuo uccellino di essere debole e piccolo! Che ne sarebbe di lui se fosse grande? Mai avrebbe l’audacia di comparire alla tua presenza, di sonnecchiare davanti a te!… Sì, anche questa è una debolezza dell’uccellino quando vuole fissare il Sole divino e le nubi gli impediscono di vedere anche un solo raggio: suo malgrado gli si chiudono gli occhietti, la sua testolina si nasconde sotto l’aluccia e il povero esserino si addormenta, credendo di fissare sempre il suo Astro amato. Al suo risveglio, non si affligge, il suo cuoricino resta in pace, ricomincia il suo compito d’amore, invoca gli angeli e i santi che si innalzano come Aquile verso la Fornace divorante, oggetto del suo desiderio e le Aquile si muovono a pietà del loro fratellino, lo proteggono, lo difendono, mettono in fuga gli avvoltoi che vorrebbero divorarlo. Gli avvoltoi, immagine dei demoni, l’uccellino non li teme: non è affatto destinato a diventare loro preda, bensì preda dell’Aquila che egli contempla al centro del Sole dell’Amore. O Verbo divino, sei tu l’Aquila adorata che amo e che mi attira; sei tu che, lanciandoti verso la terra d’esilio, hai voluto soffrire e morire per attirare le anime fino al seno dell’eterna Fornace della beata Trinità; sei tu che, risalendo verso la Luce inaccessibile che sarà ormai la tua dimora, resti ancora nella valle di lacrime, nascosto sotto l’apparenza di un’ostia bianca!… Aquila eterna, tu vuoi nutrire della tua sostanza divina proprio me, povero piccolo essere, che tornerei nel nulla se il tuo sguardo divino non mi donasse la vita in ogni istante!… O Gesù, lasciami nell’eccesso della mia riconoscenza, lasciami dire che il tuo amore arriva alla follia!… Come vuoi che, davanti a questa follia, il mio cuore non si slanci verso di te? Come potrebbe avere limiti la mia fiducia?… Ah, per te, lo so, anche i santi hanno fatto follie, hanno fatto grandi cose, perché erano aquile!… Gesù, io sono troppo piccola per fare grandi cose! E la mia follia è di sperare che il tuo Amore mi accetti come vittima!… La mia follia consiste nel supplicare le aquile mie sorelle di concedermi la grazia di volare verso il Sole dell’Amore con le stesse ali dell’Aquila divina!… Per tutto il tempo che vorrai, o mio Amato, il tuo uccellino resterà senza forze e senza ali, egli terrà sempre gli occhi fissi su di te: vuole essere affascinato dal tuo sguardo divino, vuole diventare la preda del tuo Amore!… Un giorno, ne ho la speranza, Aquila adorata, tu verrai a prendere il tuo uccellino e, risalendo con lui alla Fornace dell’Amore, lo immergerai per l’eternità nell’Abisso ardente di quell’Amore al quale si è offerto come vittima!…”
“Mi sono chiesta a lungo perché il Buon Dio facesse delle preferenze, perché tutte le anime non ricevessero un uguale grado di grazie; mi stupivo vedendolo elargire favori straordinari ai Santi che l’avevano offeso, come San Paolo e Sant’Agostino e che Egli costringeva, per così dire, a ricevere le sue grazie; o leggendo la vita dei Santi che Nostro Signore si è compiaciuto di coccolare dalla culla alla tomba, senza lasciare sul loro cammino alcun ostacolo che impedisse loro di elevarsi verso di Lui, e prevenendo queste anime con favori tali che non potevano fare a meno di conservare immacolato lo splendore della loro veste battesimale. Mi domandavo perché i poveri selvaggi, per esempio, morivano così numerosi prima di aver solo sentito pronunciare il nome di Dio… Gesù si è degnato di istruirmi su questo mistero, ha messo davanti ai miei occhi il libro della natura, e ho capito che tutti i fiori che ha creato sono belli, che lo splendore della rosa e il candore del Giglio non cancellano il profumo della piccola violetta o la semplicità incantevole della margheritina… Ho capito che se tutti i fiorellini volessero essere delle rose, la natura perderebbe il suo manto primaverile, i campi non sarebbero più smaltati di fiorellini… anche la più umile margheritina, allo stesso modo tutto concorre al bene di ogni anima”. Così accade nel mondo delle anime che è il giardino di Gesù. Egli ha voluto creare i grandi Santi che possono essere paragonati al Giglio e alle rose, ma ne ha creati anche di piccoli, e questi devono accontentarsi di essere delle pratoline e delle violette, destinate a rallegrare lo sguardo del Buon Dio quando lo abbassa ai suoi piedi; la perfezione consiste nel fare la Sua volontà, nell’essere quello che Lui vuole… Ho capito anche che l’amore di Nostro Signore si rivela tanto all’anima più semplice, che non oppone alcuna resistenza alla sua grazia, quanto all’anima più sublime; infatti, dato che il gesto più proprio dell’amore è di abbassarsi, se tutte le anime assomigliassero a quelle dei Santi dottori che hanno illuminato la Chiesa con lo splendore della loro dottrina, il Buon Dio non scenderebbe abbastanza in basso giungendo fino al loro cuore; ma Egli ha creato il bambino che non sa niente e fa sentire solo deboli grida, ha creato il povero selvaggio che è guidato solo dalla legge naturale ed è fino al loro cuore che Egli si degna di abbassarsi, sono proprio questi i suoi fiori di campo la cui semplicità lo rapisce… Discendendo in questo mondo il Buon Dio mostra la sua grandezza infinita. Come il sole rischiara sia i cedri sia ogni fiorellino, come se esso fosse l’unico sulla terra, così Nostro Signore si occupa in modo particolare di ogni anima con tanto amore, quasi fosse la sola a esistere”
«Che gioia passare per pazze agli occhi del mondo! Si giudicano gli altri secondo se stessi e siccome il mondo è insensato, pensa naturalmente che le insensate siamo noi! Ma dopo tutto, noi non siamo le prime. Il solo crimine che fu rimproverato a Gesù, da Erode, fu quello di essere pazzo, e io la penso come Erode! Sì, era pazzia cercare i poveri piccoli cuori dei mortali… Era pazzo il nostro Dio a venire sulla terra per cercare dei peccatori allo scopo di farne i suoi amici, i suoi intimi, i suoi simili. E non siamo delle fannullone! Gesù ci ha difese nella persona di Maria Maddalena. Egli era a tavola, Marta serviva, Lazzaro mangiava con Lui e i discepoli. Quanto a Maria, non pensava a prendere cibo, ma a far piacere a Colui che amava. Così prese un vaso colmo di un profumo di grande valore e, spezzando il vaso, lo sparse sul capo di Gesù… Allora tutta la casa fu invasa da quel profumo, ma gli APOSTOLI mormorarono contro Maddalena!… E proprio come per noi: i cristiani più fervorosi, i sacerdoti trovano che siamo esagerate, che dovremmo servire con Marta invece che consacrare a Gesù i vasi delle nostre vite, con i profumi che vi sono racchiusi… E tuttavia che importa che i nostri vasi siano spezzati se Gesù è consolato e il mondo, suo malgrado, è costretto a sentire i profumi che ne esalano e che servono a purificare l’aria avvelenata che esso continuamente respira?»

(Lettera 169, del 19 agosto 1894)

 

L’abbandono

1 – Su questa terra c’è un albero meraviglioso; la cui radice o mistero! si trova in cielo. Sotto quell’ombre mai, nulla potrà ferire; e senza timor di tempesta vi si può riposare. Amore è il nome di quest’albero ineffabile; e il suo frutto dilettevole si chiama abbandono.
2 – Questo frutto mi dà felicità, nella vita; e l’odor suo divino mi rallegra l’anima. Se lo tocco, mi pare un tesoro; se l’assaggio, mi è anche più dolce. Mi da un oceano di pace in questo mondo; una profonda pace in cui sempre riposo.
3 – Soltanto l’abbandono mi cede alle tue braccia, Gesù; e mi fa vivere del pane dei tuoi eletti: divino Sposo, a te m’abbandono! E non bramo che il dolce tuo sguardo. Addormentandomi sul tuo cuore voglio sempre sorridere; e là, sempre ridire che t’amo, Signore!
4 – Anch’io, come la pratolina, schiudo il mio calice al sole…mio dolce sole di vita, amabile Re! L’ostia divina è piccola come me…ma la sua fiamma celeste, il luminoso suo raggio, mi fa nascer nell’anima il perfetto abbandono…
5 – Tutte le creature possono trascurarmi; vicino a te non ne trarrò un lamento. E se anche tu, o divino Tesoro, mi lasci, priva delle tue carezze voglio sorridere ancora: e attendere in pace, Gesù mio, il tuo ritorno, perpetuando il mio canto d’amore.
6 – Nulla mi inquieta, e nulla può turbarmi, la mia anima vola più alta dell’allodola…il cielo è sempre azzurro al di là delle nubi, presso le rive eterne dove regna il buon Dio! E in pace attendo la gioia delle stanze celesti, mentre qui nel ciborio trovo il dolce frutto dell’amore.