Il 1º settembre 1747, ad Arezzo, nella nobile famiglia Redi, nacque Anna Maria, seconda di tredici figli. Era la sorella di Francesco Saverio, il fratellino che diventerà gesuita, salutato da lei per l’ultima volta, prima di entrare in Monastero, con queste parole: “Cecchino, vuoi bene a Dio?… Amalo davvero Gesù; se sapessi quanto è bello quanto è caro quanto è amabile!”. In un ambiente familiare profondamente cristiano Anna Maria crebbe candida come un giglio: formata ad un profondo spirito di pietà, all’età di sei anni poteva dirsi già una piccola contemplativa che domandava a chiunque fosse in grado di risponderle: “ditemi, chi è questo Dio?”. Ripetutamente chiedeva ai genitori e agli zii che le parlassero di Gesù e cosa dovesse fare per piacergli. Amava poi ritirarsi nella sua stanza per pregare ed ammirare i suoi “santini”. All’età di nove anni, per la sua formazione, sia cristiana che umanistica, fu mandata, dal 1756 al 1764, a Firenze con la sorella Eleonora Caterina, all’Educandato delle Benedettine di S. Apollonia. Qui, felice e serena, trascorse la sua adolescenza e la sua inclinazione al raccoglimento e alla preghiera si accentuò. Ricevette la Prima Comunione il giorno dell’Assunta del 1757. Fatto significativo, il suo maggior confidente era il padre, Ignazio Maria Redi, uomo illuminato e religioso. Tra i due iniziò un intenso rapporto epistolare, andato purtroppo quasi interamente perduto per la vicendevole promessa di dare al fuoco le lettere. Anna Maria più volte disse che era grata al padre, più per quello che le insegnava, che di averla generata fisicamente. Dopo aver letto la vita di S. Margherita Maria Alacoque nacque in lei una grande devozione al Sacro Cuore, amore intimo a Cristo. All’età di diciassette anni, seguendo l’esempio dell’amica Cecilia Albergotti, sentì la vocazione ad entrare nel Carmelo; rientrata in famiglia, espresse questo suo desiderio e il distacco dai suoi cari fu dolorosissimo. Il 1° settembre 1764 fu accolta nel Monastero di S. Maria degli Angeli di Firenze. Fece la professione religiosa il 12 marzo 1766 divenendo suor Teresa Margherita del Cuore di Gesù. Dentro il Carmelo Anna Maria si sentì nel proprio centro. Nel fervente monastero trovò i mezzi più adeguati per realizzare la sua vocazione contemplativa. La totale obbedienza, lo spirito di spogliamento e di distacco, la purezza e la generosità delle sue madri e sorelle la riempirono di ammirazione e di rispetto e lo sentì, e lo manifestò, a confessori e maestre: si ritenne indegna di vivere in mezzo a loro. Da questa profonda umiltà derivò il bisogno di mettersi al di sotto di tutte, di farsi la piccola serva di quegli ‘angeli’ e questa sarà per lei una grazia, che si tradurrà nel positivo proposito e nella pratica instancabile di una operosissima carità. Quest’umiltà non le impedì di gustare una purissima gioia interiore, che trasparì dal suo stesso contegno. La sua gioia più grande fu di abitare nella “Casa” di Gesù: dopo il coro, dove lo trovava vivo, amava la cella, così silenziosa e spoglia, in cui sapeva che Egli viveva con lei, nella solitudine che la Regola imponeva. Nell’anno del noviziato avvenne la sua fioritura alla grazia: costante nascondimento, obbedienza totale, delicatissimo spirito di povertà e, soprattutto, fedeltà “a costo di qualunque ripugnanza”. Era impaziente di essere tutta di Dio e solo un mese dopo la vestizione ottenne dal confessore ordinario di pronunciare i voti privati. Lo spirito di Teresa Margherita trovò il sistema pratico su cui regolare ogni aspetto della sua vita “con ogni possibile perfezione”. La sua natura sensibile le era di tormento, Dio diventava sempre più la figura dominante della sua vita. La sua azione purificatrice travolgeva qualsiasi ostacolo alla sua avanzata. Scrupolosa nel rispetto della Regola, amava molto la preghiera mentale, anche notturna. Un amabile sorriso era sempre impresso sul suo volto. Spiritualità carmelitana dunque con una profonda devozione al Cuore di Gesù, sorgente di vita e d’amore. Con l’amica Cecilia iniziò una “santa sfida” nell’amare Cristo e per questo presero l’impegno di confidarsi ogni mancanza, nel periodo del silenzio non con le parole, ma con piccoli biglietti. Attraverso le testimonianze del padre e del direttore spirituale, P. Ildefonso di S. Luigi, conosciamo la sua scalata alla santità. Mentre era ancora una giovane professa, nacque in lei il desiderio profondo di conoscere la vita nascosta di Gesù. Padre Ildefonso le diede da meditare un brano della lettera di San Paolo ai Colossesi in cui si legge: “Voi siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio”. Appagare la sete di Dio attraverso l’imitazione di Cristo divenne lo scopo della sua esistenza. Nacque così quella singolare espressione: “Che bella scala, che scala preziosa, indispensabile è il nostro buon Gesù!”, maestro, modello e strumento per comprendere ed entrare nel Mistero Divino. La sua contemplazione era trinitaria: lo Spirito Santo era la fonte e Cristo la via per giungere al Padre. All’atto della professione religiosa, per amore di Gesù, rinunciò a quello cui maggiormente teneva: il rapporto epistolare col padre. Le costò tantissimo ma si promisero che da lì in poi, ogni sera, prima del riposo, si sarebbero incontrati nel Cuore di Gesù. Domenica 28 giugno 1767, mentre era in coro per l’Ora di Terza, sentì dalla lettura breve: “Deus Charitas est et qui manet in charitate, in Deo manet” (Gv. 1 4,16). Un sentimento soprannaturale la pervase e per più giorni rimase scossa. Comprese che la vera grandezza stava nell’accettare generosamente l’Amore del Cuore di Gesù, unita al quale anche una povera creatura era in grado di amare. Unita con Dio – consapevole di Dio, perché di Dio – infinitamente amante e assetata, Teresa Margherita era ignara di sé – a se stessa nascosta – e avvertì che “altro non bramo che di essere una vittima del Sacro Cuor vostro, consumata tutta in olocausto col fuoco del vostro santo Amore”. Donò il suo cuore a Cristo, offrendosi per essere consumata dal suo amore. E Dio la esaudì: si assistette veramente ad una divina consumazione, ad una implacabile distruzione dell’olocausto. Giunse all’ultimo gradino della scala, divenendo Tempio del Dio Vivente, tutto ciò nella più grande umiltà, col desiderio però di trasmettere tale dono mistico alle consorelle. Chiese al confessore il permesso di fare l’offerta della Alacoque: porre la propria volontà nella piaga del costato di Cristo ed entrare nel suo Cuore. Allorché comprese il “significato” di “Dio è Amore”, fu sospinta ad intendere e vivere le ricchezze dell’Inabitazione trinitaria nell’anima. Nella linea della spiritualità biblica di San Paolo e San Giovanni, Teresa Margherita fece suoi tre basilari principi: vivere nascosta – con Cristo – in Dio (“Mio Dio…, ora e sempre intendo racchiudermi nel tuo amabilissimo Cuore, come in un deserto, per condurvi con Te, per Te, in Te una vita nascosta di amore e sacrificio…). Teresa considerava il Sacro Cuore quale “centro dell’amore con cui fin dall’eternità il Figlio ci ha amati e con il quale noi ora lo possiamo riamare in terra e in cielo”. Questo significato della devozione al Sacro Cuore – “riamare perché amata” -, rese Teresa Margherita sempre più aderente alla sua vocazione contemplativa, trasportandola dalla vita interiore e nascosta dell’anima umana di Gesù all’esperienza del mistero del Verbo (Figlio) nel seno della Trinità. Dalla devozione al Sacro Cuore ella trasse una norma di comportamento cristiano che esprimeva impetuosamente così: “bisogna restituire amore per amore”. E poiché Gesù ci ha amato soffrendo per noi, noi dobbiamo soffrire per Lui. Le malate della sua comunità concretizzarono per lei questi movimenti d’amore e di croce: esse erano per lei l’immagine di Cristo che soffriva, e lei, per amarLo, doveva assumersi con gioia il durissimo peso del servizio. Diceva: “Lui in Croce per me, io in croce per Lui”. Si sentiva però piccola e la sua più grande preoccupazione era di non amare abbastanza. Non lesse, ma visse S. Giovanni della Croce passando per la notte oscura (amava senza credere di amare). L’efficacia di questa carità fraterna la rese la serva di tutte le religiose: sempre pronta, amabile, dimentica di sé, abilissima nel riservarsi i lavori più faticosi della comunità con un costante sorriso che, nascondendo la sofferenza e la fatica, era un invito silenzioso a rivolgersi a lei per qualunque atto di carità, era il velo che avvolgeva la sua ininterrotta ascesi delle virtù quotidiane. Teresa Margherita raggiunse il vertice del suo cammino: in un perfetto equilibrio di contegno esterno, in un costante auto-dominio che rivelava una maturità spirituale pienamente realizzata, insieme ad una carità praticata silenziosamente ed abitualmente in grado eroico, sia nel suo ufficio di infermiera che in tutto il contesto di vita comunitaria. Infatti l’amore a Dio si concretizzò nella mansione di aiuto infermiera che esercitò con straordinaria abnegazione, in particolare verso una consorella che per problemi psichici era purtroppo divenuta violenta. Tra l’altro in quel periodo le consorelle malate ed anziane erano molte. La sua stessa comunità divenne strumento di mortificazione e così, nell’ultimo Capitolo, suor Teresa Margherita fu rimproverata perché, per l’eccessivo lavoro in infermeria, sembrava trascurasse la vita contemplativa. Il totale dominio di sé, dopo un breve smarrimento, le fece superare il rimprovero con ironia. Di S. Teresa Margherita Redi possediamo pochi scritti: alcune lettere, vari biglietti che amava dare alle consorelle con pensieri e massime, i propositi per gli esercizi del 1768 e un altro breve proposito. Pur senza avere molte conoscenze teologiche fu attentissima alla comprensione della Sacra Scrittura, intesa come dono dello Spirito. Ebbe molto cara anche la lettura delle opere della Santa Madre Teresa e il suo invito a far posto a Dio col silenzio interiore. Vivendo tra contemplazione e azione, nascosta nell’amore e nell’immolazione di se stessa, si domandava ad ogni azione: “Adesso che faccio questa azione, amo il mio Dio?” – Ella capì subito che il segreto, il cuore pulsante della vocazione al Carmelo era la donazione totale al Cristo, alla Chiesa, a tutti e per tutti i giorni. Era vivere la gioia di essere amati da Dio per poter amare Dio e tutti con amore consumante, che è pure dono di Dio. Se ogni realtà anche piccola rappresentava un investimento d‘amore, tutto allora diventava fonte d’amore e motivo di nuova donazione: “altro desiderio non ho che di essere tua”. A rendere più cristallina questa giornaliera esperienza non mancò il segno doloroso della siccità, della somma freddezza: nella sue lettere allude con sincerità a momenti di depressione, senza spiraglio di luce, angustiata e tentata di disperazione. In esse scorgiamo alcuni momenti di sconforto: “trovandomi in questo stato di somma tiepidezza, ad ogni momento faccio qualche mancamento”, “faccio tanti propositi, ma sono sempre l’istessa”. La sua reazione fu santamente sconvolgente: patire e tacere…, essere per tutto imperturbabile…, godere di non godere. Si confidò con la priora chiedendole di essere trattata con durezza. La sua ardente devozione le fece raggiungere un’altissima esperienza mistica, testimone di ciò che la preghiera può operare in un’anima. Fu attenta a tenere nascoste le sue virtù e per umiltà, con battute, smorzava la curiosità delle consorelle, tanto da essere considerata una “furbina”. Arrivò però a dire al direttore spirituale che avrebbe dovuto rendere pubblici i suoi difetti. Ardente fu l’amore per l’Eucaristia: “All’offertorio, rinnovo la professione: prima che si alzi il Santissimo prego Nostro Signore, che, siccome tramuta quel pane e quel vino nel suo preziosissimo Corpo e Sangue, così si degni di tramutare tutta me in se stesso. Alzandosi lo adoro, e rinnovo ancora la mia professione, poi gli chiedo quello che desidero da lui”. Fece celebrare, per la prima volta, la festa del Sacro Cuore nella sua comunità, predisponendo ogni particolare perché fosse solenne. In questo fu sostenuta dal padre e dallo zio, il gesuita Diego Redi. Erano gli anni in cui nasceva questa devozione, non sempre ben accolta a causa delle influenze gianseniste. Nell’anno precedente la sua morte, ottenne dal suo direttore di fare la vita nascosta di Gesù Cristo dentro di sé; il che voleva dire, non solamente vivere rimanendo come invisibile e inosservata tra le religiose, ma ancora significava essere in un certo senso occultata e ignota a se medesima e morire a sé senza saperlo e senza gustare alcun piacere di questa morte mistica e spirituale, seppellendo in Cristo ogni pensiero e riflesso anche spirituale ed esterno da sé; imparare a conoscere solo Dio e compiere questi suoi alti desideri, esercitandosi nelle più penose desolazioni di spirito. Il 7 marzo del 1770 una peritonite fulminea, dopo diciotto ore di atroci sofferenze, a neppure ventitré anni, le fece incontrare lo Sposo Celeste, tanto amato e desiderato. Spirò col capo appoggiato e abbracciata modestamente al caro Crocifisso. Dimentica di sé, poche ore prima di morire, continuava a preoccuparsi delle consorelle ammalate. Il suo corpo emanava un profumo soave e ancor’oggi è conservato incorrotto nel Monastero delle Carmelitane Scalze di Firenze (in passato antica villa della famiglia Redi). Beatificata nel 1929, il 19 marzo 1934 Papa Pio XI la proclamò santa definendola “neve ardente”. La vita di Teresa Margherita fu un’esistenza spoglia di avvenimenti straordinari, ma radicata in un terreno che le permise di penetrare le più alte verità in una purità di fede, divenuta esperienza mistica; una vita priva di documenti dottrinali, ma che accesa e consumata dalla sete di amare il suo Dio, dimostra una volta di più che Dio non si raggiunge con l’intelletto, ma con l’amore. Teresa Margherita assorbì così bene lo stile, l’esempio e la dottrina di Santa Teresa d’Avila, da sentirsi sua figlia e da vedersi introdotta da Dio alla fruizione della sua intimità. Con quel candore che le era tipico, poté affermare che “al Carmelo dove era stata collocata era quasi più difficile non essere, che essere una santa”. Teresa Margherita del Sacro Cuore di Gesù: come Teresa d’Avila perduta d’amore per Gesù, come Margherita Alacoque consunta d’amore nell’infuocato Cuore di Gesù.