Romanza 3

Traduzione e commento di padre Roberto Moretti ocd*

Commento

Giovanni della Croce sa che nella vita sociale umana una delle maggiori preoccupazioni e dei più nobili impegni dell’amore paterno è assicurare la felicità dei figli portandoli alla migliore realizzazione della loro inclinazione fondamentale: il matrimonio. La struttura di fondo dell’uomo è l’amore, e il disegno primigenio del Creatore è che l’amore sia all’altezza di permettere il fiorire alla più meravigliosa delle sue opere: la continua creazione della vita, il continuo accendersi della sua immagine nell’infinita varietà dell’universo (cf Gen l, 27).
Tra le tenere parole che il Padre rivolge al Figlio vi sono quelle che rivelano il desiderio di dargli una sposa che l’ami (str. 1), cioè una sposa che sia tutta per lui. Una sposa che lo Sposo – il Figlio, il Verbo – renda degna di vivere in comunione con il Padre e il Figlio, che possa sedere alla loro mensa, mangiare lo stesso pane.Questa immagine ci parla dell’intimità con le divine Persone, e ci rivela tutto il calore della casa paterna e della famiglia. Gesù stesso, nel calore e intimità dell’ultima cena con gli amati discepoli, parlò della comune mensa nel regno del Padre: “io preparo per voi un regno come il Padre l’ha preparato per me, perché possiate mangiare e bere alla mia mensa nel mio regno” (Lc 22, 29-30).

Ubeda, Oratorio san Giovanni della Croce

Il Padre vuole che la sposa conosca le inesauribili ricchezze che Egli possiede nel Figlio, e condivida la sua gioia nel contemplare la sua bellezza (str. 2). Come si vede, la proposta del Padre non è solo una manifestazione dell’amore per il Figlio, ma è anche la rivelazione del suo affetto per la sposa. L’uno e l’altra egli stringe nello stesso abbraccio. La proposta del Padre viene accettata dal Figlio con entusiasmo. Come testimonianza di gradimento egli darà alla sposa tutto il suo splendore (str. 3). Ed essendo essenzialmente lo splendore del Padre, egli svelerà alla sposa tutta la grandezza del Padre, e condurrà la sposa sino alla conoscenza più profonda della relazione tra i due, a quella eterna generazione dell’essere dall’essere, così sottolineata nella prima romanza.
La conoscenza che lo Sposo comunicherà alla sposa non è astratta teoria ma è una conoscenza che genera amore, anzi immerge completamente nell’amore, quale comunicazione delle infinite perfezioni del Padre e della sua comunicazione alla creatura, secondo le esigenze e le leggi dell’amore sponsale. Ecco perché lo Sposo afferma che stretta tra le sue braccia, la sposa arderà d’amore non solo per lo Sposo ma anche per il Padre, ed eleverà da tutto il suo essere un canto eterno, affascinata dalla bontà del Padre (str. 4).
Chi si vuol rendere conto della verità di questa poesia legga le ardenti pagine della Fiamma viva d’amore.




Commento

Poiché il Figlio ha accolto con immenso piacere la proposta del Padre e si è impegnato a rendere la sposa quale il Padre la desidera, questi passa immediatamente alla realizzazione del suo grandioso progetto. E con la sua parola crea l’universo.
Noi siamo abituati a vedere nella creazione una manifestazione della onnipotenza del Padre. Qui Giovanni della Croce la presenta primariamente come manifestazione mirabile dell’amore del Padre verso il Figlio, e anche verso tutte le creature. È, dunque, l’esplosione dell’amore trinitario.
Frutto di questo amore è già il palazzo della sposa, costruito con somma sapienza, affinché la sposa conosca quale sposo le sia dato. Con immagini che si trovano nella Scrittura Giovanni ne esprime la bellezza. La città celeste, quale appare nella descrizione dell’Apocalisse di Giovanni, tutta di oro purissimo e di pietre preziosissime: la sposa dell’Agnello (cf Apoc 21, 19-21). È il piano superiore del palazzo, destinato agli angeli.
All’uomo è riservato il piano inferiore, la terra, luogo proporzionato alla sua condizione di essere composto anche di materia, di sensi ecc. Ma anche questo “piano” è adorno di un’infinita varietà di bellezze, come lo afferma la stessa parola ispirata, ad esempio nello splendido Salmo 103. Anche l’uomo è chiamato a contemplare la bellezza dello Sposo attraverso le creature che riflettono lo splendore del Verbo, come appare, tra l’altro, dagli elogi alla Sapienza che leggiamo nella Sacra Scrittura.
La visione che ci offre questa romanza di Giovanni della Croce è di una sorprendente attualità e teologicamente ricca di valori. Essa, come abbiamo già osservato, riporta tutta la creazione all’amore trinitario per l’iniziativa del Padre innamorato del suo Figlio.
Tutte le creature dotate d’intelligenza – fatte ad immagine di Dio – angeli e uomini, benché così diversi per natura formano la unica sposa del Figlio, e questo soprattutto in forza dell’unico amore sponsale che li unisce allo Sposo (str. 6-7). Giovanni qui si serve dell’immagine paolina: la Chiesa corpo di Cristo; ma l’immagine risulta particolarmente intensa, perché si parla del corpo della sposa.
Quanto al rapporto con il Verbo Sposo, la condizione degli angeli e degli uomini da principio è piuttosto diversa: quelli possiedono e si godono lo Sposo in modo pieno, tranquillo e definitive irradiati direttamente e immediatamente dalla luce del suo volto, gli uomini lo possiedono nella speranza, con le certezze e le promessi racchiuse in essa dalla fede.
Nelle strofe 8-13 vengono indicati i contenuti di questa speranza: elevazione dalla condizione di bassezza e miseria, la trasformazione nella loro somiglianza, la venuta in mezzo a loro per condividerne lo stato, il prodigioso scambio di Dio che si fa uomo e dell’uomo che diventa Dio, un’amicizia e una comunione di vita sino alla fine dei tempi. Allora angeli e uomini, uniti nella grazia, nell’amore e nella gioia, formeranno in misura divinamente perfetta corpo della sposa, la quale, ricolma di tenerezza e di amore tra le braccia dello Sposo, sarà presentata al Padre, per essere sommersa nel mare infinito dell’amore trinitario (str. 14-17).

Commemorazione della morte di san Giovanni della croce, 13 dicembre 2013, Ubeda, Oratorio san Giovanni della Croce


Commento

La realtà contenuta nella visuale poetica di san Giovanni della Croce in queste romanze trinitarie e cristologiche è sostanzialmente la storia della salvezza in alcuni elementi principali: dal disegno amoroso del Padre all’incarnazione del suo Figlio unigenito. Dalla decisione del Padre, con il suo Fiat, alla venuta del Verbo nel mondo c’è il lungo periodo dell’attesa. Da parte del genere umano – questa parte del corpo della sposa – c’è una situazione piuttosto complessa, fatta di luci e di ombre, di smarrimenti e di ricerca, di indifferenza e di ardente desiderio, di oblio e di invocazione. La realtà dell’uomo, dell’umanità nel suo insieme, è intessuta di queste vicende così diverse e contraddittorie: è il suo dramma esistenziale.
Giovanni della Croce l’ha sentito principalmente come il dramma della speranza: attesa e desiderio, l’esperienza dell’assenza e l’ansia di affrettarne la venuta.
Perciò egli non parla del peccato, dell’abbandono, della punizione che accompagna il volontario allontanamento e la negazione di Dio, non parla della conversione o del ritorno del prodigo. Egli parla della “lunga attesa e del crescente desiderio” (str. 2). Se la “buona speranza” infusa dall’alto lenisce il tedio dell’esistenza e della fatica quotidiana (str. 1), la lunga attesa e il crescente desiderio di godere dello Sposo (str. 2) apre una profonda ferita nel cuore che non cade dalla memoria. Perciò dai giusti dei secoli dell’attesa si levò un coro possente a più voci: i sospiri, i pianti, le invocazioni, il grido, lo sfogo, l’invidia per gli uomini dei tempi

Tabernacolo, Ubeda, Oratorio san Giovanni della Croce

fortunati: un coro poderoso che si alzava verso il cielo, affrettando il giorno della venuta, della presenza, del contatto, dell’amicizia. Sono i forti sentimenti che Giovanni esprime ampiamente in questa romanza. Egli attinge largamente dai profeti, particolarmente dal profeta Isaia, che la pietà della Chiesa soleva, e suole anche oggi, ricordare e rivivere nella liturgia dei giorni dell’avvento e del Natale di Gesù.
Anche Gesù, rivolto ai suoi discepoli, un giorno disse loro: «Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete. Vi dico che molti profeti e re hanno desiderato vedere ciò che voi vedete, ma non lo videro, e udire ciò che voi udite, ma non lo udirono» (Lc 10, 23-24). Di Abramo, invece, confrontandosi con lui, disse ai giudei suoi avversari: «Abramo, vostro padre, esultò nella speranza di vedere il mio giorno; lo vide e se ne rallegrò» (Gv 8, 56).

Commento

In questa breve romanza Giovanni ci presenta la simpatica figura del vecchio Simeone, quasi al terminale della lunga attesa.

San Giovanni della Croce, Ubeda, Oratorio san Giovanni della Croce

Egli nota che il desiderio di vedere spuntare il fatidico giorno non si era spento, anzi negli ultimi tempi era cresciuto (str. 1). Basta pensare all’aspettativa del Messia, che faceva vibrare tutto il popolo di Israele, come appare anche dalle narrazioni evangeliche.
Spesso si trattava di fermenti politici che avevano per oggetto la indipendenza e la grandezza della nazione; ma non mancavano coloro che erano animati da ideali religiosi e dalla manifestazione della presenza del Signore.
In questo quadro si staglia la figura emblematica di Simeone, personificazione autentica dei “giusti” che aspettavano impazientemente la salvezza d’Israele con l’intervento e la presenza del Signore.
Il nostro Poeta si limita a riprodurre la descrizione dell’evangelista Luca, con il desiderio ardente di veder sorgere il giorno della salvezza, la promessa fattagli dallo Spirito Santo, cioè che non l’avrebbe colto la morte prima di vedere l’inviato del Signore.

Madonna, Ubeda, Oratorio san Giovanni della Croce

Giovanni arricchisce il contenuto della promessa, attingendo sempre dalla narrazione di Luca, il quale appunto afferma che il santo vecchio prese il Bambino Gesù dalle braccia di Maria, stringendolo tra le sue e cantando a Dio il canto della liberazione, avendo contemplato l’Atteso.
* Testo tratto da: Roberto Moretti, San Giovanni della Croce. Tutte le poesie, pp 26-39, 1998 edizioni OCD

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