Violenza e religione

Quasi nessuno ha dubbi sul fatto che le diverse religioni siano causa di conflitto fra gli uomini. Differenti convinzioni di possedere la verità con la V maiuscola non possono che entrare in contrasto; la storia stessa, cronaca recente compresa, offre miriadi di esempi di guerre religiose. Portando alle estreme conseguenza questo discorso, molti atei od agnostici sono giunti alla conclusione che un’umanità senza culti vedrebbe la scomparsa della violenza organizzata. Anche se, a dire il vero, la storia del Novecento ha come nefasti protagonisti sistemi di pensiero che negavano il trascendente o lo mettevano fra parentesi. Ed è noto cosa abbiano combinato. Rifiutando le religioni tradizionali, si finisce per divinizzare qualcos’altro: Umanità, Stato, Razza, Classe, Mercato (tutte rigorosamente scritte con l’iniziale maiuscola). Comunque, la tesi dell’origine religiosa dei conflitti trova una acuta confutazione nel lavoro del critico letterario e antropologo francese, naturalizzato americano, René Girard. Da decenni i suoi studi, testimoniati da diversi saggi, si concentrano proprio sul rapporto fra culto e conflitto, e sono giunti a conclusioni differenti da quella sopra esposta.

L’editore Cortina ha appena pubblicato un agile libretto che funziona da ottima introduzione al pensiero di Girard. Violenza e religione contiene un breve saggio dell’antropologo e due sue conversazioni con Wolfgang Palaver. La questione sarebbe, dunque, più complicata. Secondo Girard “la violenza religiosa riguarda in primo luogo la natura umana”. Più che determinata dalle credenze, lo è da tensioni sociali e antropologiche. Si notano cose interessanti studiando le “religioni arcaiche”, precedenti il cristianesimo e non inserite nella famiglia del monoteismo semita. Prima di tutto, quei culti non erano nati per “svelare i misteri dell’universo”, come pretende la forma mentis illuminista. L’urgenza primaria era quella di armonizzare, sedare, neutralizzare le tensioni violente della comunità. Per sopravvivere ai contrasti fra i desideri degli uomini, che avrebbero annientato la civiltà, si dovette ricorrere al sacrificio rituale. La tribù, il clan e la città trovavano un capro espiatorio contro il quale coalizzarsi, da uccidere, spesso da divinizzare dopo l’esecuzione. Il sangue versato garantiva una catarsi, un sollievo che cementava la comunità; era possibile continuare a vivere in relativa pace, fino al prossimo sacrificio. In questo senso, le religioni arcaiche, ben lungi dal causare guerre, le esorcizzavano e, quando non era possibile evitarle, le si faceva rientrare in una maggiore armonia universale. La violenza non era mai fine a se stessa, ma sempre sacrificio, non causa di violenza, ma effetto.

Se questa era la situazione degli animismi e dei paganesimi antichi, è stato allora il ceppo giudeo-cristiano il responsabile della trasformazione della religione in incentivo alla guerra? Tutt’altro, a parere di Girard: vi è una differenza radicale fra i testi sacri contenuti nella Bibbia e tutti gli altri miti precedenti. Se le narrazioni pagane ed arcaiche sono scritte dal punto di vista della folla che si crede innocente, si fa giustizia da sé e lincia il capro espiatorio, i protagonista dei salmi, i profeti dell’Antico Testamento e ovviamente Gesù Cristo sono proprio le vittime. Un capovolgimento di prospettiva che segna un passaggio storico ed escatologico: la violenza viene demistificata, il sacrificio diventa obsoleto, superato dalla scelta divina di incarnarsi e patire la violenza umana che pretende di essere giustizia. Tutta la storia dell’uomo diventa dunque leggibile nella prospettiva di un progressivo affrancamento dal sacrificio: in principio si sacrificano esseri umani, in seguito (come suggerito dal racconto di Abramo ed Isacco nel libro della Genesi) si sostituirono le persone con gli animali. In fine, la crocifissione, l’omicidio rituale del giusto per eccellenza, dell’Agnello di Dio, tolgono il peccato del mondo, svelano la natura peccaminosa di tutti gli uomini ed istaurano il sacrificio incruento dell’eucaristia.

Il moderno interesse per le vittime, la tutela del debole, è il vero lascito della cultura giudaico-cristiana, non la giustificazione della guerra per motivi religiosi. Certo, non tutto è perfetto nella concezione monoteistica: l’islam rappresenta una variazione di non poco conto rispetto ai testi biblici. Girard è costretto ad ammettere che la religione di Maometto non ha come aspetto centrale “il dramma del capro espiatorio”, la passione di Cristo “è un’intollerabile forma di blasfemia” per un musulmano. La specificità islamica, il nodo irrisolto della sua espressione violenta, troverebbero quindi una spiegazione. Invece di un Dio che chiede e dà amore sacrificandosi per l’umanità ed insegnando la colpa reciproca e la conseguente necessità di perdono, Allah pretende obbedienza, sottomissione, e le chiede ad una civiltà di guerrieri. Dietro buona parte della storia occidentale, da Poitiers a Lepanto, dalla crociate all’11 settembre c’è questa verità non eludibile.

di Luca Negri

http://www.loccidentale.it/node/110972

 

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