L’ultimo, provocatorio romanzo di Alessandro Zaccuri è un raro esempio riuscito di letteratura cattolica in Italia. Qual è il confine tra fede e superstizione?
Molto spesso, leggendo un romanzo contemporaneo, non posso sottrarmi a una domanda: ma perché l’autore lo ha scritto? Non trovo niente di vero e di necessario nelle sue pagine. Al contrario, questo nuovo romanzo di Alessandro Zaccuri (Dopo il miracolo, Mondadori, pagg. 259, euro 19) si impone per la forza e la coerenza delle motivazioni che stanno alle sue origini. Capisco, insomma, perché l’autore abbia immaginato e descritto una storia come questa.
In una letteratura che non ha i suoi Bernanos, i suoi Mauriac o i suoi Graham Greene, la tematica dichiaratamente cattolica non è così di frequente messa al centro di un lavoro letterario. Zaccuri lo fa, e con la volontà quasi polemica di chi crede davvero nella sua fede e nel suo lavoro. I temi che affiorano dalla lettura del libro sono la potenza del voto alla Vergine, il peccato della carne, l’espiazione di quel peccato, la conversione con i suoi effetti naturali e dirompenti, il miracolo con le sue ambiguità e la sua esemplarità. Ma tutto è immesso in una storia corale e raccontata a forti tinte.
Zaccuri, sin dal romanzo Il signor figlio, sicuramente uno dei migliori tra quelli italiani di questi anni, non ha paura di narrare con quello spessore e quel vigore che così spesso manca nella letteratura contemporanea. Si sente che ha dalla sua fiato e ispirazione. Se alle volte mi sembra che le sue trame si intrichino troppo e i personaggi non vengano fuori come vorrei, è perché ho messo l’asticella in alto, e mi aspetto sempre un grande salto da lui.
La storia comincia con il suicidio di un giovane, Beniamino, che si impicca alla cancellata di un seminario, dove studia suo fratello. I ragazzi fanno parte di una grande famiglia, i Defanti, che da semplici vignaioli sono diventati grandi produttori di vino. Famiglia cattolica, la cui forza è sempre stata la fede e i figli. Il patriarca Attilio ne ha messi al mondo dodici, per adempiere a un voto alla Vergine che ha aiutato sua moglie a concepire il primo. Perché, all’interno di una famiglia così devota, un suicidio così terribile? L’ispettore Canova indaga in privato, e si avvicina man mano alla verità sconvolgente. Viene fuori un bel personaggio di donna come Susanna, grande istigatrice di desideri maschili, che ricorda in qualche modo certe figure padane di Alberto Bevilacqua. E ricorre la domanda sul perché gli uomini non sanno resistere alle tentazioni della carne, e sono pronti ad avvelenare la fonte della propria esistenza per qualche «sorsata di piacere». Già, perché? A questa vicenda si intreccia quella di don Alberto, un «dottissimo pretino» venuto misteriosamente da Roma a chiudersi in quel seminario sull’Appennino, uno tutto studio e raziocinio, uno che a quindici anni non aveva mai corso né giocato ma aveva già letto tutto Shakespeare. E di fronte a lui, Maria Sole Ferrucci, che ha un passato da sessantottina e da hippy, a cui né la rivoluzione né l’India hanno dato la pace. Una volta convertita al cattolicesimo, riscopre la fede nel suo aspetto più tradizionalista, vuole credere che sia un miracolo quello che ha salvato dal coma la figlia Miriam, e attribuisce il miracolo proprio a don Alberto, che ha benedetto la bambina sull’autoambulanza, ma che ai miracoli non crede. Maria Sole ha fondato una Confraternita della Devozione Celeste, e guida una piccola folla affamata di sacro e di prodigi, quasi ad assediare il seminario. Lo scontro è tra cristiani che vorrebbero prendere casa nel passato, e don Alberto che vorrebbe far finta che quel passato non c’è mai stato. Eppure i Pensieri di Pascal nacquero dalla volontà iniziale di testimoniare a favore del miracolo di Port Royal, dove una bimba fu guarita da un malattia sfigurante grazie alla reliquia di una spina della Croce di Cristo. Dov’è il confine tra fede e superstizione, tra ragione e negazione? Quando Miriam chiede se è davvero la figlia del miracolo, come sua madre Maria Sole reclama, è del «dottissimo pretino» la riposta definitiva: «Noi tutti siamo figli di un miracolo».
Giuseppe Conte –
Fonte: www.ilgiornale.it
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