Segre, film choc sui respingimenti

C’è la Terraferma, ed è un miraggio per i migranti che Emanuele Crialese ha raccontato addolcendo la tragica realtà. Attorno, un Mare chiuso, il Mediterraneo, solcato da carrette stipate di corpi. Il fato, che spesso nasconde la nemesi agli oltraggi della storia, ha voluto che nel 2009, all’indomani del trattato siglato dagli allora governi di Italia e Libia, su uno di questi precari vascelli della speranza, poi diventati della vergogna, insieme ad un gruppo di somali ed eritrei ci fossero anche due giornalisti francesi di Paris Match. Non avrebbero mai immaginato che sarebbero diventati testimoni, filmando con i loro cellulari, del primo caso di respingimento di migranti in acque internazionali. Sfruttando quelle precarie immagini, come le vite che vi si specchiano, Stefano Liberti e Andrea Segre hanno deciso di scrivere un documentario che nella sua stringata durata, appena un’ora, contrapponesse le testimonianze terrificanti di molti dei respinti alle dichiarazioni dei politici, confrontandole con la sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo che nel febbraio scorso ha condannato l’Italia per aver violato la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.

Spiega Stefano Liberti: «Abbiamo recuperato molte testimonianze non solo per rivendicare una giustizia personale, ma anche per assicurare che una vergogna del genere non accada mai più». «In questo episodio non può più nascondersi la responsabilità della politica – dichiara il deputato di colore Jean Léonard Touadi, presente ieri all’anteprima romana del film – perché era stata dichiarata una vera e propria guerra all’immigrato». Le cose non sembrano essere cambiate di molto sull’altra sponda del Mediterraneo. Dopo la guerra civile e la caduta del regime libico, su quel paese gravano ancora ombre cupe: «Non ci sono garanzie sul rispetto dei diritti umani – ricorda Riccardo Noury, responsabile della comunicazione di Amnesty International Italia – rappresaglie e torture sono all’ordine del giorno in Libia». Spiega Laura Boldrini portavoce dell’UNHCR: «Il dramma non si ferma: migliaia di somali continuano ad entrare in quel paese e la situazione sta peggiorando. E se anche il documentario ricorda una bruttissima pagina della politica migratoria italiana, nulla è ancora certo sulla sorte di questi nuovi profughi e su quello che potrà accadere».

«Stavamo andando verso un paese migliore, l’Italia» confessa Semere Kahsay, eritreo e cristiano. Non è accaduto, ma il sorriso e le lacrime che accompagnano il ricongiungimento con la moglie e la bambina in Italia, dopo oltre due anni di attesa e di dolore, immagini con le quali termina il film, sono il segno più bello e la denuncia più chiara. Mare chiuso, distribuito da ZaLab, inizia ora la sua difficile strada: oggi esce al cinema Farnese di Roma, poi in alcune città del Veneto, il 22 marzo verrà presentato a Milano al Festival del cinema africano e il 27 marzo al Bif&st di Bari. L’11 aprile, infine, verrà proiettato alla Camera dei Deputati. Chissà che effetto farà.

 

Luca Pellegrini

Fonte:www.avvenire.it

 

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