Padre e maestro San Giovanni della Croce e il Carmelo teresiano

Quarta Meditazione

A Duruelo

Cammino di san Giovanni della Croce, organizzato dai Carmelitani scalzi della provincia iberica, nel 2017

Con la fondazione di Duruelo la vita del santo Padre, il primo carmelitano scalzo, entra nella sua patria spirituale e anche nella sua storia concreta di riformatore. La sua esperienza spirituale al Carmelo è maturata, l’incontro con la madre Teresa ha portato i suoi frutti e una profonda sintonia di ideali spirituali si è verificata tra questo Giovanni della Croce e la santa Madre e anche quella realtà che la santa Madre aveva già realizzato con la fondazione di san Giuseppe d’Avila. Ora tocca a Giovanni. E Giovanni emerge subito come la presenza determinante della nuova fondazione dove lui non è il superiore ma è l’ispiratore interiore vibrante di preghiera e di carità e portatore di quegli ideali teresiani che la madre dalla Regola primitiva aveva tratto con tanta sapienza, confortata dal suo carisma materno e irripetibile. Ora a Duruelo si comincia una vita diversa.
È da notare che Giovanni non scandisce nessuna iniziativa di rottura o di spaccatura con il Carmelo perché intende essere un carmelitano “de cuerpo intero” potremmo dire, si dice in Spagna, senza mitigazioni, senza attutimenti né del fervore della carità né della esemplarità della fedeltà alla Regola. A Duruelo egli è faccendiere in una specie di Betlemme che è tutta da rimettere in ordine, è un lavoratore infaticabile ma è soprattutto un orante che non finisce mai di contemplare il suo Signore, è soprattutto un contemplativo che si lascia attrarre dall’amore di Cristo e ne condivide la missione salvifica e santificatrice. In fondo, a questa sua condizione di sudditanza a quel personaggio tanto simpatico, ma anche tanto opinabile che è il padre Antonio di Gesù, non ci sono fratture, c’è una integrazione che la carità rende perfetta e c’è un fervore, e c’è una volontà unanime di dare vita nuova a questa vocazione carmelitana che la santa Madre ha tanto amato e ha tanto valorizzato. Non è il caso di raccontare qui i fervori, i rigori, le penitenze di questa piccola comunità in una struttura materiale assolutamente angusta e anche insufficiente ma qui comincia la vita.
L’episodio della fondazione di Duruelo non è solo un episodio, è un avvenimento che apre una storia, ed è un avvenimento di grazia perché incarna degli ideali lungamente portati in cuore, lungamente maturati alla presenza del Signore; in quella piccola casa, che chiameremo Betlemme, la preghiera, la contemplazione, la lode verso il Signore benedetto non finirà mai. La santa Madre aveva detto a loro che intendeva che la loro vita somigliasse in qualche modo a quella delle consorelle scalze ma questi intemperanti pionieri sono andati oltre. I fervori degli indizi hanno fatto sì che soprattutto la veglia notturna diventasse diuturna e diventasse una specie di confronto incessante che ogni giorno ingigantiva il fervore e ogni giorno portava frutti di carità e di santità operosa.

Cammino di san Giovanni della Croce, organizzato dai Carmelitani scalzi della provincia iberica, nel 2017

Bisogna anche dire che subito questa presenza a Duruelo, questo piccolo manipolo di Scalzi rinnovati ha trattato l’attenzione della gente e si è posto subito un problema: ma questi contemplativi cosa dovevano fare di fronte a questa gente? Chiudersi in difesa nella loro clausura conventuale o aprirsi ad una attenzione alle necessità spirituali? Sappiamo che subito l’attenzione a questo apostolato, anonimo se vogliamo, senza strutture, senza titoli, senza decorazioni ha trovato attenti i nostri primi Scalzi.
Ed è proprio da questa esperienza di Duruelo che i contemplativi fedeli alla Regola di san Alberto senza mitigazione si trovano provocati in un discernimento dove si vorrebbe distinguere ancora radicalmente la contemplazione dall’azione mentre loro unificano i due valori che sono espressione incarnata della stessa carità. La santa è entusiasta, ma l’ambiente comincia a insospettirsi e qualche perplessità per la verità suscitano anche nel cuore della santa Madre: ce la faranno? Non ce la faranno? Riusciranno a mantenere quell’equilibrio spirituale di cui la santa Madre era tanto gelosa e tanto preoccupata per le figlie, cominciando ora a rendersi conto che anche per i figli l’equilibrio spirituale della vocazione ha dei problemi e ha dei confini delicati? Comunque Giovanni della Croce non è sopraffatto da queste preoccupazioni.
“Uomo celestiale e divino” come lo chiama la santa, è tuffato nella contemplazione dei santi misteri di Cristo Signore, è tutto dedito alla carità nella costruzione della comunità, ed è tutto preoccupato di mantenere la fedeltà alle direttive di Teresa di Gesù quando spetta a lui dirigere, quando spetta a lui formare, quando spetta a lui nutrire spiritualmente la comunità. Duruelo quindi è un inizio, ma è un inizio destinato a non finire più, anche se molto presto Duruelo sarà abbandonato per Pastrana e anche se molto presto intorno a questo inizio potrà poi nascere per i figli di santa Teresa quella contestazione che tutto sommato non è mai finita.
Ma a parte la realizzazione locale di Duruelo come primo momento della riforma teresiana c’è un altro fatto contestuale che ci fa pensare. La santa Madre ha voluto la riforma dei Padri per riportare allo splendore della Regola primitiva l’Ordine intero maschile e femminile, ma ha avuto anche un’altra immediata preoccupazione, la preoccupazione cioè della cura spirituale delle sue figliole. E anche questo punto di vista noi dobbiamo osservare che ben presto, troppo presto forse, Giovanni della Croce è coinvolto nella preoccupazione della Santa e comincia quella sua attività di formatore, di direttore, di confessore, di sostenitore della riforma nella pienezza del suo fervore. È il suo apostolato, è il suo impegno che egli sente come debito di riconoscenza per la madre ma che sente anche come vocazione profondamente ecclesiale. A san Giuseppe d’Avila come all’Incarnazione Giovanni della Croce assolverà un compito delicatissimo di dirigere delle figlie di santa Teresa senza impigliarle nelle difficoltà che la riforma cominciava ad incontrare e portandole avanti con una sapienza straordinaria per le strade dello Spirito.

Il carcere

È proprio in questo periodo che accade nella vita del santo Padre un altro episodio che episodio non è: la sua incarcerazione. Il fervore dei fratelli si inasprisce, divide gli animi ed ecco che Giovanni della Croce finisce in carcere, un carcere conventuale ma certamente duro e aspro perché privato della fraternità carmelitana e invece caratterizzato dal rifiuto dei rapporti fraterni e dall’imposizione delle penitenze canoniche, fin che si vuole, ma applicate fino al limite della disumanità. In questo episodio ciò che ci interessa stamattina è la reazione di Giovanni della Croce.
Giovanni della Croce di fronte a questo atteggiamento dei fratelli non recrimina, non si ribella, non fa niente per ottenere libertà ma si perde nella sua contemplazione serena e quei mesi di carcere, nove lunghi mesi, sono momenti deliziosi per lui: contempla, medita, approfondisce i santi misteri con delle penetrazioni stupende e, nel suo cuore, prima ancora che sulle sue labbra, fioriscono le espressioni che saranno poi il fondamento dei suoi scritti.

Paesaggio nei dintorni di Ubeda

È il tempo in cui Giovanni della Croce si sente poeta, il tempo nel quale il santo comincia a mettere insieme dei versi, versi che sono tutti dedicati alla vita spirituale, versi che sono tutti soprattutto dedicati al mistero dell’amore di Dio per l’uomo e all’unione dell’uomo con Dio. Questo carcere è un momento saliente della vita di Giovanni non solo perché lo configura a Cristo, lo fa partecipe di una sua beatitudine ma perché tempra questa creatura, umanamente fragile, la tempra per le responsabilità che ben presto gli saranno affidate. Il carcere è un secondo noviziato che il santo recepisce come tale e come tale vive abbandonandosi mai a nessuna recriminazione, il che non vuol dire che il santo rimanga indifferente alle suggestioni della Provvidenza, e questo lo porterà con una docilità meravigliosa e con un coraggio che non sembrerebbe conforme alla sua natura, a quella famosa evasione dell’Assunta che renderà Giovanni un’altra volta libero. Una liberazione che deve tanta parte della sua riuscita all’intelligenza delle monache che accolgono il santo, che lo proteggono, che lo affidano a mani sicure perché egli esca dalla scena in una maniera nella quale la sua libertà di carmelitano scalzo viene garantita e la sua missione viene rinnovata: sarà un formatore.

In Andalusia

A seguito di questa incarcerazione Giovanni della Croce finisce in Andalusia, la terra che Teresa di Gesù per sua confessione non è mai riuscita ad amare ma che Giovanni invece amerà con una affinità umana profondamente significativa, la terra di Spagna più ardente, la terra di Spagna più fermentata da sentimenti estremamente ricchi, la terra di Spagna più visitata dalle grandi esperienze spirituali ivi comprese quelle dovute allo spirito del male che in quella terra secondo le dichiarazioni di Teresa di Gesù ha trovato molta libertà di azione e quindi ha combinato moltissimi guai.
Giovanni in terra di Andalusia diventa non solo formatore ma superiore, diventa priore di conventi e fondatore di conventi, fondatore di collegi e direttore di anime; è il periodo nel quale tutte le risorse umane di Giovanni della Croce risplendono, trovano esplicitazione in impegni di responsabilità sempre più diretta e sempre più esclusiva e ci rivelano un uomo che non è soltanto trascinato da un’esperienza spirituale sublime e trasfigurante ma un uomo che cammina con i piedi per terra, con il cuore aperto e con la generosità di una paternità e di una fraternità ineguagliabili.
Questo periodo della vita del santo Padre, superiore, fondatore, animatore, formatore è tanto ricco di avvenimenti che, si può dire, rappresenta il periodo più espressivo e più manifestativo della missione di Giovanni della Croce nella riforma. Bisogna anche dire che mentre tutto questo si sta dipanando secondo un piano di provvidenza a cui la madre Teresa non è estranea cominciano le inevitabili difficoltà: il fervore si urta con la mediocrità, la chiarezza vocazionale trova le sue confusioni mentali e dottrinali, e la concretezza quotidiana della vita conforme alla Regola e particolarmente fedele perché la dimensione contemplativa della vita riesca a trovare la sua libertà e il suo clima di espansione, trovano i rifiuti. Giovanni della Croce è amato, ma Giovanni della Croce è sentito anche ingombrante. È il periodo delle contraddizioni che cominceranno a caratterizzare la vita esteriore del santo, e che non finiranno che con la sua morte.
Però c’è da notare un fatto: che mentre la dimensione esteriore della vita del santo si fa agitata, si fa piena di contraddizioni, piena di tensioni, piena di lotte, in questo stesso periodo il santo esprime non soltanto con l’esempio provocatorio e animatore, ma esprime anche con una ricchezza di dottrina le ispirazioni profonde della sua eroica virtù e le ragioni profonde del suo comportamento di carmelitano scalzo.

Scrittore

È il periodo nel quale prima attraverso l’effusione della poesia e poi attraverso il magistero dottorale dello scrivere il santo rivela pienamente se stesso e si prepara a diventare san Giovanni della Croce. Nel santo non c’è un periodo nel quale non abbia fatto altro che insegnare e scrivere; le ispirazioni della sua dottrina vengono dalla sua vita e vengono soprattutto dalla coerenza alla sua vocazione.
Gli anni passati come confessore all’Incarnazione cominciano ad essere espressivi di tutta quella produzione di aforismi che finiranno poi tra le sue cosiddette Opere Minori, e nel travaglio della vita dei conventi a Duruelo, a Pastrana, a Granada, a Segovia, è il clima attraverso cui anche quelle opere cosiddette minori che sono le Cautele si esprimono, rappresentano non soltanto la manifestazione della sua luce interiore ma anche il viatico che gli offre ai fratelli per animarli, per sostenerli, per educarli e per renderli sempre più fedeli a quella sequela di Cristo che la Regola insinua ed insiste come valore fondamentale del Carmelo.
Questo intrecciarsi della storia vissuta con la maturazione degli scritti del santo è un fatto significativo. Io vorrei dire che è un fatto che merita tanta attenzione perché caratteristico di quest’uomo che vive insegnando e insegna vivendo e anzi insegna prima vivendo che insegnando. Il vivere gli sta a cuore come una fedeltà di cui è debitore a Dio benedetto, al Carmelo che lo ha accolto, e alla madre che lo ha voluto come figlio. Insegnare è un debito che paga a tutti coloro che egli segue fraternamente e maternamente con quel discernimento dello spirito, con quella direzione spirituale e con quell’accompagnamento nelle strade della perfezione di cui diventa sempre più maestro così credibile, così efficace e così ascoltato.

Piazza 1 maggio, Ubeda

Vita e dottrina

Questo periodo è il momento del fulgore di questo santo ed è nello stesso tempo il tempo nel quale il santo paga il prezzo della riforma che gli è cara e paga il prezzo di una dottrina che egli insegna con la convinzione della fede, con l’acume dello spirito, ma anche con l’eroismo della virtù. E a me pare che questa commistione della vita e della dottrina sia profondamente significativa. Noi sappiamo che nella vita dell’Ordine la fedeltà alla dottrina di san Giovanni della Croce ha subito alterne vicende. Sappiamo che san Giovanni della Croce non è entrato subito con i suoi libri nella biblioteca delle case di formazione carmelitane, al contrario. Gli scritti del santo Padre e che sono stati messi nel libro di proscrizione del padre Acquaviva a proposito della Compagnia di Gesù, hanno fatto la stessa fine anche nei conventi, in tanti conventi.
E il Dottorato del santo Padre che è arrivato soltanto nel 1926 dopo secoli di silenzio e di dimenticanza significa che l’ispirazione primigenia della riforma e l’ispirazione contemplativa della riforma ha dovuto attraversare dei periodi difficili. Fa parte delle prove, certo, e nessuno meglio del santo Padre queste prove ha descritto, e nessuno meglio di lui ha vissuto nella serenità e nella pace insieme ad un eroismo di pazienza, di sopportazione in mezzo alle persecuzioni fraterne e non fraterne, e tutto questo, pare a me, è inseparabile dalla vita e dalla figura e dal magistero del santo.

Misteriosa vicenda

Vogliamo pensarci un po? A me pare che pensare un po’ a questa misteriosa vicenda per cui un uomo chiamato da Dio ed eletto da Dio ad essere il primo di una rinnovata fedeltà alla Regola abbia attraversato, mentre era in vita e dopo la morte, tutto un itinerario crocifisso ci deve interpellare. Ci deve interpellare per insegnarci qualcosa. E a me pare che alcune cose almeno le possiamo identificare immediatamente.
La prima cosa è che san Giovanni della Croce si è configurato a Cristo ed è stato da Cristo Signore configurato a se stesso in un itinerario spirituale personale estremamente significativo ed estremamente perfetto. Questa configurazione, che è un po’ l’incarnazione storica della sequela Christi predicata dalla Regola e codificata dalla Regola è in intima coerenza con gli itinerari spirituali di incarnazione dai quali non si può prescindere e che devono rimanere, per chi vuole essere figlio di san Giovanni della Croce, parametri particolarmente illuminanti di vita e devono essere criteri di continua verifica e di incessante fedeltà. Il vacare Deo della Regola, il «vivere in obsequio Jesu Christi», sono cose che nel santo si trovano quantificate, qualificate, concretizzate con una coerenza ed una logica estreme, se vogliamo, ma di una limpidità, di una trasparenza, di una continuità ammirabili. Dobbiamo imparare. E questa è la ragione per cui al Carmelo non si può mai dire: adesso siamo arrivati, adesso tutto è fatto, viviamo in pace.

Ubeda, Ingresso del Museo san Giovanni della Croce

Nel seguire Cristo e nel vacare Deo c’è una continuità inesorabile che ci impegna perché non si consuma se non quando il tempo sarà finito e comincerà la stagione della gloria. Anche questa caratteristica, vorrei dire, di perenne inquietudine, ma non una inquietudine che indebolisce ed estenua ma una inquietudine che accende il fuoco e lo rende più ardente, è caratteristica di tutta una storia della riforma: i nostri santi e le nostre sante, i nostri beati e le nostre beate e la schiera innumerevole dei nostri venerabili e delle nostre venerabili sono tutte caratterizzate da questa impazienza, da questa specie di nostalgia, da questa specie di fervore che non si appaga mai, e noi ci dobbiamo domandare se questa caratteristica che ha tanto distinto il santo la ritroviamo, la partecipiamo, la condividiamo, se in questa inquietudine contemplativa della vita ci ritroviamo uniti, ci ritroviamo fratelli e ci ritroviamo animosi continuatori di un carisma di Chiesa che di questo ha anche bisogno. Forse dovremmo pensarci un po’ di più. La storia del Carmelo e specialmente la storia della riforma da questo punto di vista dobbiamo proprio dire che non ha mai avuto pace. C’è chi vede le cose con estrema superficialità e arriva a concludere che tutto sommato il Carmelo è una famiglia religiosa che non si è assestata, non si è realizzata, non è arrivata a compimento.
C’è chi vede le cose con ottimismo e pensa che questa radicale incompiutezza, questa radicale impazienza, questo radicale superamento è invece la sua grazia e il suo dono. Certo Giovanni della Croce lo ha proprio vissuto in questa prospettiva, non ha concesso la pigra pace di chi è arrivato a nessuno, ma ha stimolato sempre al più difficile perché proprio il più difficile è il più compiuto ed è più perfettamente la verità e l’amore. A me pare che una lettura in queste dimensioni della vita dell’Ordine sia particolarmente stimolante per tutti noi e sia anche un dovere da compiere perché l’impigrimento spirituale è tanto più pericoloso quando raggiunge coloro che camminano per le strade della contemplazione e continuano a ritenere che il fervore apostolico possa insidiare la perfezione della carità. Ma c’è anche un’altra lezione da trarre da questo curriculum vitae del santo Padre ed è che il rapporto tra contemplazione ed azione trova un superamento stupendo e sublime proprio nella fedeltà a quell’itinerario della vita spirituale che il santo Padre ha vissuto come fedeltà alla Regola e che ha poi teorizzato in quella dottrina che noi conosciamo e che è tanto preziosa per noi ed è tanto preziosa per la chiesa. In fondo non ha senso discutere se lo spirito missionario di santa Teresa sia conforme alla Regola, non ha senso pensare se le prime iniziative missionarie ed apostoliche, ivi comprese quelle di Giovanni della Croce, siano state veramente incarnazione di un ideale unico ed invisibile, quello della Regola, vacare Deo seguendo Cristo; al contrario io penso che proprio fin dal principio il tumultuoso verificarsi delle aspirazioni spirituali, il manifestarsi delle scelte operative dimostra che la vocazione ha una sua autenticità unitaria e che non si può essere contemplativi perfetti rimanendo insensibili alle necessità della Chiesa e del mondo.

Ubeda, Sala di ingresso del Museo san Giovanni della Croce

In fondo è proprio vero, ma tanto vero, che Giovanni della Croce diventa tante volte l’ispirazione di dedizioni apostoliche stupende di cui l’Ordine ha collezionato una storia mirabile, ma anche è proprio vero che la sublimità della contemplazione rende più sensibili e mette più in sintonia con il cuore di Dio per quella realizzazione del Regno. Così è successo a Teresa di Gesù, così è successo a san Giovanni della Croce, così è successo in lunghi secoli di storia nel Carmelo, anche se talvolta le meschinità umane hanno voluto confondere le idee con delle disquisizioni perfettamente inutili e con delle asprezze fraterne particolarmente rattristanti per il Vangelo del Signore e per la sequela di Gesù Cristo. Oggi rimane ancora vero tutto questo, rimane tanto vero, e non dobbiamo avere paura che il nostro essere fedeli a Giovanni della Croce metta in discussione quell’appello della Chiesa ad essere missionari, ad essere evangelizzatori, ad essere testimoni del Cristo risorto, ad essere in una parola dei santi che camminano per le strade del mondo per ricordare a tutti che queste strade non conducono alla perdizione ma conducono al Regno e al Paradiso.

Quinta Meditazione

Confessore

Il santo Padre Giovanni è vissuto da carmelitano scalzo esercitando una funzione di animazione spirituale incessante di esemplarità religiosa sempre attenta e provocatoria ed è vissuto da carmelitano scalzo esercitando quei ministeri che meritano di essere particolarmente sottolineati perché esprimono una caratterizzazione molto significativa del suo sacerdozio e del suo apostolato: confessore.
È un ministero che ha esercitato sempre. Appena sacerdote ha cominciato con questa attenzione pastorale che ha raccolto intorno a lui il popolo semplice e comune. A Duruelo questo era soprattutto l’impegno di questo prete che nel fervore della sua carità e nella sapienza della sua prudenza sacerdotale attirava i fedeli e faceva loro gustare la misericordia di Dio attraverso il sacramento della penitenza.
Bisogna sottolinearlo questo fatto anche perché Giovanni della Croce è un confessore che non si rifiuta a nessuno: l’umile gente del borgo come domani la gente nobile e aristocratica della città troverà in lui il sacerdote illuminato e il sacerdote animatore. Un confessore che attira le anime e nello stesso lo soggioga, un confessore intransigente nell’amore di Dio e nella fedeltà alla sua legge ma nello stesso tempo capace di incoraggiare ogni fervore, di alimentare ogni conversione e di rendere questo sacramento un’esperienza profondamente incisiva nella vita.
A raccogliere dai processi e dalle sue memorie tutti gli episodi relativi a conversioni, a rinnovamenti spirituali, a trasformazioni interiori operate dal santo attraverso il ministero, ci sarebbe veramente da illuminare con una maniera estremamente affascinante questo sacramento, questo sacramento che oggi è in crisi e che manca proprio di una realizzazione che abbia le caratteristiche che san Giovanni della Croce riusciva ad incidere.
È giovane san Giovanni della Croce, anzi dobbiamo dire da questo punto di vista giovanissimo, eppure è un confessore ricercato, è un confessore che lascia il segno, è un confessore che esercita questo ministero salvifico con un fascino tutto particolare: una misericordia senza fine per il peccatore, una intransigenza assoluta verso il peccato e uno zelo per la Gloria di Dio che mescolandosi fanno sì che chi l’incontra come confessore non possa rendere l’esperienza banale ma debba, se lo segue, esperimentare le strade della conversione e anche le strade della santità. Ho detto confessore della povera gente del borgo, ma bisogna aggiungere che un’altra categoria di persone che ha sempre curato attraverso questo sacramento è quella delle anime consacrate, i religiosi e le religiose. E qui il suo ministero di confessore si allargava e diventava continuamente non soltanto il ministero del sacramento, ma il ministero della direzione spirituale. Le carmelitane scalze, le figlie di santa Teresa, Teresa stessa hanno sperimentato l’efficacia di questa sapienza sacerdotale e noi conosciamo l’elogio che la santa Madre fa di lui proprio come confessore.

Ubeda, Sala di ingresso del Museo san Giovanni della Croce

La priora di Malagòn si lamenta perché non ha confessori e la santa Madre la rimprovera: figlia mia, hai lì un Giovanni della Croce e dici di non avere confessori, ma cosa vai cercando? A me manca perché non ho trovato nessuno come lui. Questo giovane sacerdote rivela non soltanto la fedeltà ad un ministero ma rivela soprattutto la presenza di doni straordinari per leggere nelle coscienze, per attivarle e svegliarle dal torpore della miseria morale, dalla morte del peccato, dalla pigrizia della imperfezione e della mediocrità.
Questo confessore nello stesso tempo diventa un direttore di anime non soltanto nelle vicende comuni della vita, ma anche nei momenti decisivi della stessa. La scelta dello stato, il trapasso della vita banale e comune alla vita di perfezione e di conversione e il passaggio poi a quella vita profondamente spirituale della preghiera, dell’orazione mentale, della contemplazione, della carità generosa e fedele; è un fabbricatore di santi diremmo, è un modellatore di creature che si aprono alla grazia e in questo suo ministero si effonde non soltanto con la sorprendente ricchezza della dottrina spirituale ma anche con una umanità piena di soavità, piena di bontà, piena di comprensione e molte volte, cosi tanto da stupire, ricca di tanta tenerezza umana. Uomo di Dio. Uomo che lascia il segno dove passa e che lascia impronte divine nelle creature che incontra. Ma questa missione sacerdotale del confessore, del direttore spirituale che esercita in convento e fuori convento rimane certamente la caratteristica più espressiva della sua ricchezza interiore e anche della sua vocazione pastorale. È proprio a livello di questo ministero che in lui si placano tutte le discussioni fraterne sulla contemplazione e l’apostolato, sulla natura della vita del carmelitano scalzo, perché quando si tratta di

Ubeda, Facciata del Museo e dell’Oratorio san Giovanni della Croce

redimere delle anime o quando si tratta di resuscitarle, o quando si tratta di stimolarle per le vie della perfezione non bada a nulla: è un confessore che sa anche uscire di convento. Certo il confessionale del suo convento ne è il luogo classico, ma nello stesso tempo è anche un confessore itinerante. Quanto abbia viaggiato san Giovanni della Croce per fare il confessore è documentato dalla sua storia. Potremmo dire che il suo cammino non soltanto spirituale ma fisico ha questa sollecitazione continua: è per la strada, va di borgo in borgo, passa da città in città, è chiamato da monastero a monastero per fare il confessore. È la caratteristica che non si può accomunare ad altre parlando di questo sacerdote che si chiama Giovanni della Croce. Bisogna sottolinearlo anche perché documenta la fedeltà con cui il santo ha saputo rispondere alle intenzioni della madre Teresa nel volerlo scalzo e nel volerlo sacerdote di Dio.

Animatore della comunità

Ma questo suo ministero sacerdotale di confessore non esaurisce la sua attività. Tutta la sua vita è caratterizzata anche da un altro impegno che in un modo o nell’altro non abbandona mai: la responsabilità di animare o di dirigere delle comunità. Delle comunità di religiosi, di confratelli e anche delle comunità religiose di scalze, in modo diverso ma con una coerenza spirituale unica.
È un superiore. Chiamarlo cosi può sembrare strano per la soavità con cui esercita l’autorità, con cui assolve le responsabilità di animare, di compaginare nella carità e nella fraternità le varie comunità nelle quali si trova e nelle quali in gran parte è anche il fondatore. Da questo punto di vista noi possiamo caratterizzare la sua storia in due momenti ben precisi: quelli che l’hanno legato alla Castiglia e quelli che l’hanno legato lungamente all’Andalusia.
In Andalusia ha fondato il convento del Calvario, ha fondato il convento di Granada, ha fondato il collegio di Baeza, ne ha preso le redini, ne ha illuminato le comunità e le ha rese famose per l’esemplarità della vita secondo gli ideali della Regola e di Teresa e anche li ha resi famosi per quella carica di umanità che ha caratterizzato la vita comune e che ha reso profondamente fratelli dei religiosi anche abbastanza disparati e a questo proposito non possiamo dimenticare che essendo in tempi della riforma, i primi, l’estrazione dei suoi confratelli non era la risultanza di una omogeneità sociale, storica, culturale, spirituale. I religiosi arrivavano attratti dalla madre Teresa e dai suoi ideali contemplativi, ma in genere non erano dei ragazzi modellabili, ma degli uomini già fatti, delle persone, dei sacerdoti già collaudati nell’esperienza sacerdotale della vita spirituale, ma profondamente diversi.
In quegli anni i nostri conventi non erano frequentati e scelti come itinerari di vita da persone facili. Padre Antonio di Gesù aveva una lunga tradizione conventuale nella mitigazione, il padre Girolamo Graçian veniva da una esperienza sacerdotale particolarmente ricca e particolarmente definita, il padre Doria era di una estrazione che possiamo chiamare non omogenea per tanti motivi e cosi via…
Ha avuto dei novizi, ha avuto dei giovani, religiosi più o meno giovani con il calendario, già pregiudicati da storie, da vicende, da responsabilità e anche da attaccamenti, da idee personali, da preoccupazioni di realizzazioni umane certo per il Regno, ma anche faticose da domare, a inquadrare nella comunione della fraternità religiosa e nella coerenza della carità. Giovanni della Croce in mezzo a questa varietà di comunità che ha fondato e ha diretto è stato animatore di uomini più che di bambini, è stato animatore di persone mature più che di incipienti. Lui quasi sempre il più giovane con una saggezza, con una serenità, con una forza d’animo e con una pazienza della quale bisognerebbe dire qualche cosa di più perché era certamente carismatica, è il frutto di una sintonia con Cristo Signore che attingeva soprattutto alla sua preghiera. Il suo ministero di confessore e il suo ministero di superiore e animatore di comunità era nutrito dalla sua preghiera.
La Regola che aveva voluto abbracciare in tutta la sua interezza gli era particolarmente cara su due punti: quel «vivere in ossequio di Gesù Cristo» e quel vacare Deo che hanno costituito per lui l’ispirazione perenne della sua vita e l’impegno totalizzante della sua esistenza.
Vacare Deo: la festa dello stare con Dio, il riposo dell’abbandonarsi al Signore, la beatitudine di contemplarlo nella sublimità dei suoi misteri e soprattutto nella infinità della sua misericordia. Giovanni nutriva la sua vita con quella fedeltà alla preghiera che non era soltanto quella conventuale, ma era soprattutto quella notturna, tutta personale, tutta silenzio, tutta solitudine.

Ubeda, Facciata dell’Oratorio san Giovanni della croce (part.)

Non possiamo dimenticare che questa emergente dimensione della sua esperienza cresceva e maturava attraverso un dinamismo di vita esteriore che lo coglieva continuamente, lo impegnava, ma che invece di esteriorizzarlo nella fatica delle cose lo interiorizzava nella esperienza dell’amore di Dio espresso nella comunione con il suo Signore ed espresso nella inesauribile generosità fraterna. La preghiera nel santo diventa la storia della sua vita, diventa il maturare della sua santità di carmelitano e diventa anche la sorgente di quella ispirazione di maestro e di padre che in questo periodo della sua esistenza ha esercitato instancabilmente.
È ovvio che questo vacare Deo e questo «vivere in ossequio di Gesù Cristo» appassionava il suo cuore, accendeva il suo spirito e lo rendeva talmente ricco di esperienza interiore e talmente ricco di doni spirituali di cui elargiva la ricchezza a tutti quanti. La storia ci dice che Giovanni della Croce con questa sua presenza carismaticamente animatrice era una presenza desiderata, era una presenza ambita, era una presenza di cui i religiosi sentivano il fascino. Non era un superiore insignificante, non era un superiore intransigente, ma aveva tutta la forza della carità. I frati stavano volentieri con lui, lo cercavano, lo ascoltavano, gli davano retta, e la forza di questa persuasione gli derivava dall’esempio che non gli veniva mai meno e dell’ispirazione interiore che era sempre sovrabbondante e vivificante.

Questo carmelitano scalzo!

Evidentemente nell’essere animatore e padre non poteva non suscitare le invidie e le gelosie di chi non ama il bene e qui noi dobbiamo anche dedicare un momento di attenzione al fatto che Giovanni della Croce ha conosciuto anche le insidie del demonio.
È stato una creatura tentata, è stata una creatura intorno al quale il diavolo ha tessuto le sue trame e intorno al quale gli uomini sono stati nelle mani del diavolo anche sorgente di difficoltà, di asprezze, di inimicizie, di invidie, di gelosie, di calunnie. E noi sappiamo che il capitolo doloroso della vita di Giovanni della Croce è chiaramente un capitolo ispirato dall’azione del demonio e coltivato nei sentimenti meno nobili e meno generosi nel cuore dell’uomo. È un capitolo a parte; non è il capitolo che caratterizza la santità di Giovanni ma è un capitolo però che rende in una maniera impressionante una sua somiglianza con il Signore Gesù. Anche Gesù ha incontrato sulla sua strada le macchinazioni del maligno. Giovanni di fronte a questo non ha preso gli atteggiamenti dell’eroe e neppure gli atteggiamenti del preoccupato.

Ubeda, Oratorio san Giovanni della Croce (interno)

È rimasto un discepolo di Gesù ed è rimasto un credente nell’infinità della divina carità. E la semplicità, la serenità, la tranquillità, la pace con cui ha attraversato i giorni neri della sua vita rimane per noi un capitolo lungamente da meditare. Se teniamo conto che l’itinerario storico esteriore della sua esistenza è agitatissimo, complicato da contraddizioni senza fine e confrontiamo questa dimensione esterna della sua vita con la pacifica e serena evoluzione del suo itinerario spirituale e del suo ministero non possiamo che rimanere ammirati: la sovranità dei doni dello Spirito si manifesta, la pienezza della carità si rivela e noi ci troviamo di fronte a un santo che sembra aver vissuto i suoi giorni nella soavità e nella pace.
Le sue parole spirano miele anche quando sono intransigenti come la verità, ma sono sempre cariche di mitezza, di soavità, di pace. I suoi gesti non sono mai gesti imperiosi di un tiranno, di un sopraffattore, ma i gesti di un amico, di un fratello, di un padre. E la fermentazione delle forze del male può far baccano intorno a lui, può montare episodi qualche volta clamorosi di presenza ma lui non è scalfito, è sereno. Può anche essere chiamato a verificare l’autenticità dello Spirito in casi straordinari, può arrivare anche lontano in Portogallo a smascherare false contemplative, ma lui è un uomo pacifico. Questa invincibile serenità del santo, questa mitezza misteriosa del suo comportamento, questa sua capacità di dominare con il raccoglimento, con la penitenza, con la preghiera ogni situazione avversa rimane esemplare. Non è un colosso, non è un eroe, ma è semplicemente un uomo posseduto dal Signore, invaso dallo Spirito e posseduto veramente dalla potenza di Dio.

Gli incontri

Ma c’è ancora un dettaglio da mettere in luce in tutto questo lungo e conclusivo periodo della vita del santo: è il suo incontro, il maturare intorno a lui di creature eccezionali. Abbiamo già detto della sua comunione profonda che lo legava a Teresa di Gesù. Dobbiamo ricordare in modo particolare Anna di Gesù, un’altra sua figlia spirituale per la quale ha scritto il cantico e tante altre consorelle e confratelli che hanno trovato in lui un’ispirazione di vita che le ha condotte alla santità e alla perfezione, che le ha fatte camminare per i grandi cammini dello Spirito e che le ha rese ad un tempo profonde contemplative e profonde ed efficaci collaboratori del Signore. Non possiamo dimenticare che tutto questo è avvenuto con una esemplare fedeltà ad alcune ispirazioni native che hanno caratterizzato la sua storia: la predilezione della povertà, la predilezione della solitudine, la predilezione del seguire Cristo nudo e crocifisso e il bisogno insaziabile di starsene contemplativamente con il suo Signore, bevendo alle sue sorgenti di grazia e di amore. In tutto questo la Regola, è inutile dirlo, rimane una sorgente a cui continuamente si riferisce, ma rimane anche un ambito nel quale la Regola perde le sue asprezze di Regola e diventa pienezza normativa di carità e di fervore. Anche questo va detto perché il rischio che la Regola venga materializzata nella asprezza di alcuni esercizi è un rischio che già ai suoi tempi si correva ed è un rischio da cui il santo ha sempre saputo difendere non solo se stesso ma le anime che lo hanno avuto maestro nel Carmelo riformato.
Ecco allora che in questa prospettiva noi ci troviamo di fronte ad una creatura che ha veramente consumato la vita. Ed è bello pensare che questa vita consumata così ha avuto l’epilogo il più sconcertante che noi possiamo pensare: Giovanni della Croce, il primo carmelitano scalzo, Giovanni della Croce l’animatore carismatico della Riforma, Giovanni della Croce il fondatore delle prime case e il responsabile delle prime comunità educative consuma presto il suo cammino.

Muore così

San Giovanni della Croce batte in velocità di consumazione la sua madre. Sappiamo tutti che muore molto giovane e muore in un contesto che ci fa pensare: finalmente non è più superiore, non è più animatore, è, storicamente ed esteriormente parlando, vittima di una persecuzione che lo annienta e spiritualmente di un itinerario consumativo nella carità che lo trasfigura: muore così. Quando noi leggiamo l’ultimo periodo della sua vita, a Ubeda dove è morto, non possiamo che trattenere la commozione.

Sarcofago di San Giovanni della Croce, Oratorio san Giovanni della Croce, Ubeda

Si consegna da solo nelle mani di chi l’ha fatto tanto soffrire perché là aspetta di soffrire ancora un poco e spera che ciò che ha chiesto al Signore: «Signore che io possa patire e morire per Te» si compia definitivamente. E il Signore ascolta. È incredibile come questo santo abbia potuto vivere e concludere la sua vita in una situazione di amarezza senza fine, di persecuzione implacabile, di inimicizia invincibile da parte degli altri. Da parte sua è un mite che si configura al Signore, che si abbandona alla felicità della croce e che assapora, eh sì, assapora profeticamente le trasfigurazioni del cielo. Muore sorridendo, muore aspettando che batta l’ora di mattutino per cominciarlo in Cielo, muore proclamando che son perle preziose le parole del Cantico, muore così.
Amarezza intorno a lui non ce n’è: tutto si placa e il santo, configurato a Cristo fino in fondo, entra nel Regno, raggiunge finalmente la madre, ma raggiunge soprattutto quel Cristo Signore di cui è stato innamorato e al quale ha consegnato la sua esistenza per la gloria di Dio, per il bene della Chiesa, per l’avvenire del Carmelo. A tutto questo dobbiamo pensare. È struggente, vorrei dire, l’atmosfera che circonda questa esistenza e io vorrei che in questi giorni, proprio riprendendo la vita del santo, la sua storia oltre che le sue opere, ci lasciassimo catturare da questo clima che riesce a provocare sempre quando trova qualcuno che si mette in ascolto e quando trova qualcuno che lo segue da vicino.

Reliquiario di San Giovanni della Croce, Oratorio san Giovanni della Croce, Ubeda

È vivo san Giovanni della Croce. Il fascino che esercita ancor oggi non soltanto nel Carmelo ma fuori è un segno evidente che la sua missione è ancora viva, è ancora attuale ed è soprattutto per noi una missione alla quale ci dobbiamo abbandonare con docilità, con attenzione contemplativa e con una generosità spirituale che ci liberi da tante paure e ci metta al seguito di lui con la limpidezza del cuore, la libertà dello spirito e la generosità della vita. Sia così, e la sua paternità ci aiuti, e il suo esempio ci stimoli, e il suo magistero ci illumini giorno per giorno fino a quando anche per noi giungerà l’ora di un tramonto splendente come il suo e ricco di fervore come il suo.

(Continua)
* Testi delle meditazioni dettate da padre Anastasio Ballestrero ocd per gli esercizi spirituali tenuti a Bocca di Magra (SV) nel 1990, in occasione del IV Centenario della morte di san Giovanni della Croce e pubblicati con il titolo Dove non c’è amore metti amore, edizioni OCD 1990

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