Dall’ateismo, dall’ebraismo, dall’islam. Approdati alla fede cristiana da sponde anche lontane ed ostili. L’ultimo della serie: un musulmano turco divenuto dottore in teologia cattolica
ROMA, 10 settembre 2013 – Non è questa una stagione particolarmente di successo, per i convertiti al cristianesimo. Spesso è più riverito chi “dialoga” da fuori della Chiesa di chi abbraccia la fede cristiana e chiede il battesimo.
Ma è anche vero che le conversioni al cattolicesimo sono più numerose di quanto si pensi. A partire dalle sponde più diverse, anche le più lontane e ostili.
Quattro anni dopo una sua prima serie di interviste raccolte nel volume “Nuovi cristiani d’Europa. Dieci storie di conversione tra fede e ragione”, Lorenzo Fazzini – giornalista e dinamico direttore dell’EMI, Editrice Missionaria Italiana – è tornato a esplorare altre otto storie di grandi convertiti.
L’ultima intervista di questa nuova serie è uscita domenica 1 settembre sul quotidiano della conferenza episcopale italiana “Avvenire”. Ed è a un convertito dall’islam al cristianesimo, nato e cresciuto in Turchia e oggi residente in Germania.
Il suo nome è Timo Aytaç Güzelmansur (nella foto). È nato nel 1977 ad Antakya, l’antica Antiochia, dove – secondo gli Atti degli apostoli – per la prima volta i seguaci di Gesù di Nazareth vennero chiamati cristiani.
Dopo la sua conversione e il battesimo ha studiato teologia dal 2000 al 2005 in Germania, ad Augusta, e poi a Roma nella Pontificia Università Gregoriana. Ha conseguito un dottorato di ricerca alla Hochschule Sankt Georgen di Francoforte, la stessa facoltà di teologia dove l’allora giovane gesuita Jorge Mario Bergoglio intendeva perfezionare i suoi studi.
Suo “mentore” è stato un altro gesuita, Christoph Tröll, grande esperto di islam, molto apprezzato per tale sua competenza dalla conferenza episcopale tedesca e dallo stesso Joseph Ratzinger, che nel 2005, da poco eletto papa, lo chiamò a introdurre a Castel Gandolfo l’annuale sessione di studi dei suoi ex allievi di teologia.
L’intervista è riprodotta più sotto. In essa, Timo Aytaç Güzelmansur non nega la “pericolosità” di una conversione in un paese come la Turchia e quindi a maggior ragione in altri paesi musulmani ancor più intolleranti.
Ma sottolinea come le conversioni non mancano, anche per un motivo molto analogo al suo: la scoperta che “Gesù ci ha amati al punto da donarsi per noi sulla croce”.
È un motivo che ha mosso anche altri dei convertiti intervistati da Fazzini, come mostrano i colloqui pubblicati da “Avvenire” a partire dallo scorso 15 luglio.
Con nell’ordine:
1. PETER HITCHENS – Fratello del più celebre Christopher – che con Richard Dawkins e Daniel Dennett compone la triade del cosiddetto “nuovo ateismo” –, proviene anche lui da una radicale avversità a ogni fede religiosa. Fu trotzkista e poi ardente sostenitore del comunismo di stretta osservanza sovietica. Si è convertito al cristianesimo in età adulta, a partire da una riflessione su un dipinto di Rogier van der Weyden che raffigura il giudizio universale.
> Hitchens: “Dio è sempre una possibilità”
2. PATRICK KÉCHICHIAN – Dalla Parigi di Jacques Lacan e della psicoanalisi al Cristo di Péguy e Claudel. Passando per le pagine di “Le Monde”, il quotidiano francese della “laicité”. La conversione di Patrick Kéchichian, critico letterario e scrittore, ha trovato nell’amore del Nazareno – attraverso le pagine di Kierkegaard – la risposta alle domande che gli premevano dentro.
> Kéchichian. Il mistero doloroso che va verso la luce
3. TATIANA GORITCHEVA – Teologa e attivista russa, ha scelto il Vangelo accettando il carcere e l’esilio pur di rifiutare la “diabolica ideologia” di un marxismo che voleva cambiare l’uomo rinnegando ogni apertura al cielo. Oggi vive a Parigi, da dove mette in guardia l’Occidente edonista da un altro vitello d’oro, il consumismo sfrenato che annulla l’anelito spirituale della persona.
> Goritcheva: l’alba dopo il sovietismo
4. STRADFORD e LÉONIE CALDECOTT – Risiedono in una città inglese, Oxford, che è sinonimo di potere intellettuale. Ma Stratford Caldecott e sua moglie Léonie sono stati conquistati dalla grazia che la fede cristiana, scoperta come dono e vissuta in libertà, può offrire al mondo contemporaneo
> Caldecott: l’élite di Oxford non ama i cristiani
5. FRANÇOIS TAILLANDIER – Ci si può convertire al cristianesimo grazie alla figura di Giovanni Paolo II, pur restando “progressisti” nella propria visione di vita? Per François Taillandier, scrittore francese e giornalista, questo è avvenuto. Ha davvero vissuto il suo approdo alla fede grazie a papa Karol Wojtyla, alla sua parola esigente rispetto alla mentalità comune, alla sua denuncia di un capitalismo spietato con i poveri.
> Taillandier: “Io, convertito dal papa combattente”
6. MYROSLAV MARYNOVYCH – Il suo impegno a favore dei diritti umani nell’allora Unione Sovietica gli è costato dieci anni di carcere e di esilio. Oggi è vicerettore dell’Università Cattolica Ucraina a Leopoli, dove dirige l’Istituto sulla religione e la società, da lui fondato nel 1997. Ha anche fondato la sezione ucraina di Amnesty International. Ha partecipato come uditore al sinodo dei vescovi del 2001.
> Marynovych, un mistico nel gulag sugli Urali
7. JEAN-MARIE ELIE SETBON – I romanzi dello scrittore ebreo-americano Chaim Potok, con protagonista un pittore ebreo ultra-ortodosso che dipinge una crocifissione e così suscita scandalo nella sua comunità a New York, sembrano aver preso corpo in Jean-Marie Elie Setbon. Ebreo di padre e di madre, attratto da Gesù crocifisso fin da bambino, ordinato poi a Gerusalemme rabbino del movimento tradizionalista Lubavitch, oggi, diventato cattolico, cerca di trasmettere a chiunque il suo incontro con Cristo.
> Setbon. Dalla kippah al Crocifisso
E questa che segue è l’ottava e ultima intervista della serie.
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GÜZELMANSUR, UN MUSULMANO CONQUISTATO DA GESÙ
Intervista con Timo Aytaç Güzelmansur
D. – In che modo è avvenuta la sua conversione al cattolicesimo?
R. – Ho iniziato ad avvicinarmi alla fede cristiana all’età di 18 anni dopo aver conosciuto un cristiano di cui sono diventato amico nella mia città, Antakya. Provengo da una famiglia musulmana non particolarmente religiosa, comunque ho avuto un’istruzione basata su principi islamici: i miei genitori appartengono alla comunità alavita.
Dopo il mio incontro con alcuni cristiani, ho iniziato a leggere la Bibbia, in particolare il Nuovo Testamento. E da subito sono stato affascinato dalla persona di Gesù. Questo fascino, che ancora oggi mi avvince, e la sorpresa (a causa della meraviglia) che Gesù mi ama così tanto da salire sulla croce e dare la vita per me, sono i motivi per cui sono diventato cristiano.
D. – In che modo le persone intorno a lei hanno reagito alla notizia della sua conversione cristiana?
R. – Ci sono state diverse reazioni. Nella mia famiglia è sorta una certa inconsapevolezza per quello che significava il fatto che un proprio figlio ventenne decidesse di farsi battezzare. Probabilmente a causa di un senso di vergogna, vista la mia decisione di non esternare molto i motivi della mia scelta religiosa, si è verificato un certo allontanamento tra me e mio padre tanto che dovetti, per un certo tempo, lasciare la casa dei miei genitori ed emigrare nella Turchia orientale. Per alcuni miei amici non ero più quello di una volta. Anzi, mi trattavano come un rinnegato e hanno interrotto ogni contatto con me.
D. – Perché ha deciso, al momento di farsi battezzare, di prendere il nome di Timoteo?
R. – Dopo circa due anni dall’inizio del mio interesse per il cristianesimo presi la decisione di farmi battezzare. Un sacerdote dei Piccoli Fratelli di Gesù mi ha preparato per il battesimo. Il 6 gennaio 1997 sono stato battezzato con il nome di Timoteo nell’allora cattedrale del vicariato apostolico di Anatolia, nella città di Mersin. Il mio battesimo venne celebrato di pomeriggio alla presenza di poche persone.
Questo nome l’ho scelto io personalmente perché Timoteo era un seguace di san Paolo. Timoteo era originario di Iconio, l’attuale città turca di Konya. Quando egli, assieme a Paolo, iniziò a evangelizzare l’Anatolia era giovane come me quando chiesi il battesimo. In una lettera Paolo scrisse a Timoteo: “Nessuno disprezzi la tua giovane età, ma sii esempio ai fedeli nelle parole, nel comportamento, nella carità, nella fede, nella purezza” ( 1 Tm 4, 12).
D. – Quale è stato l’aspetto del cristianesimo che l’ha maggiormente colpita?
R. – Mi sono convertito al cristianesimo a causa di Cristo! Come ho già detto, ad affascinarmi tuttora è l’amore di Gesù per gli uomini. Egli ci ha amato al punto da donarsi per noi sulla croce. Se Gesù dona la sua vita per me, io come posso rispondere? Per me questa rappresenta la domanda fondamentale. E mi è sembrato logico ricambiare questo amore seguendo Cristo e ricevendo il battesimo.
D. – Vi sono degli aspetti dell’islam che lei considera positivi?
R. – L’islam non è una religione omogenea. Al suo interno riscontriamo numerose correnti religiose così come diverse impronte culturali e tutte vengono presentate come islamiche.
Trovo per esempio, grandioso il fatto che l’islam non faccia differenza tra razze o discriminazioni a motivo del colore della pelle: tutti gli uomini vengono trattati come fratelli. Nella particolare comunità islamica dei miei genitori, gli alaviti, viene evidenziato l’amore del credente verso Dio e verso gli uomini.
Ci sono però diversi aspetti nell’islam che non posso accettare, come ad esempio il rapporto tra uomo e donna, il rapporto non chiaro con la forza, il concetto spesso citato di “guerra santa”.
D. – È possibile una coabitazione pacifica tra cristiani e musulmani?
R. – Sì, penso che sia possibile anche se ho l’impressione che sia in Europa che in Turchia ognuno conosca poco dell’altro. Viviamo spesso vicino gli uni gli altri ma non con l’altro. Dobbiamo mostrare più interesse alla vita degli altri scambiandoci le nostre esperienze religiose. Come persone alla ricerca del volere di Dio abbiamo molte sfide globali che possiamo superare solo assieme.
Mi sembra che il peso della storia stia gravando ancora su di noi e sulla nostra possibilità di conoscerci reciprocamente. È tuttavia il momento, come ha detto il Concilio Vaticano II nel documento “Nostra aetate” sulle religioni, di lasciare da parte il passato per cercare di capirci sinceramente e reciprocamente e insieme sostenere la promozione e la tutela dei diritti sociali, che sono dei beni morali; non ultimi, tra questi diritti, la pace e la libertà per gli uomini. Dobbiamo avere il coraggio di avvicinarci reciprocamente.
D. – Dal suo osservatorio tedesco, le conversioni dall’islam al cristianesimo sono in aumentando?
R. – Nella Chiesa cattolica in Germania annualmente vengono battezzate circa duecento persone di provenienza musulmana. Non è noto quanti siano i nuovi cristiani di ambiente protestante che provengono dall’islam perché non esistono statistiche.
Le persone che lasciano l’islam hanno differenti motivi nel momento in cui decidono di fare questo passo, che è pericoloso. Alcuni dicono: Maometto fu un uomo di Stato e religioso troppo violento, e questa violenza si è trasmessa anche nel Corano. Altri invece percepiscono le comunità arabe dove l’islam è maggioranza come molto arretrate. Altri ancora hanno lasciato l’islam perché sono venuti ad abitare in Occidente e qui si vogliono integrare completamente: secondo loro, un passo fondamentale è accettare il credo della maggioranza, ovvero il cristianesimo.
Ma sopratutto ci sono persone musulmane di una profonda religiosità alla ricerca di Dio, che per questo trovano nel cristianesimo un Dio che li ama e offre loro pace e accoglienza. Grazie all’incontro con Cristo scoprono un’immagine di Dio che ovviamente non possono trovare con l’islam.
D. – In Italia la condizione del cristianesimo di oggi in Turchia è nota sopratutto a causa di due gravi fatti, il doppio omicidio del sacerdote Andrea Santoro e del vescovo Luigi Padovese. Come vivono i cristiani nel suo paese d’origine, la Turchia?
R. – Sì, purtroppo nel recente passato in Turchia si sono avute delle ondate di violenza non contrastate, nei confronti dei cristiani. Personalmente non ho conosciuto don Santoro, però ho vissuto tra il 1998 e il ’99 nella chiesa di Santa Maria in Trabzon dove egli nel 2006 fu barbaramente ucciso. Inoltre fui personalmente referente del vescovo Luigi Padovese nella città di Iskenderun. Anche la sua uccisione, per mano del suo autista, mi trova ancor oggi sbalordito. A queste serie di omicidi si devono aggiungere quelli di tre cristiani protestanti e del giornalista armeno Hrant Zaehlen.
Dopo questi eventi i cristiani in Turchia si trovano sempre più a disagio. L’umore sociale del Paese offre una gran varietà di situazioni: si va da comportamenti di vicinato amichevole fino a ostili violazioni. A seconda di dove ci si trova ad abitare in Turchia si possono vivere tutte queste situazioni. Nella città di Malatya, dove nel 2007 sono stati uccisi tre cristiani protestanti, ancor oggi nessun turco si fa riconoscere come cristiano. Mentre invece ad Antakya perfino gli esponenti dello Stato esaltano i buoni rapporti tra musulmani, cristiani ed ebrei.
D. – Nell’islam di oggi esiste una maggior attenzione che in passato alla democrazia, ai diritti umani e alla libertà religiosa?
R. – Quando sono scoppiate le sommosse note come rivoluzioni arabe, nessuno poteva prevedere quali dinamiche avrebbero scatenato. Tante persone in Egitto, Tunisia, Bahrein e altrove sono scese in strada perché consapevoli di non potersi lasciare più sfruttare dal potere statale. Uomini, donne e giovani sono insorti per i loro diritti e per avere più libertà.
Anche in questo contesto le diverse tradizioni culturali hanno condizionato la vita politica e sociale dei singoli paesi. Non vedo la democrazia agli antipodi rispetto all’islam. Anche se in questo periodo non stanno arrivando buone notizie dalla Turchia, dobbiamo ricordarci che lì c’è una democrazia che funziona, in una popolazione a maggioranza islamica. Non credo che la maggioranza della popolazione turca accetterà come sistema statale la sharia. Quello che è necessario è una maggior formazione ed educazione. Servono coraggiose voci islamiche in opposizione al fondamentalismo per creare una libertà dell’individuo che sia ispirata ai canoni islamici.
(Intervista raccolta da Lorenzo Fazzini. Ha collaborato Antonio Ripamonti)
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Per musulmani ed ebrei che si convertono al cristianesimo, i rapporti con la comunità di origine si fanno spesso in varia misura difficili. Ma talvolta i convertiti non sono ben accolti nemmeno tra i cattolici.
L’ebreo convertito Jean-Marie Elie Setbon ha così risposto a una domanda in proposito:
“Sì, anche quelli che noi chiamiamo ‘ebrei riformati’, i ‘liberali’ che partecipano al dialogo ebraico-cristiano, anche loro non hanno apprezzato la mia conversione. Ma io non sono un’eccezione, visto che altri miei fratelli e sorelle di carne hanno vissuto la stessa cosa. Posso citare come esempio il gran rabbino di Roma Eugenio Zolli. In definitiva penso che oggi, anche nella Chiesa, l’accoglienza di un ebreo, per lo più rabbino ultra-ortodosso, resta un tabù, visto che non diventa un argomento nel dialogo interreligioso”.
Sulla conversione nel 1945 del gran rabbino di Roma Zolli, citato da Setbon, e le reazioni, si veda questo servizio di www.chiesa, con un commento della storica ebrea Anna Foa:
> Quell’ebreo Gesù che cambiò la vita al gran rabbino di Roma
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Il volume con la prima serie di interviste di Lorenzo Fazzini a dei convertiti:
L. Fazzini, “Nuovi cristiani d’Europa. Dieci storie di conversione tra fede e ragione”, Lindau, Torino, 2009.
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Tra i convertiti italiani di questi ultimi anni c’era il filosofo Pietro Barcellona, morto lo scorso 7 settembre all’età di 77 anni. Di formazione marxista, membro del consiglio superiore della magistratura dal 1976 al 1979, ha diretto il Centro per la Riforma dello Stato, fondato con Pietro Ingrao. Nel 1979 è stato eletto deputato nelle file del partito comunista italiano.
Barcellona ha esplicitato la sua conversione nel 2012 con un articolo su “l’Unità” dal titolo “Come sono diventato cristiano”. Ma già in precedenza aveva descritto il suo progressivo ritorno alla fede cristiana in due libri: “L’ineludibile questione di Dio” del 2009 e “Incontro con Gesù” del 2010.
Nell’autunno del 2011, Barcellona aveva sottoscritto con altri tre intellettuali e politici di sinistra – Giuseppe Vacca, Mario Tronti e Paolo Sorbi – un manifesto di adesione alla visione antropologica di Benedetto XVI che aveva procurato loro la definizione di “marxisti ratzingeriani”:
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