Orizzonte cinese

La linea proposta da Benedetto XVI nella sua Lettera, tracciava la pista per la riconciliazione delle comunità ufficiali e sotterranee e per un dialogo schietto e amichevole con il governo. Le nomine dei vescovi e uno spazio di libertà per la testimonianza della Chiesa nella società rimangono le esigenze essenziali di una vera libertà religiosa. L’impaccio della leadership, spesso dominata dagli elementi più radicali. L’analisi di un missionario esperto della Cina.

Milano (AsiaNews) – Sono passati cinque anni da quando Papa Benedetto XVI ha rivolto una speciale Lettera “ai vescovi, sacerdoti, persone consacrate e ai fedeli laici della Chiesa cattolica nella Repubblica popolare cinese”. Guardando oggi la Chiesa cinese locale, si può essere tentati di mettere in evidenza i molti problemi che essa sembra avere di fronte dimenticando i lati positivi della sua crescita. Tuttavia, uno sguardo più attento ai cambiamenti intercorsi dopo la Pentecoste 2007 può aiutarci ad apprezzare meglio il valore durevole di questo documento pontificio [1].

Anche il fatto che le comunità cattoliche in Cina appaiono ormai bersaglio speciale delle strutture ufficiali può essere letto come un segno che alcune ambiguità sono state finalmente evidenziate, imponendo un ripensamento di fondo. Principale preoccupazione di Benedetto XVI è la Chiesa: egli ha detto “la verità con il linguaggio dell’amore”, chiarendo che all’interno della comunità cattolica c’è bisogno di una vera conversione: “Purificazione della memoria, perdono degli erranti, oblio dei torti subiti … sono passi urgenti che devono essere fatti”.

Ha poi anche sottolineato in modo dolce, ma chiaro che l’attuale situazione di “tolleranza religiosa” è ben lungi dall’essere la “libertà religiosa” che ci si aspetta da uno Stato moderno. Questo nella speranza che si possa giungere a qualche intesa, che permetta alla minoranza cattolica di contribuire pacificamente al bene comune della nazione. Revocando le direttive vaticane da tempo in vigore che creavano distinzioni nette, permettendo che si erigessero barriere tra i cosiddetti cattolici “underground” e quelli che aderiscono all’Associazione patriottica sponsorizzata dal governo, il Papa ha mostrato la propria sincerità nel chiedere “un dialogo rispettoso e aperto” con le autorità civili. Ha così sottolineato la sua convinzione che la soluzione delle questioni in sospeso favorirebbe la crescita dell’auspicata “società armoniosa” in Cina.

Accoglienza calorosa da parte dei cattolici cinesi

Come è noto, le comunità cattoliche in Cina hanno accolto con favore questo autorevole incoraggiamento come un raggio di luce e di speranza, con qualche riserva da parte di gruppi non ufficiali. Quanto alle autorità pubbliche, le prime dichiarazioni sono state abbastanza prudenti: la Lettera non è stata esplicitamente condannata, ma iniziative di distribuzione e di studio sono state ben presto limitate.

Notizie provenienti dalla Cina continentale hanno evidenziato situazioni molto diverse nelle varie province. Da Qiqihar (Heilongjiang), il giovane vescovo (non ufficiale) Giuseppe Wei Jingyi, di 48 anni, appena ricevuta questa “pietra miliare nello sviluppo della Chiesa Cinese”, è stato in grado di commentarla in una sua lettera pastorale, chiedendo a circa 30 sacerdoti delle sue comunità di studiare con i loro fedeli come applicare le direttive del Papa. Come egli dichiarò un paio di mesi più tardi, anche il responsabile degli affari religiosi di Qiqihar, a cui aveva presentato copia del documento pontificio, espresse apprezzamento per esso. Ma ammise anche che alcuni dei suoi sacerdoti “clandestini” non approvavano la sua collaborazione con le autorità.

Nella diocesi Nord-occidentale di Feng Xiang (Shaanxi), il vescovo Lucas Li Jingfeng, di 87 anni, distribuì ai suoi sacerdoti copia della Lettera pontificia nella traduzione cinese originale e la offrì anche al locale ufficio governativo. La sua diocesi anche in passato non ebbe a subire controlli severi dall’Associazione Patriottica. Egli stesso, ordinato vescovo nel 1980 (senza approvazione governativa), fu riconosciuto dalle autorità nel 2004 senza dover aderire all’Associazione. Ma pensa che, se il governo non accettasse le posizioni espresse dal Papa, le cose potrebbero peggiorare: “sappiamo quanto sia difficile giungere ad un compromesso”. Anche a Xi’an, dove non ci sono praticamente comunità sotterranee, il vescovo Antonio Dang Mingyan espresse soddisfazione per i frutti positivi della Lettera papale, che facilitava i contatti e il dialogo.

Nella difficile provincia dell’ Hebei, il vescovo coadiutore Petrus Feng Xinmao, 44 anni, approvato sia dalla Santa Sede che dalle autorità, disse che nella sua diocesi di Hengshui la Lettera papale poteva circolare liberamente. Nella diocesi di Xuanhua (pure Hebei), ad una Messa solenne cui partecipavano 1.000 cattolici per la festa dell’Assunta (15 agosto), la Lettera papale fu presentata all’Offertorio, e ne fu sottolineato l’appello all’unità. Nella stessa provincia Hebei, il vescovo non ufficiale (ben noto alle forze di pubblica sicurezza) Jiulius Jia Zhiguo, 75 anni, poco dopo la pubblicazione della Lettera sottolineava l’importanza dell’unità all’interno della Chiesa, notando che il vero problema sta nella pressione esercitata dallo Stato: solo il governo potrebbe limitare il potere dell’Associazione patriottica. Ma ho paura – ha aggiunto – che non ci si possa aspettare molto sui rapporti Stato-Chiesa, dato che dai tempi di Mao non è praticamente cambiato nulla nella politica cinese.

Secondo un giovane prete, che ha studiato all’estero e appartiene ad una comunità “underground” nel nord della Cina, la Lettera avrà “un impatto decisivo sullo sviluppo futuro della Chiesa in Cina”; egli è anche d’accordo che “la missione più urgente della Chiesa in Cina è ora la riconciliazione “. Lamenta tuttavia che il Papa, pastore della Chiesa universale, non menzioni i vescovi e i sacerdoti che ancora soffrono in prigione. Anche i sacerdoti nelle strutture ufficiali della Chiesa hanno accolto con favore la Lettera, apprezzandola, ma con cautela. In genere si ritiene che la maggior parte dei sacerdoti, suore e laici cattolici in Cina abbiano letto la Lettera del Papa e ne abbiano avuto copia.

Disordinate reazioni pubbliche

Il governo di Pechino non è stato colto impreparato, dato che la Santa Sede aveva inviato ad esso copia della Lettera dieci giorni prima della pubblicazione. Mentre il documento stava per apparire, il Fronte Unito prese l’iniziativa di convocare una riunione dei vescovi “ufficiali”, avvertendoli di mantenere un “atteggiamento calmo”. Proprio in quei giorni è stato celebrato il 50 ° anniversario di fondazione della Associazione Patriottica dei cattolici con un simposio e poi (27-28 giugno) con un raduno di oltre 500 partecipanti, tra cui 37 vescovi. Vi pronunciarono discorsi Ye Xiaowen, Liu Bainian, Jia Qinglin (presidente della Conferenza Consultiva del Popolo), il vice-premier Hui Liangyu e il capo del Dipartimento del Fronte Unito, Liu Yandong.

A livello locale, come detto, la prima reazione delle autorità non fu uniforme. Ma ben presto, la Lettera del Papa scomparve dai siti web cattolici; alcuni operatori che l’avevano proposta sono stati “convinti” da una visita di funzionari del governo a ritirarla. Di fatto, si sa che l’Ufficio di Pubblica sicurezza dell’Hebei preparò nell’agosto 2007 un documento elaborato in forma di Materiale di studio. Oltre ad accusare il Papa di aver “scritto unilateralmente la sua lettera pastorale nonostante le obiezioni della Cina”, vi si ripetevano vecchie accuse: “La Curia romana getta tutta la colpa sulla Cina; la lettera interferisce negli affari interni cinesi in nome della libertà di religione “. Poi nel mese di ottobre, il Dipartimento del Fronte Unito con l’Ufficio Affari Religiosi (SARA) emanava rigorose linee guida, descrivendo la Lettera del Papa come un tentativo di infiltrazione del Vaticano e una sfida alla sovranità della Cina. La distribuzione della Lettera doveva essere fermata, i siti web bloccati, la pubblicazione proibita e le copie private sequestrate. Il clero doveva essere intimidito con sessioni di lavaggio del cervello. L’organizzazione del controllo deve essere attivata e intensificata ad ogni livello, con la partecipazione di tutti gli enti interessati: Fronte Unito, SARA, Pubblica sicurezza, Sicurezza dello Stato, Dipartimento della Propaganda. La raccolta di informazioni dovrà essere intensificata per conoscere meglio le situazioni locali, sia in patria che all’estero. I funzionari superiori, tuttavia, dovrebbero mantenere il silenzio, per non mettere in imbarazzo l’autorità centrale. Nello stesso mese di ottobre notizie dalla provincia autonoma del Guangxi confermavano che a Nanning era stata lanciata una campagna contro la “penetrazione” vaticana nella vita della Chiesa. Nel vicino distretto di Qingxiu, copie di un bollettino parrocchiale che riportava stralci della Lettera furono sequestrate e distrutte. L’Ufficio Affari Religiosi istituì anche un gruppo di emergenza comprendente più di 12 agenzie governative, per combattere la diffusione della Lettera, definita “strumento (vaticano) che danneggia il Paese e il popolo”. Molte sessioni di studio obbligatorie furono organizzate in tutta la Cina per sacerdoti cattolici, e si sa che circa una dozzina di loro sono stati arrestati.

D’altra parte, nell’imminenza dei Giochi olimpici, che sarebbero iniziati nell’estate 2008, l’apparato statale voleva evitare, ovviamente, qualsiasi controversia a livello internazionale. Questo probabilmente ha contribuito a mantenere la reazione del governo centrale, pure se critica, di basso profilo. Un’altra circostanza da tener presente è il fatto che stava per essere convocato il 17 ° Congresso del Partito comunista cinese. Quando questo si tenne (15-20 ottobre, 2007), vi fu approvata per la prima volta una risoluzione che incorporava nella costituzione del Partito linee guida che impegnavano ad attuare la politica di libertà religiosa con un ruolo attivo degli ambienti religiosi nel favorire lo sviluppo sociale ed economico. Ma, ovviamente, anche l’ordine di fermare la Lettera papale veniva avallato dalle autorità di Pechino. Il direttore del SARA Ye Xiaowen apparve particolarmente amaro. Egli fece un attacco insolitamente forte contro la Chiesa cattolica e la Lettera di Papa Benedetto, in un’intervista al quotidiano Nanfang Weekend del 13 marzo 2008.

Due anni di tregua apparente, poi uno scontro improvviso

Il tempo che seguì fino alla fine del 2010, sembrò non destare particolare preoccupazione. Alcune diocesi si sentirono incoraggiate a rinnovare o moltiplicare i loro sforzi di evangelizzazione e programmi di formazione pastorale. Anche sulla spinosa questione della scelta di nuovi vescovi, nonostante il sistema di ‘”elezione democratica”, è stato possibile giungere ad un accordo pratico su candidati accettabili sia a Roma che a Pechino, dove la comunità cattolica si è dimostrata sufficientemente decisa e unita. Così, nei mesi successivi alla pubblicazione della Lettera papale, cinque giovani vescovi furono ordinati con l’approvazione sia della Santa Sede che del governo, compresi quelli in importanti città come Pechino e Guangzhou. Poi, negli anni 2008 e 2009 non è stato ordinato alcun nuovo vescovo (la difficile questione era discussa ad alto livello?), E nel 2010, fino alla metà di novembre, dieci nuove ordinazioni episcopali sono state concordate da entrambi le parti, governo e Santa Sede.

La situazione cambiò radicalmente, come è noto, il 20 novembre 2010, quando il sacerdote Joseph Guo Jincai fu ordinato vescovo di Chengde (Hebei), pur non avendo ottenuto l’approvazione del Papa. La Santa Sede, molto turbata dalla notizia, espresse in un comunicato il “profondo rammarico” del Santo Padre, ribadendo comunque la volontà “di impegnarsi in un dialogo rispettoso e costruttivo con le autorità della RPC.”. Purtroppo, quando l’VIII Assemblea dei Rappresentanti Cattolici fu convocata a Pechino (7-9 dicembre 2010) con il sostegno massiccio di forze di polizia, è diventato fin troppo chiaro che si era deciso per una politica di grave scontro. E la situazione è ulteriormente peggiorata nel 2011. Infatti, anche se quattro nuovi vescovi sono stati ordinati con l’approvazione sia del Santa Sede che delle autorità cinesi, ci sono state altre due ordinazioni episcopali imposte senza l’approvazione papale, a Leshan – Sichuan (29 giugno) e Shantou – Guangdong (14 luglio) . In ambedue i casi ci fu il consueto supporto delle forze di sicurezza, che hanno spinto vescovi legittimi ad eseguire queste ordinazioni illecite. Di conseguenza, in entrambi i casi la Santa Sede interveniva con dichiarazioni ufficiali, affermando che i due candidati erano incorsi in una grave sanzione canonica (scomunica) a norma del canone 1382 del Codice di Diritto Canonico. Immediata e molto forte la reazione ufficiale di Pechino. Dopo una riunione valutativa tenutasi a Haikou, Hainan, il 24 gennaio 2011 veniva confermata da parte dell’Agenzia per gli Affari religiosi la decisione di voler “guidare ‘l’Associazione e la Conferenza’ della Chiesa cattolica ad attuare pienamente lo spirito della VIII Assemblea nazionale dei Rappresentanti Cattolici, di rafforzare gli sforzi per educare alla gestione autonoma e indipendente della Chiesa come pure alla sua gestione democratica, e così pure di approfondire la formazione di oltre 1.000 membri del clero, organizzando per loro sei corsi di studio

Un articolo di fondo pubblicato sul Quotidiano del Popolo on-line (8 giugno 2011) ha spiegato: “Perché il Partito Comunista Cinese può unire i credenti”. Autore ne era Ye Xiaowen, che dal 2009 ha lasciato la direzione del SARA divenendo segretario politico dell’Istituto Centrale del socialismo; ovviamente la sua influenza sulla politica religiosa ufficiale continua a farsi sentire. Il suo successore come direttore del SARA, Wang Zuo’an, in una conferenza stampa tenuta a Washington (28 settembre 2011) ha affermato che “la Cina vuole condurre un dialogo sincero con il Vaticano”, sulla base dei “due Principi ” ben noti [2]. Poche settimane prima (il 4 luglio 2011), SARA aveva annunciato nuove “Norme per la nomina dei parroci della Chiesa cattolica in Cina”, con effetto immediato. E’ difficile non vedere qui un’interferenza dello Stato in una materia tradizionalmente regolata dal Codice di Diritto Canonico e considerato senza obiezioni in tutto il mondo come proprio della vita interna della Chiesa.

Si è avuto anche notizia di rinnovata persecuzione di sacerdoti “clandestini”, soprattutto nel Nord Hebei: le autorità li hanno portati via, cercando di costringerli ad aderire all’Associazione Patriottica. D’altra parte, privilegi e contributi generosi erano offerti per indurre sacerdoti e vescovi ad accettare la politica ufficiale religiosa come più redditizia per la crescita della Chiesa, oltre a garantire notevoli benefici personali a loro e alle loro famiglie. Questa doppia pressione era sostenuta anche da numerosi seminari, sessioni di studio e contributi pubblicati sulla rivista ufficiale (in cinese) La Chiesa cattolica in Cina, in cui si cerca di giustificare teologicamente la politica della “auto-elezione, e auto-consacrazione dei vescovi”[3]. In tale clima, non si può escludere che qualche vescovo cominci a pensare che potrebbe essere meglio stare dalla parte del governo cinese, che continua ad assicurare che la Chiesa cattolica in Cina continuerà ad espandersi anche senza Roma. In realtà, tali vescovi si sono spesso trovati isolati dai loro sacerdoti, suore e fedeli, e quindi praticamente inefficaci nel loro ministero pastorale. ..

2012: l’orizzonte è ancora coperto da nubi pesanti

L’anno è iniziato con l’annuncio di progressi da parte dell’Amministrazione Statale per gli affari religiosi nella raccolta di dati sui chierici e nel controllo finanziario sui luoghi di culto (9 gennaio 2012)[4]. Nel mese di aprile. sono avvenute due nuove ordinazioni, approvate sia dalla Santa Sede che dalle organizzazioni ufficiali cinesi: Giuseppe Chen Gongao, di 47 anni, è stato fatto vescovo di Nanchong (Sichuan), e Metodio Qu Ailin, di 51 anni, vescovo di Changsha (Hunan) . Ma anche alla loro consacrazione fu imposta la presenza di vescovi in grave situazione di irregolarità. Alla fine di giugno (il 27-28), l’Associazione patriottica e la Conferenza episcopale (ufficiale) hanno organizzato presso il Seminario Nazionale di Pechino una conferenza sul Concilio Vaticano II, che è stato rivendicato, da Zhou Yongzhi vice-segretario generale dell’APCC, come la base (dottrinale) per l’indipendenza e l’auto-governo della Chiesa cinese. Un altro vice-segretario generale dell’Associazione Patriottica, Wang Huaimao, ha sostenuto in quella conferenza che la Cina, introducendo le riforme del 1950 [cioè, la creazione dell’Associazione Patriottica nel 1957 e la prima consacrazione episcopale senza mandato pontificio nel 1958], sotto la guida dello Spirito Santo, è stata in anticipo di un decennio sul suo tempo; secondo lui, quelle iniziative cinesi servirono da dimostrazione pratica e da trampolino di lancio per lo spirito progressista del Concilio (!).

Un nuovo serio scontro si sviluppò venerdì 6 luglio, quando Joseph Yue Fusheng fu ordinato vescovo a Harbin (Heilongjiang) senza mandato pontificio e quindi illecitamente. Un paio di giorni prima, una Nota della Congregazione per l’Evangelizzazione aveva avvertito che tale azione “programmata in modo unilaterale avrebbe prodotto divisioni, ferite e tensioni nella comunità cattolica in Cina”. Citando la Lettera di Benedetto XVI (n. 9), la Nota aggiungeva: “E’ comprensibile che le autorità governative siano attente alla scelta di coloro che svolgeranno l’importante ruolo di leader e di pastori delle comunità cattoliche locali, date le implicazioni sociali che – in Cina come nel resto del mondo – tale funzione ha nella sfera civile e spirituale”. Ma va ricordato che “la nomina dei vescovi tocca il cuore stesso della vita della Chiesa, in quanto la nomina dei vescovi da parte del Papa è garanzia dell’unità della Chiesa e della comunione gerarchica”.[5] La Nota insisteva che la nomina dei vescovi è questione religiosa, non politica: “La scelta di vescovi per una specifica comunità religiosa è intesa, anche in documenti internazionali, come un elemento costitutivo del pieno esercizio del diritto alla libertà religiosa”. Meno di 24 ore più tardi, il 4 luglio, le autorità cinesi risposero drasticamente con un comunicato SARA che liquidava le osservazioni del Vaticano come “estremamente oltraggiose e scioccanti”. E, dato che l’ordinazione di Yue Fusheng fu attuata come previsto, la Santa Sede non ebbe altra alternativa che dichiarare che egli era incorso automaticamente nelle sanzioni previste dal canone 1382 del Codice di Diritto Canonico, e non aveva quindi autorità per governare i sacerdoti e la comunità cattolica nella provincia di Heilongjiang. Tuttavia, anche tale dichiarazione ufficiale concludeva: “La Sede Apostolica, confidando nella volontà concreta delle autorità governative della Cina di dialogare con la Santa Sede, confida che dette autorità non incoraggerà gesti contrari a tale dialogo”.

Poco dopo, il 7 luglio, nella Cattedrale di Shanghai, a Xujiahui, veniva ordinato anche un nuovo vescovo ausiliare per quella diocesi, Taddeo Ma Daqin, di 45 anni. Anche se la sua nomina era stata approvata da entrambe le parti, la tensione che si sviluppò a proposito di quella cerimonia si sta rivelando potenzialmente carica di pesanti conseguenze. Il vescovo Ma Daqin è stato portato via dalle autorità subito dopo l’ordinazione, ed è tuttora confinato presso il Seminario Regionale di Sheshan, col divieto di esercitare le sue funzioni e di incontrare persone.

Cosa aspettarsi ora?

Cinque anni dopo che Benedetto XVI indirizzò questa lunga paterna Lettera alla Chiesa in Cina, il suo impatto positivo sulla vita delle comunità cattoliche è confermato dalle numerose iniziative che rispondono alle indicazioni del Papa sia in campo pastorale che in programmi di evangelizzazione. Durante il corrente ‘”Anno della Fede”, questo impegno dovrebbe dare priorità alla formazione dei fedeli laici, e alla formazione permanente di sacerdoti, seminaristi e suore. Il presente saggio presta più attenzione alle sfide poste dalla “guida” del potere politico sulla Chiesa cinese. E’ ovvio che, se il governo insiste a imporre altre ordinazioni episcopali illegittime, la Chiesa cattolica in Cina potrebbe diventare “una Chiesa di Stato”, soggetta al governo, cambiando così la propria natura. Inoltre, l’improvvisa e imprevista crisi della diocesi di Shanghai ha messo in evidenza un equivoco che perdura da molto tempo nella politica religiosa ufficiale. In realtà, a far scattare la collera del governo a Shanghai è stato solo l’annuncio pubblico fatto dal vescovo Ma Daqin di volersi dimettere dalla Associazione Patriottica (cui non aveva mai aderito volontariamente), al fine di concentrarsi sui suoi doveri pastorali. Nel corso degli anni si era tacitamente sviluppata una situazione in base a cui, per essere accettato come vescovo o membro qualificato della Chiesa ufficialmente riconosciuta, uno doveva essere membro dell’Associazione Patriottica. Questo che costituisce un problema molto serio non era mai stato chiarito. Il vescovo ufficiale di Shanghai Aloysius Jin Luxian, che ha già 97 anni, esprimendo pubblicamente il suo apprezzamento per la Lettera del Papa cinque anni fa, aveva potuto aggiungere che nei quasi due decenni della sua esperienza episcopale a Shanghai “mai l’Associazione Patriottica si è imposta su di me”. Ma ora, il confino imposto al vescovo Ma conferma che l’Associazione Patriottica “si impone” ai vescovi anche a Shanghai.

Negli ultimi decenni tale politica ambigua ha favorito la crescita di molte comunità “clandestine”, preoccupate di salvaguardare l’integrità della loro fede. Il Santo Padre, oltre ad affermare che “la condizione di clandestinità non rappresenta la normalità della vita della Chiesa”, aggiunge che “non ci sarebbero particolari difficoltà ad accettare il riconoscimento da parte delle autorità civili, a condizione che ciò non comporti la negazione di irrinunciabili principi della fede e comunione ecclesiastica “(n.7,8). D’altra parte, per la varietà delle situazioni locali, il Papa non ha offerto istruzioni specifiche in materia, rimettendosi al giudizio discrezionale dei vari vescovi.

L’estrema difficoltà di trovare soluzioni accettabili è apparso evidente nel caso della diocesi di Baoding (Hebei); quando il vescovo coadiutore “clandestino” Francesco An Shuxin “emerse” dopo 10 anni trascorsi in stato di fermo, subì forti pressioni dal SARA perché aderisse all’Associazione Patriottica, e la sua successiva accettazione a divenire il vescovo ufficiale della diocesi provocò una ulteriore divisione nella comunità locale. Come Papa Benedetto ha denunciato nella sua Lettera: “Ancora oggi, il riconoscimento da parte di detti organismi è il criterio per dichiarare una comunità, una persona o un luogo religioso, legali e quindi ‘ufficiali’. Tutto questo ha provocato divisione … “(n. 7,1). La questione è seria, in quanto lo scopo dichiarato dell’APCC, di attuare «i principi di indipendenza e autonomia, autogestione e amministrazione democratica della Chiesa”, è “incompatibile con la dottrina cattolica, che la Chiesa professa dal tempo degli antichi Simboli di fede”(n.7,6).

Il Cardinale Fernando Filoni, che l’anno scorso è diventato il prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, in una recente intervista (30 Giorni, maggio 2012) suggeriva che i funzionari del Partito o del governo dovrebbero poter accettare i criteri propri della Chiesa per la scelta dei vescovi: “Questo non è un ordine del Papa” spiegava, in quanto i vescovi come successori degli apostoli devono essere fedeli alla dottrina della Chiesa. Naturalmente, come cittadini devono anche essere fedeli alla loro patria, “dando a Cesare ciò che è di Cesare”, ma non a scapito di ciò che è dovuto a Dio.

Tale principio della separazione tra Chiesa e Stato non è facilmente accettato in Cina, che ha una tradizione di potere imperiale assoluto e una ideologia comunista che non riconoscere agli “dei” alcun diritto speciale. Inoltre, l’esperienza quotidiana mostra come l’orgoglio nazionale e la difesa della sovranità possono essere usati per motivi politici o per interessi personali. Secondo alcuni osservatori, certe decisioni degli ultimi due anni che hanno inciso negativamente sulla Chiesa, con la scusa di contrastare intrusioni straniere ostili, erano ispirate da fazioni dell’ultra-sinistra. Recentemente i media, sia in Cina che all’estero, hanno dato ampia evidenza di un pericoloso rigurgito di metodi rivoluzionari maoisti, inducendo qualcuno a pensare che l’ideologia sia un muro insormontabile in Cina. Secondo Roman Malek, uno studioso di grande esperienza, noi non possiamo cambiare il sistema comunista, ma il sistema cambierà.

Nella preparazione immediata al XVIII Congresso del Partito Comunista riunitosi a Pechino l’8 novembre 2012, il clima prevalente è sembrato alieno da tale orientamento “di sinistra”. C’è sincera attesa che la nuova generazione di leader chiamati a governare questa grande nazione per i prossimi decenni sappia privilegiare programmi di crescita armoniosa basata su una giustizia sociale che rispetti l’identità delle minoranze anche religiose.

Luce per una strada difficile

Una nuova stimolante riflessione del Cardinale Filoni merita grande attenzione [6]. Riesaminando la situazione a cinque anni dalla Lettera pastorale indirizzata ai cattolici in Cina da Papa Benedetto XVI, Sua Eminenza sottolinea l’orientamento chiaro che essa ha offerto alla vita della Chiesa e al ministero dell’evangelizzazione, mostrando l’urgenza di raggiungere l’unità all’interno delle comunità. Il cardinale si sofferma molto anche sulle attuali difficoltà con le autorità cinesi, attingendo dalla ricca esperienza acquisita come capo della Missione di Studio del Vaticano a Hong Kong. Non nasconde la sua ammirazione per lo sviluppo economico della Cina che poté constatare direttamente in occasione di alcune visite a Pechino. Ma apprezza anche la qualità dei cattolici che ha conosciuto: “Quante volte i miei amici cinesi mi hanno confidato il loro orgoglio di appartenere al loro paese. Eppure, si sentono umiliati come cattolici in casa propria, pur essendo molto stimati e apprezzati altrove “. E spiega: “Una volta un anziano sacerdote cinese mi disse: ” A noi cattolici in Cina è concessa la libertà di un uccello in gabbia”.

Il cardinale Filoni è convinto che le autorità cinesi non possono più ignorare il grido di tanti loro cittadini, e augura una riconciliazione tra Roma e Pechino di cui potrebbero beneficiare sia la Cina che la Santa Sede: “Non è forse arrivato il tempo di pensare a un nuovo modo di dialogo, un dialogo più aperto e realizzato su una base più equa, in cui non sia più possibile ad interessi particolari di minare la buona volontà, la fiducia e la stima reciproca? “. Il fatto che il Santo Padre stesso ha affermato pubblicamente (in questa Lettera) la disponibilità della Santa Sede “per trattative, così necessarie se si vogliono superare le difficoltà del tempo presente…”, costituisce una dichiarazione chiara e autorevole al massimo livello: “La Cina sia certa che la Chiesa Cattolica sinceramente intende proporre, ancora una volta, un servizio umile e disinteressato nei settori di sua competenza, per il bene dei cattolici cinesi e per il bene di tutti gli abitanti del Paese” (n. 4).

La formula suggerita dal Cardinale Filoni per riprendere il dialogo interrotto è la creazione di una Commissione bilaterale ad “alto livello” qualificata per affrontare “questioni di interesse comune”. L’esistenza di differenze ideologiche non dovrebbe essere un ostacolo insuperabile al dialogo, quando le parti cercano il vero bene del popolo, come dimostrano due casi citati dal cardinale: “Per esempio: la Santa Sede e il Vietnam hanno trovato un modus operandi et progrediendi [7]. Anche Pechino e Taipei hanno commissioni stabili al più alto livello per trattare questioni di reciproco interesse. E’ impossibile sperare in un dialogo adeguato e sincero con la Cina? “. Tale speranza è evidente nella conclusione del cardinale Filoni: “La Lettera del Papa al clero e ai fedeli cinesi rimane valida. ….Può essere il punto di partenza per un dialogo all’interno della Chiesa in Cina. E può anche stimolare il dialogo tra la Santa Sede e il Governo di Pechino”.

Per noi credenti, questa speranza è anche motivo per la preghiera. Rivolgiamoci alla Madre di Gesù, venerata a Sheshan, vicino a Shanghai, con le parole suggerite da Papa Benedetto XVI il 24 maggio 2008 [8]: ” Madre della speranza, che nel buio del Sabato Santo con incrollabile fiducia sei andata incontro al mattino di Pasqua: dona ai tuoi figli la capacità di discernere in ogni momento, anche il più buio, i segni della presenza amorosa di Dio”.

Angelo S. Lazzarotto

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[1] Questa riflessione è stata scritta in inglese per la rivista trimestrale TRIPOD di Hong Kong (n. 167, Winter 2012).

 

[2] La formula spesso ripetuta dice: 1) il Vaticano deve rompere le relazioni diplomatiche con Taiwan; 2) il Vaticano non deve interferire negli affari interni della Cina col pretesto di attività religiose.

[3] A questa delicata questione è dedicato il numero 166 di Tripod (Autumn 2012), che esamina e confuta alcuni di questi studi che si presentano come elaborazioni teologiche.

[4] Secondo il rapporto, dieci amministrazioni regionali (inclusa la metropoli di Pechino) hanno praticamente completato il censimento degli operatori religiosi, mentre altre (incluse Shanghai e Guangzhou) lo stavano completando: a questi operatori le strutture ufficiali a livello nazionale hanno distribuito speciali “carte d’identità”. Inoltre, il 5 giugno SARA ha pubblicato in fase sperimentale un documento: ” Norme per censire i vescovi della Chiesa cattolica”. Non se ne conoscono bene contenuto e implicanze, ma certo mira a dare all’APCC e alla Conferenza episcopale (ufficiale) il controllo sui riconoscimenti che lo autorità statali saranno chiamate a dare.

[5] La Nota citava dalla Lettera anche le conseguenze giuridiche: “Per questo il Codice di Diritto canonico (c. 1328) sancisce gravi pene sia per il vescovo che liberamente conferisce l’ordinazione episcopale senza mandato apostolico sia per quello che la riceve; infatti tale ordinazione costituisce una penosa ferita all’unità ecclesiale e una grave violazione della disciplina canonica”. In realtà, quando il Papa emette il mandato apostolico per l’ordinazione di un vescovo, esercita la sua suprema autorità spirituale: tale autorità e tale intervento sono propri della sfera strettamente religiosa. Non si tratta quindi di un’autorità politica che abusivamente si inserisce negli affari interni di uno Stato, compromettendone la sovranità”.

 

[6] Si tratta di un articolo scritto per la rivista Tripod di Hong Kong (n. 167, Winter 2012), che però poté essere diffuso da AsiaNews.it già il 25 ottobre 2012. V.: Card. Filoni: La Lettera del Papa alla Chiesa di Cina attende risposta.

[7] E’ il caso di ricordare che, proprio 5 anni fa (il 28 settembre 2007), il cardinale Phan Minh Man, vescovo di Ho Chi Minh nel Vietnam, guidando una delegazione di cinque membri in Cina, dichiarò a Pechino: “Dai miei colloqui con ufficiali cinesi ho avuto l’impressione che essi sperano che la Chiesa vietnamita possa aiutare la Cina e il Vaticano a comprendere i rispettivi punti di vista”. Cfr anche, Il rapporto fra Hanoi e Santa Sede, modello di dialogo fra Cina e Vaticano, in AsiaNews.it, 13/11/2012.

 

Il rapporto fra Hanoi e Santa Sede, modello di dialogo fra Cina e Vaticano

[8] Cfr. http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/prayers/documents/hf_ben-xvi_20080515_prayer-sheshan_en.html, Su questo sito si trova tutta la preghiera composta da Papa Benedetto.

http://www.asianews.it/notizie-it/Dopo-5-anni,-ha-ancora-valore-la-Lettera-del-Papa-ai-cattolici-cinesi-26584.html

 

 

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