L’ultima utopia del ‘900

Bisogna fare una piccola riflessione storica per capire come si è diffusa e affermata l’ideologia del gender nelle culture occidentali. Sono state, infatti, le trasformazioni sociali in cui si è pienamente realizzata l’emancipazione femminile a cancellare tendenzialmente tutte le differenze, anche quella di base fra donne e uomini, con un ritmo che si è fatto sempre più veloce dopo la diffusione degli anticoncezionali chimici, negli anni Sessanta. La separazione fra sessualità e riproduzione, infatti, ha permesso alle donne di scegliere un comportamento sessuale di tipo maschile, e quindi di svolgere dei ruoli maschili senza alcun ostacolo biologico, cioè abolendo la maternità. Il maggior prestigio sociale ed economico del ruolo maschile, infatti, ha fatto sì che, nelle società occidentali, stia scomparendo il ruolo femminile, caratterizzato dai lavori di cura e dalla produzione e dall’allevamento dei figli.

Questa uguaglianza basata sul modello maschile, che si va imponendo di fatto come una sorta di estensione della democrazia, ha ispirato una nuova teoria, quella del gender, secondo cui non esisterebbe una differenza naturale fra donne e uomini, ma la differenza che noi vediamo sarebbe causata solo da una costruzione culturale finalizzata a sancire la sottomissione delle donne. Accettando la teoria del gender, allora, cadrebbe ogni motivazione reale di differenza, per cui – secondo il femminismo radicale – le donne non correrebbero più il rischio di venire oppresse dal potente patriarcato in ragione della loro differenza.

L’utopia dell’uguaglianza risolutrice e apportatrice di felicità, che sembrava caduta con il crollo del comunismo europeo, ricompare così sotto le spoglie della negazione di una differenza sempre considerata fondamentale da tutte le società umane, quella fra donne e uomini. Nella libera società contemporanea, invece, secondo questa ideologia, ognuno può scegliersi l’identità sessuale che vuole, anche più volte nel corso della vita, in modo totalmente scisso dalla sua realtà biologica.

Si tratta senza dubbio di una ideologia utopica, che si propone – come le altre ideologie del Novecento, rivelatesi storicamente dannose – di realizzare la perfetta uguaglianza fra gli esseri umani e quindi, poiché è opinione diffusa che uguaglianza sia sinonimo di felicità, di raggiungere la felicità, in quanto l’identità di ognuno corrisponderebbe finalmente non a una condizione imposta dalla biologia, ma al suo desiderio. Tutte queste proposte, in sostanza, sono la conseguenza di una deriva della democrazia secondo cui l’idea di uguaglianza, divenuta il solo riferimento unanime, trasformata in ‘idea fissa’, cancella e frantuma quella di differenza.

Dal momento, però, che l’indifferenziazione è anche confusione, sia sul piano della realtà dei rapporti che su quello simbolico, si possono individuare gli effetti di questa confusione relativa ai rapporti familiari a livello del linguaggio. I nuovi termini per designare queste realtà, infatti, privi di ogni appiglio nel reale, propongono un mondo virtuale, nel quale l’essere umano diventa un oggetto malleabile a piacimento. Il termine “parentela” – che rimanda alla generazione – viene così sostituito con quello di “parentalità”, che indica solo l’esercizio delle funzioni, staccate dalla procreazione. È questa la strada concettuale attraverso cui passano l’idea dell’“omoparentalità” e quelle dell’adozione o della procreazione assistita per le coppie omosessuali. La qualità delle relazioni “genitoriali” primeggia sulla struttura della famiglia, per cui le inchieste sulle coppie omosessuali che fanno i genitori ottengono sempre e solo risultati positivi, cercando di far dimenticare una condizione fondamentale, cioè che il bambino percepisca se stesso come scaturito da un uomo e da una donna che lo hanno generato.

In particolare, il concetto di “parentalità” è stato sottoposto a una frammentazione, in quanto disperso fra coppia coniugale e “coppia parentale”, concetto a sua volta diviso fra coppia adottiva e coppia educatrice, e quindi completamente dissociato dal rapporto con l’origine: grazie a un’operazione astratta che va contro una concezione unificata della persona. Con un’altra operazione artificiosa si sostituiscono “sesso” con “sessualità” e “sessuato” con “sessuale”, per confermare che non conta la realtà, ma solo l’orientamento del desiderio. Noi sappiamo però che il bambino non si rapporta a delle monadi, a degli individui disgiunti, bensì a degli esseri fatti di desiderio, di parola e di relazione: per questo la persona del padre o della madre rappresenta molto

più di un riferimento, e cioè un fondamento, indissolubile dalla funzione genealogica.

La teoria del gender, che ha dato origine anche a una corrente di studi – i gender studies, appunto – ben rappresentata nel mondo accademico, soprattutto anglosassone, contribuisce quindi a cancellare ogni traccia di quella complementarità fra i ruoli maschile e femminile su cui si fondava la necessità di una comune vita familiare. In una società in cui tutti gli individui sono autonomi e nella quale persino la procreazione può essere separata dall’unione eterosessuale, la famiglia fatica a trovare ancora una ragion d’essere al di fuori della realizzazione di un desiderio.

Con questa ideologia non solo si nega il valore positivo e fertile della differenza, ma soprattutto la realtà naturale per cui gli esseri umani – tranne una minoranza che nasce con delle alterazioni degli organi sessuali – vengono al mondo sessuati come donne o come uomini.

Non è vero, del resto, che differenza debba significare per forza disuguaglianza, e neppure che l’eguaglianza costituisca una condizione per la felicità. La diversità, il confronto con l’altro, sono importanti momenti di crescita e di verifica, e anche di limite alla nostra tensione verso l’onnipotenza.

È importante quindi che, pur nella completa libertà di ciascuno, qualunque sia la sua scelta sessuale, e nella protezione dei diritti individuali delle persone che vivono in una coppia di fatto, si mantenga il contatto con la realtà. E cioè con il fatto inoppugnabile che l’umanità è composta da donne e uomini, e che questa differenza è alla base della procreazione. Le coppie omosessuali sono sterili per definizione, e quindi non danno luogo ad una famiglia, anche se talvolta lo desiderano. Non basta desiderare una cosa perché questa si trasformi in realtà, e non possono trasformarla in realtà neppure le leggi.

 

Lucetta Scaraffia

http://www.piuvoce.net/newsite/articolo_opinionista.php?id=2&idtema=

 

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