Il dono della contemplazione

Il simbolo dell’acqua viva negli scritti di Teresa di Gesù (terza parte) di padre Gianni Iacono ocd*

Sepolcro di santa Teresa, Chiesa e monastero delle carmelitane scalze, Alba de Tormes (Spagna)

Esperienza mistica del Battesimo

Le quattro acque

L’acqua viva, figura della contemplazione perfetta, è simbolo dell’alto grado di comunione con Dio, al quale «si giunge attraverso un cammino di perfezione che procede di pari passo col cammino della preghiera. Per Teresa la purificazione delle nostre impure correnti umane avviene fondamentalmente nella preghiera, dove lo Spirito di Dio agisce in noi». Nel libro della Vita Teresa indica le tappe caratterizzanti di questo cammino di perfezione, servendosi di una ricorrente allegoria che le permette di paragonare l’anima a un giardino, la grazia all’acqua e la preghiera all’irrigazione. I fiori e garofani sono paragonati al profumo di bene, che impregna la vita dell’orante, e i frutti alle virtù, di cui si nutre, per poi condividerli con gli altri; il giardiniere è il responsabile del giardino e dell’irrigazione, incaricato di strappare le erbe maligne e distribuire i frutti. Infine, signore assoluto del giardino è il Signore, dal quale procede l’acqua irrigua e al quale sale il profumo dei fiori.
Il giardiniere si premura di innaffiare piante e fiori secondo quattro modi di procurarsi l’acqua, corrispondenti ciascuno simbolicamente ai diversi gradi dell’orazione.
Il primo è attingere acqua dal profondo di un pozzo per mezzo di una secchia con lo sforzo delle braccia; questo è il modo più laborioso e simboleggia la meditazione faticosa.
Il secondo è attingere acqua per mezzo di una noria che simboleggia l’orazione mistica di quiete o di raccoglimento.
Il terzo modo che simboleggia l’orazione mistica di unione consiste nell’attingere in abbondanza acqua da un ruscello che permea agevolmente il giardino.
Il quarto modo – il migliore di tutti – è una pioggia copiosa che simboleggia l’orazione mistica di unione sponsale, in cui il Signore riversa nell’anima il dono dell’orazione perfetta.
In dettaglio Teresa illustra che la prima acqua attinta al pozzo è l’orazione dei principianti, la meditazione di coloro che «debbono molto faticare per raccogliere i sensi, i quali abituati come sono a divagarsi, causano un gran travaglio». Questa prima fase nella vita spirituale si dice ascetica e si distingue dalle successive di indole mistica, in cui l’azione di Dio diventa predominante. Nell’esperienza di Teresa questo stadio corrisponde al suo cammino di conversione, segnato da un ritorno all’orazione e dalla ricerca incessante di Dio, unita all’offerta di sé: darsi a Dio, per permettergli di prendere l’iniziativa in noi. Dunque, ciò che è richiesto all’anima in questa fase è il distacco da sé nel dono di sé al Signore.
Nel secondo grado di orazione scocca una scintilla del vero amore di Dio: l’anima approda al soprannaturale con l’orazione di quiete o di raccoglimento, crescendo in carità. La volontà comincia ad essere sotto l’influsso di Dio, mentre le altre facoltà – intelletto, memoria e immaginazione – talvolta collaborano alla volontà nel suo intento e talvolta lo turbano, agitandosi. Le grandi acque che provengono dalla contemplazione incipiente fanno crescere le virtù – la carità, l’umiltà, la fiducia in Dio, l’obbedienza, la povertà spirituale e materiale, il distacco – più che nel modo precedente; ma fra tutte quella fondamentale è l’umiltà, per Teresa intimamente connessa alla verità.
Segue il terzo grado di orazione, quello di unione, che Teresa chiama «sonno delle potenze». In esso tali potenze si concentrano in Dio, di modo che nessuna di esse possa muoversi – e nemmeno si potrebbe volerlo. In altre parole l’intelletto e la memoria non sono tutte unite a Dio, ma si trovano come rapite o sospese, mentre la volontà è unita a quella di Dio, trovandosi in un stato di grande quiete. Pertanto, in questo grado dell’orazione il divino Giardiniere prodiga l’acqua in abbondanza, «facendo in un momento quello che la povera anima non ha potuto fare in venti anni di estenuante lavoro d’intelletto: ingrossare i frutti, condurli a maturità e dar all’anima di sostenersi con il ricavato del giardino». Si ha una percezione più acuta del primato dell’azione di Dio nella propria anima, al punto che nel suo slancio d’amore essa desidera non solo lodare il Signore, ma invoca anche il martirio. È evidente come la virtù della carità cresca e si fortifichi, ma è ancor più evidente come la sorgente dell’amore sia il Signore stesso. L’amore progredisce in una tensione escatologica tra il desiderio di essere con Dio e il desiderio di servirlo quaggiù; parimenti si ha coscienza della forza di Dio operante nella debolezza dell’uomo.
Infine, nel quarto grado si arriva all’orazione di unione sponsale, dove la vita spirituale integralmente si fonde in uno nell’unione effettiva con Dio. Per spiegare ciò, Teresa riferisce le parole che Gesù stesso le dice in un dialogo mistico: «Figliola, l’anima si strugge tutta per meglio inabissarsi in me. Ormai non è più lei che vive, ma io. Non può comprendere ciò che intende: il suo è un non intendere intendendo». In questo stato dell’anima tutte le potenze sono assorbite in Dio, e non solo la volontà come nel precedente. In ragione di ciò, riprendendo l’allusione a Gal 2,20, si può dire che non è più l’anima a vivere, ma il Signore a vivere in lei, del tutto arresa all’azione dello Spirito Santo. Non si tratta di un’acquisizione passeggera – come nello stadio precedente, ma di una «reale conformità della volontà vissuta nel dono effettivo di sé a Dio e agli altri». In questa fase, infatti, l’anima, conformata alla fonte divina, comincia ad aiutare gli altri senza quasi rendersene conto, senza fare nulla da sé, «ma ben se ne accorgono gli altri, che desiderano di starle sempre vicino per il grado di profumo dei suoi fiori». L’anima «avverte in sé un nuovo dinamismo missionario, una sete di condividere le ricchezze divine in cui è la fortunata beneficiaria. Di conseguenza questa sete stimola, a sua volta, la sua preghiera che diventa ancora più missionaria».

Juan Simón Gutiérrez, Morte di santa Teresa, 1687, Museo carmelitano Teresa de Jesus, Alba de Tormes (Spagna)

L’acqua come simbolo incidentale nel Castello interiore

Il Castello interiore, opera di indole squisitamente dottrinaria, filtra l’esperienza mistica della Santa nel prisma del raffronto con la propria esperienza biblica e liturgica, in linea con la letteratura spirituale del tempo. Esso contiene una vera e propria teologia simbolica, dove «la forza del vissuto erompe nella creatività espressiva e nella estetica teologica dei simboli biblico-sacramentali. Si tratta di un tipo di lettura della Santa che l’avvicina alla teologia mistagogica dei Padri della Chiesa ed anche alle più recenti metodologie teologiche».
A conferma di ciò basta considerare i principali simboli strutturali, di matrice biblica, adoperati nel Castello interiore: il castello, la crisalide, le nozze mistiche.
Innanzitutto si impone il simbolo del castello, «fondato nella teologia della presenza di Dio, categoria fondamentale dell’Antico e Nuovo Testamento». Teresa presenta quest’immagine all’inizio del libro, tracciando un percorso che va dalla presenza di Dio accanto all’uomo nel paradiso alla dimora dell’uomo nella Trinità.
Attorno al simbolo primario del castello fanno corona alcuni simboli secondari come l’acqua viva; esso ricorre nelle quarte mansioni «in un momento fondamentale in cui si vuole introdurre all’esperienza della gratuità della grazia e della preghiera, dono dello Spirito Santo». In particolare, esso si specifica nella duplice raffigurazione delle due fonti che scaturiscono: l’una esternamente dall’acquedotto e l’altra come sorgente al centro del castello.

«Supponiamo per meglio intenderci di vedere due fontane i cui bacini si riempiono di acqua […]. Questi due bacini si riempiono di acqua, ma in modo diverso. In uno l’acqua viene da lontano per via di acquedotti e di artificio, mentre l’altro, essendo costruito nella sorgente, si riempie senza rumore. Se la sorgente è abbondante, com’è questa di cui parliamo, non solo riempie il bacino, ma questo, a sua volta, rigurgita in un grosso ruscello continuamente alimentato, senza bisogno di condutture o d’artificio. E in ciò consiste la differenza: l’acqua che viene per i condotti rappresenta, secondo me, i contenti che sgorgano dalla meditazione e che noi ci procuriamo con le nostre riflessioni, meditando sulle creature e stancandoci l’intelletto. Siccome sono frutto di nostra industria, quando devono apportare all’anima qualche vantaggio, lo fanno con rumore […]. Nell’altro bacino, invece, l’acqua deriva dalla stessa sorgente che è Dio; e quando Sua Maestà si compiace di accordare qualche grazia soprannaturale, l’acqua fluisce nel più profondo dell’anima con pace, dolcezza e tranquillità inesprimibile, senza che si sappia donde e in che modo scaturisca».

Berretto dottorale di santa Teresa di Gesù, 1922, Museo carmelitano Teresa de Jesus, Alba de Tormes (Spagna)

L’immagine dell’acqua portata dall’acquedotto simbolizza in chiave ascetica lo sforzo dell’anima nel conseguire i frutti dell’orazione – i «contenti» –; invece, l’acqua che scaturisce dalla sorgente al centro del castello rappresenta la vita nella sua origine divina. Se la prima corrisponde alla vita ascetica e all’orazione meditativa delle prime tre mansioni del castello, la seconda rimanda alla vita mistica e all’orazione infusa delle quarte mansioni e di quelle successive.
Teresa sottolinea che la prima è situata al di fuori del castello ed estrae acqua da sorgenti scarne e lontane; la seconda, invece, ha la sua origine nel Signore, il punto più interno del castello: «Sarà proprio lì, in questa sorgente misteriosa, dove la sua relazione [di Teresa] con Dio farà sgorgare la fonte che inonda la volontà e che raggiunge tutti gli angoli e le pieghe dell’uomo, fino a giungere allo stesso corpo con i suoi sensi e le sue attività».
Quivi la preghiera si apre alla contemplazione, perché poggia d’ora in poi sull’obbedienza di fede allo Spirito Santo; tuttavia, essa non è ancora perfetta, essendo all’inizio. In fondo, quando vuole parlare di cose soprannaturali, con immediatezza Teresa rimanda al simbolo dell’acqua, perché non trova «nulla di più adatto per meglio spiegare certe cose di spirito».
Per quanto sia una figura simbolica accessoria, l’acqua nel Castello svolge un ruolo fondamentale, perché rende per immagine la fonte pura al centro del castello come espressione di Sua Maestà, mentre all’inizio e alla fine dell’opera allude all’anima «come albero piantato lungo corsi d’acqua» (Sal 1,3). La struttura acqua-albero simboleggia la dinamica della vita che come albero affonda le sue radici nell’alveo di un fiume. Teresa adopera questa immagine nelle prime mansioni, dove definisce l’anima come un «albero di vita piantato nelle stesse acque vive della vita che è Dio», per poi chiudere le settime mansioni, riprendendo questo simbolo che diviene «la materializzazione di un mistero da indagare».
L’itinerario complessivo delle prime quattro mansioni considerate si offre come un cammino prettamente catecumenale di purificazione e di illuminazione, scandito dall’uso tipologico di alcune figure bibliche (il cieco nato, il paralitico, il popolo pellegrino, il calice della passione, il giovane ricco restio alla chiamata del Signore) e segnato dalle attese di una radicale conversione nell’ascesi del cuore.
Invece, nelle quinte mansioni Teresa, ispirandosi alla metamorfosi del baco da seta in farfalla bianca, applica i riferimenti paolini all’esperienza spirituale battesimale. L’immagine allude alla trasformazione mistica che porta alla misteriosa unione dell’uomo con Dio, per conseguire la quale occorre spogliarsi dell’egoismo, della superbia e degli attaccamenti disordinati. Tessere il bozzolo – come fa il baco – significa deporre la volontà nelle mani di Dio, per permettere a lui di compiere tale trasformazione nell’anima. Teresa, inoltre, insiste nel respingere ogni parvenza di prometeismo umano nell’esperienza di Dio, perché non è l’uomo che si unisce, ma Sua Maestà che fa dono di se stesso e del suo amore, attirando a sé. Come solo alla morte il baco diventa farfalla, allo stesso modo l’uomo, dimentico di ogni protagonismo, rinasce a vita nuova in quanto si abbandona in Dio. Così Teresa introduce come ideale passaggio il momento della morte, «celebrato con un piccolo canto trionfale, a modo di epinicio»:

«E poi muoia, muoia pure questo verme, come il baco da seta dopo aver fatto il suo lavoro! Allora ci accorgeremo di vedere Iddio e ci sentiremo sepolte nella sua grandezza, come il piccolo verme nel suo bozzolo. Dicendo che vedremo Iddio, dovete intendere nel modo con cui Egli si fa sentire in questa specie di unione».

L’immagine della metamorfosi del baco in farfalla, figura del battesimo colto nella sua dimensione spirituale, nella sua densità mistica e nelle sue implicanze morali, esprime globalmente la trasformazione battesimale, operante sempre fino alle ultime conseguenze: il passaggio dalla morte alla vita, dall’uomo vecchio all’uomo nuovo, fino alla trasformazione finale.

«Ma non si dimentichi che il culmine della santità, la figura dell’uomo nuovo che ha portato allo splendore la grazia battesimale attraverso le purificazioni di Dio, è ancora colui che è diventato simile a Cristo nel dono di sé a Dio e ai fratelli. Nella santità più alta del matrimonio spirituale è avvenuta una trasformazione in Cristo; è l’ultima morte mistica che fiorisce in una vita trasformata in lui, in una pienezza di vita che è il lasciarsi ormai vivere dal di dentro da quel Cristo che nel battesimo ha iniziato a prendere possesso della nostra vita».

* Tratto dalla tesi di baccalaureato in teologia dal titolo: «Domine, da mihi aquam»: la simbologia dell’acqua in santa Teresa d’Avila

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