Bob Dylan, la fede portata nel vento

L’ha citata anche un Papa: «Poco fa un vostro rappresentante ha detto, a vostro nome, che la risposta alle domande della vostra vita “sta soffiando nel vento”. È vero! Però non nel vento che tutto disperde nei vortici del nulla, ma nel vento che è soffio e voce dello Spirito, voce che chiama e dice “vieni!”.

Mi avete chiesto: quante strade deve percorrere un uomo per potersi riconoscere uomo? Vi rispondo: una! Una sola è la strada dell’uomo, e questa è Cristo, che ha detto “Io sono la via”». Così disse Giovanni Paolo II, in piazza a Bologna nel 1997, poco dopo aver ascoltato la lettura in traduzione di Blowin’ in the wind. Del resto, la celeberrima ballata di Bob Dylan è «religiosa» sino al midollo, essendo la ricopiatura di uno spiritual ottocentesco piuttosto noto in America: esattamente Many Thousand Go («A migliaia se ne sono andati»), raccolto tra le truppe di colore che combattevano la guerra civile americana nel 1867.

 

Ma «Quante le strade che un uomo farà» è religiosa anche per altri motivi: perché è costruita in distici come un salmo; perché allinea una dopo l’altra poetiche domande sul senso della vita; perché evoca simboli universali come il mare, la montagna, il cielo, la morte, la strada, il vento (quest’ultimo un vero must per Dylan: lo cita in 60 canzoni); infine perché, nel mezzo secolo del post-Concilio, è tranquillamente entrata nel repertorio liturgico italiano nella traduzione realizzata da Mogol per Luigi Tenco, talvolta con aggiunte finali un po’ «buoniste» che ne capovolgono il relativismo in una semi-dichiarazione di fede, del tipo: «Risposta sì c’è/ o forse chi lo sa/ un popolo nuovo sarà»…

 

Dunque c’è una ragione in più affinché un cattolico scorra con interesse la documentatissima storia che lo specialista Alberto Crespi traccia, nel cinquantenario della prima registrazione su Lp (avvenuta il 27 maggio 1963), in Quante strade. Bob Dylan e il mezzo secolo di Blowin’ In The Wind (Arcana, pp. 232, euro 18,50). Anzitutto Crespi rivela senza alcuno scandalo l’origine del celeberrimo pezzo: il quale, si diceva, «riprende con variazioni minime la melodia di una canzone popolare», poi diventata brano tradizionale folk col titolo di No More Auction Block («Mai più il piedistallo dell’asta», sottinteso: per la vendita degli schiavi) e come tale cantato in pubblico dal ventunenne Dylan già nel 1962.

 

Uno «spiritual meticcio», un inno di liberazione fin dall’origine, insomma: e anche questo suona parecchio «religioso». Di una spiritualità peraltro ben poco determinata, se il testo dichiara genericamente che «la risposta sta soffiando nel vento», e tuttavia biblica: il secondo verso della canzone tradotto alla lettera recita infatti «Quanti mari dovrà navigare una bianca colomba prima di poter dormire sulla sabbia?», ed è chiaramente una reminiscenza della colomba del diluvio e di Noé. Scrive un altro esegeta italiano del cantante ebreo (il vero nome di Dylan è Zimmerman), Alessandro Carrera: «Sarebbe troppo poco dire che Dylan legga la Bibbia, cita dalla Bibbia…

 

Non c’è quasi allusione oscura nelle sue canzoni che non sia riconducibile a un riferimento biblico», e ciò senza nemmeno attendere il periodo «evangelico» del menestrello, caduto intorno agli anni Ottanta. Proprio grazie anche aBlowin’ in the wind il successo del ragazzo del Minnesota era stato subito folgorante (Crespi raccoglie una testimonianza del giornalista Furio Colombo, all’epoca corrispondente Rai a New York, che si accredita una parte di merito in quella riuscita). Il «vento» era partito e non si sarebbe posato più, volando nelle voci di innumerevoli e prestigiosi interpreti (Joan Baez su tutti, ma anche Duke Ellington, Stevie Wonder, persino una cover di Marlene Dietrich), entrando nei raduni giovanili, nel movimento per i diritti civili dei neri e contro la guerra del Vietnam, negli happening di protesta dell’inquieta generazione anni Sessanta… «Blowin’ ne divenne quasi subito l’inno – annota Crespi –, le domande poste da Dylan erano le stesse di un’intera generazione. Era la preghiera laica per chiedere agli dei la grazia necessaria in quel momento». Tra l’altro, «era perfetta da cantare in coro»: come in una liturgia, appunto.

 

Roberto Beretta

http://www.avvenire.it/Spettacoli/Pagine/bob-dylan-la-fede-portata-nel-vento.aspx

 

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