La visita di Benedetto XVI a Cuba si svolge, dal 26 al 28 marzo, in un contesto piuttosto diverso da quello in cui ebbe luogo, nel 1998, il viaggio di Giovanni Paolo II. Al di là del mutamento dei massimi protagonisti (i due pontefici, Fidel e Raul Castro), le differenze riguardano prima di tutto le relazioni tra la Chiesa locale e il governo, migliorate in questi ultimi 14 anni fino a culminare nell’inedita mediazione svolta dal cardinale Jaime Ortega y Alamino, arcivescovo dell’Avana, e dal presidente della Conferenza dei vescovi cattolici di Cuba (Cocc), monsignor Dioniso Garcia, ordinario di Santiago de Cuba, per la liberazione di 126 detenuti, tra cui tutti quelli considerati «prigionieri di opinione» da Amnesty International. Ad essi si sono aggiunti i quasi 3mila destinatari dell’indulto, deciso dal governo su richiesta delle Chiese cattolica e protestanti, anche in vista dell’arrivo del papa.
IL CARDINALE E RAÚL
Questo esito viene, in gran parte, ascritto dagli osservatori alla strategia di rapporti con le autorità così sintetizzata dal primate cubano: «La via è il dialogo, con la pressione non si arriva da nessuna parte». Il 30 dicembre, al termine del pellegrinaggio per il 400° anniversario del ritrovamento della statuetta della Virgen de la caridad del cobre, patrona di Cuba (un evento senza precedenti dalla vittoria della rivoluzione nel 1959), che in un anno e mezzo ha percorso l’intera isola, coinvolgendo decine di migliaia di persone, lo stesso porporato ha riassunto le principali conseguenze pastorali di questa distensione: «Viviamo una primavera della fede: ora il Natale è festa anche civile, è stato reso più facile l’ingresso di missionari, c’è stato un autentico rinnovamento della vita delle comunità cristiane e i preti sono aumentati da circa 200 a 360», senza contare «un accesso, seppure non sistematico, della Chiesa ai mass media», il moltiplicarsi delle processioni religiose nelle strade e l’apertura delle carceri all’assistenza spirituale.
A questo clima ha contribuito pure il ricambio avvenuto nell’episcopato, dove i presuli più critici nei confronti del governo – a cominciare da monsignor Pedro Meurice Estíu, arcivescovo di Santiago de Cuba, protagonista nel 1998 di una dura requisitoria contro il regime durante la Messa celebrata da Giovanni Paolo II nella seconda città dell’isola e deceduto quest’anno – sono stati sostituiti da vescovi in linea con le posizioni dialoganti del cardinale.
Sull’altro fronte è parso evidente lo sforzo dei vertici dello Stato, soprattutto dopo l’ascesa, nel 2008, di Raúl alla guida del Paese, di migliorare le relazioni con le diverse comunità religiose, nella convinzione che, per evitare un mutamento di regime analogo a quello avvenuto nei Paesi europei del «socialismo reale», è necessario mettere l’accento sul carattere «indipendentista» della rivoluzione e creare attorno a essa un’unità della nazione.
Così, concludendo il Rapporto centrale al VI Congresso del Partito comunista di Cuba, svoltosi nell’aprile 2011, Castro ha sottolineato la necessità di «eliminare qualsiasi pregiudizio che impedisca di affratellare nella virtù e nella difesa della nostra Rivoluzione tutte le cubane e tutti i cubani, credenti o non credenti, quanti fanno parte delle Chiese cristiane, tra cui quella cattolica, quelle ortodosse russa e greca, quelle evangeliche e protestanti, al pari delle religioni cubane di origine africana, delle comunità spiritiste, ebree, musulmana, buddhista». E con toni inconsueti Castro si è riferito proprio alla scarcerazione di «detenuti controrivoluzionari», avvenuta «nel quadro di un dialogo fatto di reciproco rispetto, lealtà e trasparenza con l’alta gerarchia della Chiesa cattolica, la quale ha contribuito con la propria iniziativa umanitaria a che tale operazione si concludesse armoniosamente e i cui meriti, in ogni caso, spettano a questa istituzione religiosa. I rappresentanti di questa Chiesa hanno espresso i propri punti di vista, non sempre coincidenti con i nostri, ma costruttivi».
Parole ponderate che indicano i caratteri di una dialettica accettabile per le autorità in vista di un modello politico più aperto e inclusivo. D’altro canto la Chiesa da tempo sostiene la necessità di una «riconciliazione nazionale» tra tutti i cubani che consenta un cambiamento del modello sociopolitico ed economico, con riforme che, secondo monsignor Emilio Aranguren, ordinario di Holguin, conducano a una «democrazia con caratteristiche cubane».
UNA PRESENZA PIÙ ARTICOLATA
In questo senso, attraverso le sue circa 50 pubblicazioni – tra cui spiccano Palabra nueva, rivista dell’arcidiocesi capitalina, ed Espacio laical, del Consiglio dei laici della stessa arcidiocesi -, i luoghi di formazione e discussione (come l’Aula Fray Bartolomé de Las Casas dei domenicani, il Centro Fe y cultura dei gesuiti o il neonato Centro cultural Felix Varela) e le Settimane sociali, la Chiesa ha promosso luoghi di dibattito pluralista, cui partecipano ormai abitualmente figure di spicco dell’establishment: in primis Aurelio Alonso, vero «ponte» tra governo e autorità ecclesiastiche, prestigiosi intellettuali cubano-americani, come l’economista Carmelo Mesa-Lago, e in una recente occasione addirittura un noto dissidente, Oscar Espinosa Chepe.
L’apertura di questi spazi di discussione civile comincia a suscitare una maggiore articolazione anche nell’intellighenzia cattolica dell’isola, con posizioni intermedie tra una maggioranza collocata all’opposizione (oggi identificabili, sul piano esplicitamente politico, nel Movimento cristiano di liberazione di Oswaldo Payá, su quello civico-culturale nella rivista telematica Convivencia, diretta da Dagoberto Valdés, o in religiosi come José Conrado Rodriguez, parroco a Santiago de Cuba), e un’esigua minoranza su posizioni filogovernative (rappresentata dal Gruppo di riflessione e solidarietà Oscar Arnulfo Romero, guidato da Gabriel Coderch).
Sono andate infatti emergendo figure indipendenti o quanto meno non così schierate: ad esempio Enrique Lopez Oliva, docente emerito di Storia delle religioni all’Università dell’Avana, o Felix Sautié Mederos, autore del libro Socialismo y reconciliación en Cuba, e soprattutto la redazione del già citato Espacio laical, i cui membri Roberto Leiva, Lenier Gonzalez e Alexis Pestano, intervenendo nel 2010 alla X Settimana sociale cattolica hanno elogiato la «giovane sinistra democratica» presente «negli ambiti statali e delle istituzioni collegate» come «uno dei poli più organizzati e interessanti della nazione».
E di recente Gonzalez ha collocato «parti importanti» della gerarchia, del clero e del laicato cattolico in quel «settore moderato-riformista» giudicato «molto ampio a Cuba», il quale «aspira a una transizione verso un sistema politico che garantisca una patria indipendente, prosperità economica e una graduale democratizzazione del Paese, senza smantellare violentemente le attuali istituzioni né il capitale simbolico della Rivoluzione, che si nutre del nazionalismo fortemente radicato nel popolo».
Mauro Castagnaro
© FCSF – Popoli
fonte: www.popoli.info
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