Anna di san Bartolomeo

Per la sua vicinanza alla Madre fondatrice, per l’affetto filiale che sempre le mantenne, per la sua vicenda personale e mistica, la beata Anna di san Bartolomeo merita un posto di rilievo fra le prime eredi del carisma teresiano.

Nata a El Almendral, in provincia di Toledo, nel 1549, da famiglia numerosa e molto cristiana, rimasta orfana a dieci anni, di padre e di madre, la piccola Anna rimase in casa con i fratelli maggiori, prendendosi cura del gregge di famiglia e imparando così a gustare la solitudine e il silenzio che le lunghe passeggiate al seguito degli animali le permettevano. Secondo la consuetudine del tempo, essendo ragazza, non le fu impartita alcuna formazione culturale, ma solo quella religiosa, alla scuola di un chierico locale; di animo semplice e allegro, umile ed affabile, disposta al servizio e al sacrificio, dopo aver rifiutato una proposta di matrimonio, a 21 anni, nel novembre del 1570, entrò al Carmelo di san Giuseppe di Avila.

Qui incontrò, quasi un anno dopo, la Madre fondatrice, la quale restò ammirata per la semplicità e l’innocenza del tratto della giovane. Fu la prima monaca di “velo bianco”, ovvero non corista, la quale, non partecipando all’Ufficio liturgico in coro, si dedicava al servizio della comunità nella conduzione del monastero.

I primi anni al Carmelo, i tempi del Noviziato, non furono semplici per Anna, soprattutto per le grandi tentazioni affrontate e le aridità continue; ma, dopo la sua professione, a partire dal dicembre 1572, suor Anna di san Bartolomeo divenne una delle principali accompagnatrici della Madre durante i suoi itinerari fondazionali. E dal dicembre del 1577, dopo che santa Teresa, cadendo dalla “scala del diavolo” ad Avila, si ruppe un braccio, ne divenne non solo la segretaria (pare che abbia appreso a scrivere dalla Madre stessa, imitandone anche la grafia) ma fu anche la fedele infermiera che sempre la accudì con ogni premura.

 

I VIAGGI

Negli ultimi anni di vita della santa, fecero insieme centinaia di chilometri, passando da un monastero all’altro, andando e venendo da Avila, per fondare o per visitare e consolidare case già fondate: al caldo afoso o al gelido inverno, insieme, per le strade impolverate della Castiglia, affrontando infermità, angustie, timori, attese e delusioni, più fatiche che consolazioni. Sono le descrizioni di tali viaggi, fatte dalla Beata Anna, che ci raccontano di come la Santa Madre trasformasse in un “piccolo monastero” il carretto su cui viaggiava: osservando la stessa vita conventuale, gli orari di preghiera, di pranzo, di ricreazione e di riposo… tutto richiamato dal suono di quella immancabile campanella, scandito nel tempo dalle clessidre, segnato dall’acqua benedetta per allontanare i demoni e le avversità. Curioso ci appare il fatto che anche i carrettieri fossero dalla Santa obbligati allo steso silenzio delle monache, per garantirle la preghiera; “gentilezza” che poi la Madre ricambiava offrendo loro appetitose porzioni durante i pranzi.

Intanto, fra un viaggio e l’altro, la Madre continuava a scrivere o dettare lettere e lettere, organizzando al meglio i preparativi necessari alle fondazioni e sostenendo i primi tempi dei monasteri già avviati. Il tutto giunse al termine quella sera del 4 ottobre 1582, quanto la Santa esausta si abbandonò morente fra le braccia della Beata, che, più tardi annotò: «Elevava molte grazie a Dio nel vedersi figlia della Chiesa, ormai morente in essa, e diceva che per i meriti di Cristo sperava essere salva, chiedendoci a tutte che supplicassimo Dio di perdonarle tutti i suoi peccati e che non guardasse ad essi, ma alla Sua misericordia».

 

UNA FORTE EMPATIA

Quanto detto in queste brevi note biografiche, lascia intuire l’intimo rapporto che si instaurò fra la Santa e la Beata Anna: esisteva una forte empatia fra le due carmelitane, che condividevano non solo gli ideali e le avventure della Riforma ma anche le esperienze mistiche. Da quella sera, Vespri di Natale del 1577, in cui la Santa, cadendo da una scala del monastero, si fratturò il braccio, il loro rapporto divenne sempre più intenso e vero: la solerte infermiera non mancava di mostrare in più modi la sua premura per la Fondatrice, giungendo a dormire per terra accanto al letto di lei, per accudirla durante le notti, «senza sentire pena né fatica, con il grande desiderio di alleviarle ciò che era fatica, facendo tutto per amore». Di fondazione in fondazione, giunsero infine a quella difficilissima di Burgos: i ritardi e gli impedimenti voluti dal Vescovo, i continui trasferimenti delle monache da una sede provvisoria all’altra, le sofferenze per le innumerevoli contrarietà, fino all’abbandono nel mezzo di una tormenta del grande amico e provinciale, padre Girolamo Gracian. E come se non fosse bastato, il cammino doloroso verso la morte passando per vari monasteri fino a doversi fermare ad Alba de Tormes, ben lontane dalla patria che sempre era stato il monastero di Avila.

A Valladolid, ormai in fin di vita, la Santa dovette affrontare i familiari per la questione di una eredità del fratello Lorenzo, promessa al monastero di Avila, ma che ora i nipoti rifiutavano di concederle. Alla fine la Madre, per amore di pace, cedette e si allontanò con gran dolore, accresciuto dal comportamento della priora del monastero di quella città, nipote di Teresa, la quale prendendo le difese della famiglia, cacciò dal convento in malo modo, la Santa e la sua infermiera. «la priora di quel monastero – commenta Anna – si era schierata dalla parte di quella gente; e pur essendo una tanto apprezzata dalla Santa, in questa occasione non le tenne nessun rispetto filiale, e ci disse che ce ne andassimo con Dio lontano dalla sua casa. E uscendo da essa, mi spinse fuori dalla porta dicendomi: “Se ne vada quanto prima e non tornino più qui”, cosa che fece molto soffrire la Santa essendo costei fra le sue figlie».

Da Valladolid a Medina, una triste notte per la Madre, vecchia e inferma, ormai sazia di giorni ma non di amarezze. Trovatasi nella necessità di correggere la priora di quel monastero, la Santa ebbe in quella occasione il presentimento che il demonio cominciava già a minacciare il buon ordine e l’obbedienza che ella desiderava regnasse nei suoi monasteri. «La Santa rimase tanto afflitta da queste novità – commenta la beata Anna – che non mangiò né dormì tutta la notte. E la mattina dopo partimmo senza portare con noi niente per il viaggio, e la Madre andava già peggiorando verso la morte, e tutto quel giorno lungo la strada non potei trovare niente da darle da mangiare».

Ed infine, l’ultima scena dolorosa della morte della madre Teresa, il tramonto di una stella, circondata dall’affetto della beata e delle consorelle. «La pena maggiore era vederla soffrire. – scrive Anna – i cinque giorni che stette lì ad Alba de Tormes prima di morire, io ero più morta che viva… quando mi disse che stava giungendo l’ora della morte, questo mi lacerò il cuore… Non mi allontanavo un momento da lei… perché il vedermi lì le dava un po’ di consolazione… Mi prese con le sue mani e pose fra le mie braccia la sua testa, e lì la tenni abbracciata finché spirò, essendo io più morta che la stessa Santa».

A contatto con la Santa Madre in quegli anni di vita, aveva cominciato a sentire sempre più forte quella “sete di anime”, frutto della vita contemplativa in clausura e vera passione ecclesiale. «Da quando faccio orazione – scrive la beata Anna – mi ha dato il Signore un desiderio di salvare anime sempre più grande. E dopo aver conosciuto la santa madre Teresa di Gesù, me la diede più grande e in particolare per la conversione degli eretici, che questa Santa mi consegnò questo spirito e se rallegrava molto quando mi vedeva con esso». Fedele a questi desideri, giungerà a compiere un gesto che le varrà molte critiche ed accuse, anche dalle altre figlie di Teresa, quando fondatrice in Francia e nei Paesi Bassi, ammetterà una giovane convertita dal calvinismo al Postulandato in monastero.

 

FRANCIA E PAESI BASSI

 

Al morire la Madre, la beata Anna rimase per una ventina di anni presso il monastero san Giuseppe di Avila; finché per decisione dei superiori, fece parte del gruppo di sei monache carmelitane scalze incaricate di impiantare il Carmelo teresiano in Francia e nei Paesi Bassi, Quando più tardi, sola ed impotente, le fu chiesto di assumere l’incarico di priora a Pontoise, senza conoscere la lingua francese, le cerimonie della liturgia corale, semianalfabeta, il mondo le sembrò che le cadesse addosso. E ricordandosi delle tristezze e delle amarezze di quei giorni ad Alba de Tormes, scrisse: «mi sembrava che mai avevo avuto un dolore simile se non in occasione della morte della nostra santa Madre, che allora mi sentii morire, rimanendo in questo mondo a vivere senza tal maestra e madre e senza l’esempio di tutte le virtù che io vedevo in lei». Ella era tanto convinta della sua incapacità che sentì il bisogno di ricorrere a Dio con la preghiera. Il Signore le apparve e le disse: «Fatti animo perché ti tengo nel mio cuore: ed Io sarò nel tuo!»

Al pensiero di dover governare quella comunità si sentiva, come condannata a morte. Ma se, ignara della lingua e delle scienze, supplicava il Signore perché l’aiutasse, egli le rispondeva: «Eccomi qui, io ti custodisco come la pupilla dei miei occhi».

Se lo pregava di suggerirle quello che doveva raccomandare alle religiose nel capitolo, le diceva: «Osserva la Regola, in essa troverai la forza di cui hai bisogno». Se si lamentava perché, non sentendosi all’altezza del suo compito, considerandosi come paglia, la consolava dicendole: «Appunto con della paglia io accendo il fuoco». Nessuna carmelitana contribuì quanto la madre Anna di S. Bartolomeo a comunicare ai monasteri di Francia il genuino spirito di S. Teresa. Il segreto del suo successo risiedeva nell’umiltà. Il Signore le manifestava così la sua volontà: «Io voglio che tu nulla sia e nulla sappia, per potere fare con te quello che mi pare. I sapienti del mondo con la loro prudenza non mi danno ascolto perché pensano di sapere tutto da loro stessi».

Non era ancora terminato il suo primo anno di priorato a Pontoise, quando la madre Anna fu richiamata a Parigi perché sostituisse nel governo del monastero la madre Anna di Gesù, partita per la fondazione del Carmelo di Digione. La priora, confusa e timorosa, fece ricorso, come al solito, all’orazione. Le apparve il Signore e le disse: «Coloro che fanno le opere di Dio, debbono camminare come io camminai in terra, afflitto e disprezzato». Nel monastero di Parigi la beata trascorse un anno in pace, poi, con lo zelo per la salvezza delle anime crebbero le tribolazioni. Scrisse nell’autobiografia: «Le mie pene interne aumentarono al punto che, non sentendo più l’unzione della grazia, mi credevo in stato di peccato mortale e a due dita dalla dannazione eterna». Alle tribolazioni morali si aggiunsero i dissapori con il cardinale Pietro de Bérulle, suo superiore e confessore, il quale pretendeva di dirigere il monastero secondo le sue vedute personali.

La Beata fu irremovibile nel tutelare il vero spirito della riforma carmelitana. Un giorno, mentre pregava in coro, il Signore le disse: «Perché sei triste? Non dovresti essere contenta che dicano di te quello che vogliono, e ti considerino donna di poca testa e di poco valore. Di me dissero anche cose peggiori. Le leggi del mondo differiscono molto dalle mie. Quello che mi piace di più è la sofferenza, la mortificazione e la pazienza».

Destinata alla fondazione del monastero di Anversa (1612), il Signore continuò a rivelarlesi e ad arricchirla di doni soprannaturali. Non stupisce perciò che ogni sorta di persone andasse a farle visita per chiederle consiglio e raccomandarsi alle sue preghiere. Le monache le attribuirono, per almeno due volte, la liberazione della città dalle mani degli ugonotti olandesi capitanati da Maurizio di Nassau. Secondo il loro racconto, Anna, avvisata interiormente di un grave pericolo incombente, svegliò la comunità religiosa in piena notte per accorrere al coro e pregare; fu poi lo stesso vescovo a proclamarla, ancora in vita, liberatrice di Anversa. Contribuì pure, indirettamente, attraverso il suo sostegno spirituale ai soldati spagnoli e alla Reggente Clara Eugenia, alla resa della città di Breda, del 1625, avvenimento reso celebre dal dipinto di Velasquez.

Morì, il 7 giugno 1626, ad Anversa, in fama di santità ed ammirata da tutti soprattutto per quella memoria vivente della Madre Teresa che ella era e che, con autorevolezza unica, sapeva consegnare ai nuovi Carmeli da lei fondati e guidati. Fu beatificata da Benedetto XV il 10 aprile 1917.

di p. Mariano Tarantino

 

Commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.