7 brutti vizi

Quest’anno, prima di ogni spettacolo presentato al festival di Spoleto, nei teatri e nelle sale da concerto, la voce che presentava il programma della giornata alternava l’annuncio di spettacoli teatrali, musicali e balletti con quello di sette prediche sui sette vizi capitali.

Sì, proprio prediche, quei sermoni noiosi da cui tutti rifuggono come la peste, e che invece, quasi inspiegabilmente, hanno attratto centinaia di persone nella chiesa di San Domenico. Un pubblico fitto, e in aumento costante nonostante il caldo pomeridiano. E non era soltanto per la curiosità di vedere da vicino e ascoltare personalità famose, come quelle del cardinale Gianfranco Ravasi o di fratel Enzo Bianchi, perché hanno riscosso molto successo anche figure meno note, come monsignor Andrea Lonardo, che ha parlato del vizio della gola.

L’iniziativa è piaciuta perché i predicatori – tutti molto bravi e coscienziosamente preparatisi – parlavano delle nostre vite, e spiegavano in un modo che oggi può risultare nuovo il senso di disagio e di infelicità che spesso le percorre. Da tempo siamo ormai abituati a spiegare le nostre difficoltà di vivere in base a parametri psicologici che spesso, ridotti a superficiale divulgazione, consistono nel dare agli altri la colpa dei nostri errori oppure, ancora meno onorevolmente, nel guardare ai transiti dei pianeti. Le prediche di Spoleto invece hanno fornito un altro spunto di riflessione, riprendendo concetti che sembravano dimenticati: molte delle abitudini che oggi vengono considerate lodevoli sono in realtà vizi che ci avvelenano l’anima, e quindi la vita. La gola, la brama di carriera e di guadagno, la ricerca del piacere a tutti i costi, il nichilismo di chi non crede in nulla predicato da tanti nostri maîtres à pénser stimatissimi, non sono buone pratiche di vita, ma la strada dell’ansia, della depressione, della solitudine.

A inquadrare la questione è stato l’arcivescovo Rino Fisichella nella predica inaugurale, dedicata al primo di tutti i vizi, la superbia: perché, come ha spiegato, tutti gli altri derivano da questo, cioè dalla presunzione umana di poter fare a meno di Dio, disprezzando i suoi comandamenti. E ha spiegato come la pratica dei vizi tenda a radicarsi, trasformando un singolo atto sbagliato in un’abitudine nociva. Il vizio più inquietante, più difficile da diagnosticare, è l’accidia che colpisce proprio la consuetudine alla virtù, a cui nega ogni senso. Monsignor Pierangelo Sequeri ha illuminato un’attentissima platea sull’accidia, che si manifesta come disgusto per la ricerca spirituale e ossessivo ripiegamento nel narcisismo. Raccontando la storia di un benedettino medievale, Otlone di Sant’Emmerano, che, colpito da questo vizio, ha saputo combatterlo e vincerlo.

Tutte e sette le prediche infatti sono state ricche di illuminanti citazioni, che hanno ricordato o insegnato che la cultura cristiana conserva un tesoro di testi incentrati sulla conoscenza dell’animo umano, a cui si può attingere sempre con profitto, anche molti secoli dopo. Del resto, pochi tra gli ascoltatori – di cui moltissimi non abituati a frequentare le chiese – sapevano davvero che l’invidia non solo avvelena i cuori, ma distrugge i rapporti umani, come ha ben spiegato l’arcivescovo Vincenzo Paglia. Oppure che esiste anche un’avarizia spirituale, forse ancora più odiosa di quella materiale, praticata da chi è avaro del suo tempo o si attacca alle cariche e non le cede a nessuno, ha rivelato l’arcivescovo Renato Boccardo.

I vizi possono essere insidiosi perché hanno anche una faccia positiva, come la collera che – ha detto il priore Bianchi – è stata perfino di Gesù, ma senza diventare segno di disprezzo verso l’altro, come spesso accade per quella umana. E comunque si deve sempre considerare che a ogni vizio corrisponde una faccia opposta, positiva, presentata dal cardinale Ravasi quando ha introdotto il discorso sulla lussuria attraverso una riflessione sull’amore.

E se il direttore del festival Giorgio Ferrara, nel bilancio conclusivo, ha ricordato il successo delle prediche in un discorso che guardava ovviamente all’affluenza del pubblico e alle reazioni della critica, bisogna anche ricordare che questa iniziativa, in collaborazione con il Pontificio consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione, è stata soprattutto un eccellente esempio di comunicazione della tradizione cristiana al di fuori dei suoi ambiti classici. Facendo così conoscere, a tante persone che in chiesa non entrerebbero facilmente ad ascoltare una messa, e quindi un’omelia, quale ricchezza di pensiero e di sollecitazioni può offrire una grande tradizione che -molti sembrano averlo dimenticato – può rivendicare a ragione di essere esperta di umanità.

Lucetta Scaraffia

fonte: www.news.va/it/news/quando-le-prediche-hanno-successo

 

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