Vivere in ossequio di Gesù Cristo nella Salita

di Delizia Amaradio ocds

Giovanni D’Enrico, Orazione nell’orto, (part.), 1600 c., Varallo, Sacro Monte

Il tema che questa mattina tratteremo riguarda l’ossequio di Gesù Cristo, nella Salita del Monte Carmelo di san Giovanni della Croce.
“Vivere nell’ossequio di Gesù Cristo” è l’ideale di vita che la Chiesa consegna ad ogni cristiano.
La frase così strutturata mi riporta alla nostra Regola, alla Regola di Sant’Alberto e rievoca nella mia memoria i primi insegnamenti della mia formazione, per intraprendere il cammino carmelitano.
Cosa significa vivere nell’ossequio di Gesù Cristo? È l’adesione sincera a Cristo, il credere in Lui, l’ascoltarne la voce, il cercarne l’amicizia, il seguirne gli esempi. Vivere in ossequio di Gesù Cristo è il segno di riconoscimento di tutti i carmelitani, la conferma della loro vocazione a qualsiasi stato di vita appartengano. Come è stato per i nostri santi, per i nostri mistici, che al centro della loro vita spirituale hanno messo Gesù Cristo. Pensiamo a Santa Teresa d’Avila che ha vissuto l’amicizia con Lui e ne ha amato e sottolineato l’umanità; pensiamo a San Giovanni della Croce che ha cantato la via dell’unione e della trasformazione in Lui.
Per vivere in ossequio, secondo una mentalità feudale, si deve dare massima obbedienza e servizio senza condizioni, al pari del patto stabilito tra i signori feudatari, padroni dei luoghi e i loro vassalli, che ricevevano in cambio protezione e aiuto.
Quando si parla dell’ossequio di Gesù Cristo nella nostra Regola, cambiano i soggetti: il Signore è Cristo e a lui bisogna dare l’obbedienza, non ad altri, attraverso un servizio incondizionato.
Può essere interessante considerare che alla base della vita vissuta nell’ossequio di Gesù Cristo, ci sia un continuo esercizio di discernimento tra il bene e il male, tra ciò che è vero e ciò che è falso, tra una vita vissuta da discepolo, secondo il messaggio evangelico e una vita trascinata e divisa in se stessa, dominata dagli impulsi e dagli appetiti, secondo la terminologia dottrinale di San Giovanni.
Essere in Cristo è un programma di vita, perché non si diventa di colpo pienamente figli, pienamente fratelli, pienamente discepoli. È un cammino da percorrere, nel quale il rapporto con Cristo, che è mistero, deve essere vissuto nella fedeltà personale, nella pazienza dei propri limiti, nell’obbedienza alla fede e nell’accoglienza della grazia.
Vivere in Cristo, quindi, ha il significato di stare in relazione con Lui in ogni momento della giornata, di stare alla sua presenza, nei momenti di pace e in quelli di tribolazione, nella condizione di peccato e in quella in cui abbiamo ricevuto misericordia, quando viviamo il dono della preghiera e quando chiediamo di non essere lasciati nella tentazione.
Questo “in Cristo” della Regola ci parla proprio di una relazione trasformante che riguarda tutta la nostra vita, il nostro modo di pensare, di agire, di parlare, di pregare. Si tratta di un cammino di configurazione a Cristo, di un ritrovare le nostre sembianze nelle sue sembianze, come dice Giovani della Croce quando, andando appresso allo sposo, noi siamo trasformati in lui e riconosciamo in lui i suoi tratti e viceversa ci riconosciamo.
Se anelassimo ad un modello da imitare potremmo fissare gli occhi sui nostri Santi e nella fattispecie, su San Giovanni per il quale vivere nell’ossequio di Gesù è stato una realtà esistenziale. Il Gesù di Giovanni è quello della sua infanzia, della sua missione tra gli ultimi, è quello della sua vocazione, e ancora di più, è quello che si è trovato accanto nel carcere di Toledo. È il Gesù che ha accompagnato la sua vita e pervade le sue opere.
Abbiamo già detto come il Santo Dottore abbia messo in evidenza tutto quello che nella vita spirituale di un principiante possa nuocere all’unione con Dio e di conseguenza anche alla vita vissuta in ossequio di Gesù Cristo. Nel libro della Salita, san Giovanni appare come colui che conduce per mano l’uomo inquieto e deluso, alla comunione con Dio o, se vogliamo ripetere la consegna del tema di questa mattina, a vivere in ossequio di Gesù Cristo.
Rileggiamo una delle sue espressioni che esprimono la profonda compassione per quegli uomini che si trovano in difficoltà a perseguire la via della purificazione: «Oh! se le persone spirituali sapessero quanti beni, e quale abbondanza di spirito perdono, perché non vogliono finire di liberare l’appetito da cose di nessun valore, e come in questo semplice cibo dello spirito troverebbero il sapore di tutte le cose, se si astenessero dal gustarle»! (Salita 5,4)
Il fine dell’insegnamento è quello di educare all’interiorità e il suo messaggio, ancora oggi, può rispondere alla ricerca di Dio che alberga nel cuore di ogni uomo. Ecco le sue parole confortanti nel primo libro della (Salita, 7,4): «Egli ci chiama con le parole riportate da Matteo, ed è come se dicesse: Tutti voi che camminate tormentati, afflitti e carichi sotto il peso delle vostre preoccupazioni e dei vostri appetiti, liberatevene venendo a me ed io vi ristorerò: voi troverete per le vostre anime quel riposo che i vostri appetiti vi tolgono».
Egli, ieri come oggi, incoraggia e guida l’affaticato e l’oppresso:

  • a ricreare un nuovo rapporto con le cose e con le creature, (pensiamo alle dipendenze dalle cose per esempio dai cellulari, agli affetti morbosi e insani che possono portare a conseguenze estreme… insoddisfazioni, frustrazioni, corruzioni, femminicidi)
  • a riconquistare i valori dello spirito e la dignità di cristiano, (pensiamo ad una esistenza bella che sappia dare il giusto valore agli eventi della vita, esaltanti o dolorosi, che sappia garantire l’integrità dell’anima contro passioni e vizi…)
  • alla ricostruzione dell’unità dell’essere o unità di vita, (pensiamo all’essere amato e creato da Dio, a sua immagine e somiglianza, dilaniato dal dualismo creato dal distacco in cui viene vissuta la fede e la vita, lo spirito e la secolarità).
    San Giovanni è consapevole che il cammino della notte oscura deve essere percorso da tutti quelli che aspirano alla santità cristiana, pone delle condizioni da buon medico delle anime e dice che per entrare nella notte oscura e nella purificazione dei sensi è necessario decidersi ad abbandonare il gusto di tutte le cose, perché le tenebre e la luce di Dio, sono opposti che non possono coesistere. Né la libertà può sussistere in un cuore di schiavo, attaccato agli affetti umani, né possono esserci mezze misure: è necessario perseguire il nulla per ottenere il tutto.
    Il modo di vivere in Cristo è quello che egli propone nel cap. 5,2 del primo libro della Salita facendo riferimento al Vangelo di Luca: «Nostro Signore, per additarci questa via, dice in san Luca: “Chi non rinunzia a tutte le cose che possiede con la volontà, non può essere mio discepolo” (Lc 14; 33). Verità chiara, perché la dottrina che il Figlio di Dio venne ad insegnare, è quella del disprezzo di tutte le cose, per poter avere il puro spirito di Dio. Finché l’anima non si sarà liberata da quelle, non può avere la capacità di ricevere lo Spirito di Dio nella pura trasformazione».
    Il Santo ripete più volte e in varie situazioni quest’ultimo assunto, perché per san Giovanni, l’uomo è predestinato da Dio in Cristo (dalla creazione, alla redenzione) e quindi alla comunione intima perfetta con lui, da qui la celebre definizione del Santo: “L’uomo è Dio per partecipazione”. Tutta l’opera di San Giovanni si fonda su questa verità. Lo stato di peccato, per quanto serio, può essere superato dalla stessa forza dell’amore immesso da Dio nell’uomo.
    Le norme: che il Santo reputa necessarie e che propone nel cap. 13 della Salita. Con questa proposta iniziale e pratica, san Giovanni pone Cristo a fondamento della sua dottrina e sposta l’obiettivo dalle creature al Creatore; la realizzazione della ardua proposta può avvenire nell’unico modo possibile che è quello di seguire Cristo, dal quale l’anima è amata. «Se l’anima cerca Dio, molto più il suo Amato cerca lei».

Giovanni D’Enrico, Orazione nell’orto, (part.), 1600 c., Varallo, Sacro Monte

1 «In primo luogo, l’anima abbia un costante desiderio di imitare Cristo in ogni sua azione, conformandosi ai suoi esempi, sui quali mediti per saperli imitare e per comportarsi in ogni sua azione come Egli si diporterebbe».
La prima norma riguarda l’imitazione di tutti i gesti, di tutte le virtù, dell’intera vita di Gesù.

  • Imitare Cristo in ogni azione, conformarsi ai suoi esempi;
  • meditare il Vangelo, conoscere e trarre profitto da tutti i particolari che riguardano la vita di Gesù;
  • acquisire le sue abitudini e agire e comportarsi come Lui farebbe;
  • Cristo sia il più desiderato modello da amare, su cui si concentri l’attenzione e la riflessione per poterlo imitare nella concretezza della vita; se nella tua vita entra l’amore di Cristo, la rinuncia diventa un’esigenza: non seguirai e non amerai se non saprai sbarazzarti di tutte le cose che a lui non piacciono.

2 «In secondo luogo, per riuscire in questo, è necessario che ella rinunzi a qualunque piacere sensibile che non sia puramente a onore e gloria di Dio, e che rimanga vuota di ciò per amore di Gesù Cristo il quale, in questa vita, non ebbe e non volle altro piacere che quello di fare la volontà del Padre, la quale era per lui suo cibo e nutrimento».
La seconda norma approfondisce il modo di realizzare l’imitazione di Gesù Cristo.

  • rinunzia a tutti i piaceri sensibili che non siano puramente a onore e gloria di Dio (rettitudine d’intenzione, moderazione, uso dei sensi per utilità occasionali, ma con atteggiamenti di distacco)
  • rimanere vuoti per amore di Gesù Cristo;
  • imitare Cristo nei suoi atteggiamenti di Figlio che fa la volontà del Padre; immergersi nella notte della purificazione perché le due volontà, quella di Dio e quella dell’uomo, diventino una sola;
  • impegno ascetico in funzione dell’amore di Cristo, ad onore e gloria di Dio.
    In questa seconda norma sono dettate alcune indicazioni riguardanti gli esercizi ascetici da vivere nella moderazione: «Se, per esempio, le si offre il piacere di ascoltare cose che non hanno importanza per il servizio e la gloria di Dio, ella rinunzi al gusto di ascoltarle; se le si porge il diletto di vedere cose che non servono ad avvicinarla al Signore, reprima il desiderio di guardarle. Faccia lo stesso quando le si presenta l’occasione di conversare, di compiere qualche altra azione o di soddisfare qualche altro senso, purché lo possa fare facilmente; se ciò non le sarà possibile, basta che ella non assapori il gusto delle cose che non può evitare. E così l’anima si deve preoccupare di mortificare e di liberare da quei gusti tutti i sensi, in modo da lasciarli all’oscuro di tutto; usando questa diligenza, in poco tempo progredirà molto nella via della virtù».
    L’intenzione è quella di educare la persona a non lasciarsi guidare dai propri istinti, ma di motivare ogni rinuncia dei sensi per l’acquisizione di un bene maggiore: vivere l’unità dell’essere, fedele alla propria vocazione, essere con e per Cristo, a gloria di Dio.
    Il Santo spiegherà subito dopo, che quattro passioni naturali, dirigono e custodiscono la forza e la capacità dell’anima, se sono formate ad operare razionalmente.

3 Per mortificare e calmare le quattro passioni naturali, gioia, tristezza, timore e speranza, dalla cui concordia e pace procedono questi e tanti altri beni, come rimedio efficace, fonte di grandi meriti e causa di grandi virtù, serve quanto segue:
L’anima cerchi sempre di inclinarsi:
non al più facile, ma al più difficile;
non al più saporoso,
ma al più insipido;
non a quello che piace di più,
ma a quello che piace di meno;
non al riposo, ma alla fatica;
non al conforto,
ma a quello che non è conforto;
non al più ma al meno;
non al più alto e pregiato,
ma al più vile e disprezzato;
non alla ricerca di qualche cosa,
ma a non desiderare niente;
non alla ricerca del lato migliore
delle cose create, ma del peggiore
e a desiderare nudità,
privazioni e povertà
di quanto v’è al mondo
per amore di Gesù Cristo.

Giovanni D’Enrico, Orazione nell’orto, (part.), 1600 c., Varallo, Sacro Monte

È la traduzione in termini concreti della parola di Gesù: «Chi non rinuncia a tutte le cose che possiede, non può essere mio discepolo». Il rigore radicale della proposta può lasciare, alla prima lettura, disorientati. Giustifica la severità delle privazioni, l’ultima frase: desiderare nudità, privazioni e povertà di quanto v’è al mondo per amore di Gesù Cristo, che racconta la passione esistenziale per Cristo che ogni persona spirituale coltiva in sé.
Leggiamo uno dei commenti di padre Ruiz che così motiva l’asprezza della norma: «La sua finalità è di riconquistare la libertà dell’amore di fronte alle passioni che lo tengono incatenato all’istinto. In queste condizioni la volontà non ha forza per soddisfare le esigenze dello Spirito. La volontà trova presto ragioni e motivi per eludere il sacrificio e imboccare la strada facile. L’autore suggerisce un sistema che rovescia l’ordine delle preferenze, come rimedio efficace contro l’egoismo e la viltà, e che serva come allenamento nell’educazione delle passioni». L’aspetto teologale dà più forza e motivazione a frasi così severe.
Inoltre, il Santo consiglia, per avviare la guarigione dell’anima, di abbracciare di cuore queste norme e addestrare la volontà nella mortificazione degli appetiti sensibili. Facendo così presto l’anima troverà «grande pace e gran conforto e lavorerà con ordine e discrezione».
4 Concupiscenza della carne, degli occhi e superbia della vita, sono realtà che regnano nel mondo e sono causa di tutti gli altri appetiti. Per prima cosa l’anima procuri di lavorare al disprezzo di sé e di desiderare che anche gli altri facciano ciò. Cerchi poi di parlare in proprio disprezzo e di bramare di essere imitata in ciò dagli altri. Curi infine di pensare umilmente di sé in proprio disprezzo e di desiderare che tutti si comportino con lei in tal maniera.
Il quarto punto si riferisce alle tre inclinazioni negative tratte dal vangelo di Giovanni: concupiscenza della carne, degli occhi e superbia della vita, sono realtà che regnano nel mondo e sono causa di tutti gli altri appetiti. San Giovanni cura queste negatività con l’autodisprezzo, perché alcune anime con la loro superbia sono peggiori del demonio. Il cuore del traguardo è imitare l’umiltà di Cristo. L’unione deve essere accompagnata da un’auto espoliazione radicale.

5 Infine, quasi a conclusione di queste norme e di questi consigli, credo opportuno porre qui i versetti scritti sotto il disegno della Salita del Monte, riprodotto a principio di questo libro, versetti in cui è condensata la dottrina necessaria per salire sulla vetta, per giungere cioè al vertice dell’unione. Sebbene essi si riferiscano al lavoro spirituale e interiore, tuttavia si occupano anche dello spirito imperfetto secondo l’aspetto sensitivo ed esteriore, come si può vedere dalle due strade poste a lato del sentiero della perfezione. Qui prenderemo i versetti in questo secondo senso, mentre nella seconda parte della notte li prenderemo nel primo.
Ecco quei versetti:
«Per giungere a gustare il tutto,
non cercare il gusto in niente.
Per giungere al possesso del tutto,
non voler possedere niente.
Per giungere ad essere tutto,
non voler essere niente.
Per giungere alla conoscenza del tutto,
non cercare di sapere qualche cosa in niente.
Per venire a ciò che ora non godi,
devi passare per dove non godi.
Per giungere a ciò che non sai,
devi passare per dove non sai.
Per giungere al possesso
di ciò che non hai,
devi passare per dove ora niente hai.
Per giungere a ciò che non sei,
devi passare per dove ora non sei.
Modo di comportarsi
per non essere d’impedimento
al tutto.
Quando ti fermi su qualche cosa,
tralasci di slanciarti verso il tutto.
Per giungere interamente al tutto,
devi totalmente rinnegarti in tutto.
E quando tu giunga ad avere il tutto,
tu devi possederlo senza voler niente
poiché se tu vuoi possedere qualche cosa nel tutto,
non hai il tuo solo tesoro in Dio».

Giovanni D’Enrico, Orazione nell’orto, (part.), 1600 c., Varallo, Sacro Monte

Un amore più grande

Eterno e attraente contrasto tra il tutto e il nulla, tra il Creatore e la creatura. Il santo Dottore chiede fedeltà ad un’ascesi rigorosa, perché conosce la debolezza affettiva del cristiano. Invita il principiante di non porre affetto in nulla, neppure nelle cose che non può evitare perché obbligato dalla necessità, perché queste non lascino niente di negativo nell’anima. È consapevole che il potere di allontanare da Dio non è nella naturalità del creato, ma negli appetiti disordinati, che pertanto devono essere curati.
Vogliamo chiederci “Chi è in grado, con tutta la sua buona volontà, di mettere in pratica i consigli radicali proposti da San Giovanni? Come concretizzare la teoria e farla diventare esperienza reale?
Gli insegnamenti del Santo sono frutto della sua esperienza e di quella di altri e sono proposti perché possano essere sperimentati per la maturazione spirituale di chi percorre il complesso cammino dell’interiorità. Ma perché molti sul punto di metterli in pratica si scoraggiano e dopo qualche tentativo, abbandonano l’impresa?
La risposta a questo dubbio, ce la fornisce il Santo nel secondo paragrafo del cap. 14, del primo libro della Salita: «Sappiamo che l’amore e l’attaccamento agli appetiti e la ricerca del gusto in tutte le cose infiammano la volontà la quale si sente spinta a goderne; era dunque necessaria all’anima la fiamma più potente di un amore maggiore, cioè di quello del suo Sposo, perché ella, riponendo in Lui il proprio gusto e la propria forza, avesse il coraggio e la costanza di rinnegare senza difficoltà tutti gli altri piaceri».
Alcune espressioni usate dal santo Padre nella complessa severità della proposta, ci incoraggiano a metterci alla sua sequela. Le consideriamo insieme: «Reprima il desiderio di guardare. Faccia lo stesso quando le si presenta l’occasione di conversare, di compiere qualche altra azione o di soddisfare qualche altro senso, purché lo possa fare facilmente». «L’anima cerchi sempre di inclinarsi». «Cerchi poi di parlare in proprio disprezzo». «Riponendo in Lui il proprio gusto e la propria forza, avesse il coraggio e la costanza di rinnegare senza difficoltà tutti gli altri piaceri».
Sono espressioni chiave che ci aiutano a fidarci dell’ardua proposta e a cercare di agire con facilità e a rinnegare senza difficoltà. Il Santo spiega che la negazione degli appetiti da lui proposta non dovrebbe comportare tale sforzo ma attuarsi senza difficoltà, per una ragione logica in quanto l’amore e l’attaccamento agli appetiti e la ricerca del gusto in tutte le cose possono essere vinti soltanto da un amore infinitamente più grande che è quello dello Sposo dell’anima. È necessario, quindi, sperimentare quanto potente possa essere la fiamma dell’amore dello sposo per dare all’anima il coraggio e la costanza di rinnegare e senza difficoltà tutti gli altri piaceri.
Nel 13º capitolo San Giovanni assicurava che rimedi da lui proposti sarebbero sicuramente bastati per entrare nella notte del senso. Nel 14º precisa che in tale notte non è possibile avere il coraggio e la costanza sufficienti per rinnegare senza difficoltà tutti gli altri piaceri se non si possiede la fiamma potente dello sposo divino. Ovviamente sono necessarie e complementari entrambe le condizioni, l’una non esclude l’altra. La forza per raggiungere la libertà dai desideri e dagli impulsi passa attraverso la fiamma potente di un amore più grande, quello dello Sposo divino.
In sintesi, con parole semplici san Giovanni consiglia:

  • lascia che un amore più grande ti renda libero,
  • permetti a Gesù di amarti
  • appassionati a Lui meditando la sua vita,
  • stai con la persona di Cristo,
  • trova un posto dove stare con lui,
  • chiedi a lui cosa fare quando la debolezza ti confonde.
    A conclusione, vorrei leggere uno dei testi più belli e attraenti di Giovanni della Croce, con l’augurio che possa diventare per tutti noi sorgente di speranza nei nostri momenti bui.

Varallo, Sacro Monte, Scalinata e cappella, sec.XV- XVIII

Bibliografia
Bibbia di Gerusalemme
San Giovanni della Croce, Opere – Postulazione Generale dei Carmelitani Scalzi – Roma 1985
Eulogio Pacho, Temi fondamentali in San Giovanni della Croce – Ed. OCD Roma 1989
Massimiliano Herraiz, Chi è l’uomo…E dove va? – Macugnaga 2003
Iain Matthew, L’impatto di Dio – Risonanze in Giovanni della Croce – Ed. OCD 2005
Renato Rubino, Terapeutica dell’affettività – Cittadella Editrice – 2007

Commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.