Padre e maestro San Giovanni della Croce e il Carmelo teresiano (prima meditazione)

Prima Meditazione

Il dono della paternità

Carissimi, permettete che prima di tutto vi esprima tutta la mia commozione e tutta la mia gioia interiore nel trovarmi fraternamente unito a voi, condividendo la stessa vocazione e riassaporando almeno per qualche giorno quella fraternità del Carmelo che è una delle ricchezze più preziose della nostra famiglia religiosa. E questo lo dico perché questa fraternità mi presenta qui non soltanto come la fraternità della mia provincia ma come la fraternità della famiglia del Carmelo italiano. Trovarci insieme è bello, sentirci fratelli è bello, sentirci animati da uno stesso spirito, vivificati da una stessa grazia, consolati da una stessa speranza è bello e tutta questa fioritura di cose belle, di sentimenti nobili e profondi dilaghi nei nostri cuori per vivificarli, per irrobustirli, per renderli degni del Signore.
Ma questo godimento di fraternità religiosa e carmelitana che io spero vivremo in questi giorni acquista mi pare un valore anche più significativo se pensiamo che la circostanza che l’ha provocata è il ricordo e la memoria, che ci disponiamo a celebrare, del quarto centenario della morte di san Giovanni della Croce, il nostro padre. Perché questa memoria non è una semplice memoria commemorativa di una storia che fu, di una figura eccelsa che passò, ma è una memoria che ha le sue radici in qualche cosa di più specifico e di più profondo, e sono cioè i rapporti tra questo santo e il nostro Carmelo. È un grande dottore, oramai lo sanno tutti, è un grande santo e ormai lo sanno tutti, un grande poeta ed artista lo sanno tutti, è un grande dottore e lo sanno tutti, ma per noi san Giovanni della Croce è qualche cosa d’altro. Tutta questa splendida ricchezza di qualità, di doni, di carismi di Giovanni della Croce per noi finisce col diventare il tesoro di una paternità nella quale ci sentiamo radicati e dalla quale ci sentiamo nutriti. Si tratta di vincoli di vita, si tratta di valori genetici che ci caratterizzano e ci specificano e proprio perché Giovanni della Croce è questo noi ci prepariamo a celebrarne il centenario, proprio per questo motivo: perché lo chiamiamo padre, perché lo riteniamo padre e perché dalla sua paternità, dono eccelso del Signore, noi ci sentiamo continuamente generati. Questa motivazione profondamente spirituale che deve dare al nostro ritiro una ricchezza di sentimenti, una profondità di riflessioni, mi pare che debba essere particolarmente sottolineata dalla nostra attenzione e dal nostro impegno. Parleremo di lui e non si potrà fare a meno di rivivere vicende di famiglia perché di lui parleremo soprattutto come un carmelitano, come di qualcuno che ha realizzato la vocazione del Carmelo con una nuova pienezza e perché lo ha rinnovato con il fervore della carità, con il fervore della contemplazione, con il fervore della carità fraterna e con il fervore della dedizione apostolica. A queste cose non potremo fare a meno di pensare, ma le ripenseremo vedendole incarnate in lui, vedendole da lui proposte ancora una volta con fedeltà splendida e trascinatrice, perché non vogliamo celebrare un centenario per decorarci di memorie antiche, ma vogliamo celebrare un centenario che ci rigeneri dentro, che dia alla nostra vita uno slancio nuovo, alla nostra vocazione una limpidezza più trasparente e più assoluta, perché seguire questo padre diventi per noi non tanto un’esplorazione culturale o un approfondimento dottrinale ma diventi un cammino fatto insieme, mutuando dalla sua vita, dalle sue parole e dai suoi esempi le grandi ispirazioni per cui noi viviamo e vogliamo vivere mantenendo giovane questo Carmelo riformato che a lui è costato non tanto un patrimonio di sofferenza enorme, ma piuttosto un patrimonio di amore sconfinato.

In compagnia di un fratello

Vogliamo vivere questi giorni in compagnia di fra Giovanni della Croce. È un fratello. E il rapporto della fraternità e della paternità lo vogliamo rivivere assaporandone tutta la nobiltà ma nello stesso tempo anche tutta la forza trasformatrice. È un fratello, e a questo fratello noi ci rivolgiamo perché seguiti a fare nella nostra vita ciò che egli ha fatto durante la sua vita terrena: è stato maestro, è stato formatore, è stato fratello maggiore, è stato anche superiore, ma ha caricato continuamente la sua funzione carismatica di riformatore dell’Ordine con uno splendore di fede e anche con una singolare pienezza di carità da meritare davvero tutta la nostra fiducia. Questi giorni non li affidiamo tanto alla sublimità del suo magistero, non ci lasciamo ingannare dall’assolutezza delle sue esigenze spirituali, dalla perentorietà dei suoi precetti e dalla instancabilità eroica dei suoi esempi. Anche questo. Però ciò che intenderemo vedere meglio e intendiamo soprattutto meglio percepire è la carica di amore che in tutto questo c’è.

Anima innamorata

Fernando Botero, Cristo alla colonna, 2010, Medellin, Museo d’Antioquia

Ci affideremo ad uno dei suoi pensieri “dove non c’è amore metti amore e troverai amore”. Un pensiero fondamentale nel santo che addolcisce, rasserena, rende soave tutta la perentorietà della sua ascesi, tutta la descrizione allucinante delle sue escursioni altissime di contemplazioni, che però restano sempre così palpitanti di umanità, restano sempre così ricche di aderenza al cuore dell’uomo e alla sua vita per diventare un incantamento di cui dobbiamo subire il fascino e di cui del resto sentiamo continuamente l’attrattiva. In questo modo noi vogliamo vivere questi giorni: una comunità fraterna che si ritrova intorno al suo padre, che lo guarda, che lo ascolta, che lo capisce e ne riceve gli ammonimenti interiori ed esteriori, che ne richiama le grandi lezioni legate alla storia, legate alle esigenze della santità e legate anche, e questo lo voglio sottolineare in modo particolare, a quella progressiva fedeltà a Cristo Signore che ha tanto caratterizzato la sua vita spirituale. Un innamorato di Cristo, un uomo appassionato per il Signore Gesù, un uomo che del Verbo Incarnato ha adorato in maniera contemplativa sublime la divinità, ma di cui, vorrei dire, ha bevuto con una avidità trasfigurante tutta la ricchezza dell’uomo, dell’incarnato Signore e di una storia di incarnazione da cui si è sentito lui preso, affascinato, sostanziato. Questo Cristo di cui Giovanni della Croce è dottore, questo Cristo che egli ha amato, come è stato scritto, con una travolgente passione di Paolo, questo Cristo che come Paolo egli ha scoperto crocifisso e per questa crocifissione salvatore del mondo. Alla scuola di san Giovanni della Croce innamorarci di Cristo è inevitabile, alla scuola di Giovanni della Croce renderci

Fernando Botero, Gesù cade per la prima volta, 2010, Medellin, Museo d’Antioquia

consapevoli di che cosa sia il dono che il Padre ha fatto all’umanità con il Figlio suo è l’ultima esperienza, l’estrema esperienza: il cielo e la terra si congiungono e nella preghiera dell’anima innamorata ci si rende ben conto come Giovanni comprendesse la totalità perentoria e davvero definitiva dell’Incarnazione del Verbo come dono dell’amore di Dio e come sacramento non solo della redenzione ma anche della santità e della gloria. Noi tutto questo vorremmo in questi giorni in qualche modo assaporarlo, non attraverso lezioni dotte che non ho nessuna intenzione di fare, ma attraverso il silenzio tranquillo e riposato della preghiera, attraverso il riposo del cuore di Cristo, attraverso le nostre capacità di preghiera. Qui non siamo a pregare, come Giovanni della Croce, mentre nevica e ci ricopre i mantelli, qui siamo a pregare mentre lo splendore della natura ci circonda, e bisogna che la soavità di questo incontro dove veramente la grandezza di Dio e la soavità del Signore si manifestano e si esprimono trovino dentro di noi accoglienza. Ed è per questo che anche a noi in questi giorni è chiesta in un’atmosfera di raccoglimento, un’atmosfera di silenzio, un’atmosfera di contemplazione. Non sono le virtù penitenziali che noi in questi giorni dobbiamo praticare, ma sono le virtù dispositive al dono di Dio, le virtù che meglio ci rendono capaci di accogliere il Signore che parla, di ascoltare il Signore che ci dice le cose del Padre e di contemplare lo splendore dell’amore di Dio e lo splendore della sua misericordia. Io mi auguro che siano giorni soavissimi, io mi auguro che siano giorni palpitanti di carità nel profondo del cuore, mi auguro anche che, se ne abbiamo bisogno, siano giorni di tumulto interiore, dove il Signore si fa sentire, dove la sua fedeltà diventa più impellente e più perentoria, e dove lo splendore della sua santità diventa sole che illumina, sole che riscalda e sole che accende il fuoco della vita.

Giovanni e Teresa

Vorrei anche che in questi giorni noi non commettessimo l’errore di separare Giovanni della Croce da Teresa di Gesù. Offenderemo la storia, offenderemo la coerenza dei doni vocazionali e carismatici, ma è vero che non possiamo separare la madre dal figlio, è verissimo, e troppe volte rimane vero che per capire Giovanni bisogna capire Teresa, come è vero che tante volte per capire Teresa bisogna capire Giovanni. La tenacia con cui la Madre Teresa di Gesù chiamava “padre dell’anima sua” Giovanni della Croce ha un pendant perfetto nella costanza con cui Giovanni della Croce chiamava la madre Teresa “la sua madre”. È proprio lui che dopo la morte della Santa, forse per il primo, ha chiamato la nostra santa madre “la beata madre Teresa”. Una madre e un figlio, un figlio e una madre, un padre e una madre per noi, dobbiamo sentirli vicini. Quante volte la santa madre ha sospirato la presenza del suo “senechito” il suo “piccolo Seneca”, e quante volte Giovanni della Croce ha desiderato la presenza della sua beata madre. In questi giorni possiamo fare un po’ l’esperienza anche noi. E vorrei anche dire che non lo dobbiamo fare tanto con l’esegesi critica degli scritti dell’una o dell’altro, ma lo dobbiamo fare con quelle intuizioni del cuore di cui loro sono maestri e di cui ci hanno tanto insegnato a far uso per camminare nelle vie della carità, per essere dei discepoli del Signore Gesù, i più generosi e i più conseguenti.
Ecco, così a me che pare nei nostri esercizi di questi giorni possiamo creare un’atmosfera nella pace, nella trasparenza della verità, nell’incandescenza della carità, nel fervore della preghiera, e nel silenzio sonoro della solitudine. E non dimentichiamoci che questa esperienza di fraternità carmelitana che vogliamo vivere in compagnia dei nostri santi è vegliata dalla presenza di Maria, la madre che nella vita della santa Madre e nella vita del santo Padre ha avuto anche una serie di interventi prodigiosi per sottolineare quella sua universale maternità sul Carmelo in cui noi crediamo e che abbiamo sempre bisogno di rivivere col fervore della preghiera, coll’attenzione della fede, con la tenerezza della carità e con la gioia pacifica della vita.

Fernando Botero, Bacio di Giuda, 2010, Medellin, Museo d’Antioquia

Verità e amore

Con queste poche riflessioni lasciamoci nel silenzio, lasciamo tutte le altre occupazioni e preoccupazioni e il Signore Gesù benedetto che ha incendiato il cuore di Giovanni della Croce accenda il nostro in sintonia con il suo. La Viva fiamma di amore potrà essere per noi il viatico. Ma un’ultima osservazione vorrei fare. Le due piste di incontro con Giovanni della Croce e con il suo esempio, la sua presenza, il suo magistero, il suo carisma di padre, sono quella della sua vita concreta e quella della sua dottrina. La sua vita concreta e i suoi scritti. Non leggiamoli separati e non cediamo alla tentazione che oggi purtroppo sta diventando di moda di fare una separazione tra il dottore e il frate. Giovanni della Croce è quello che è in una mirabile e unitaria sintesi di valori dove la verità diventa amore e dove l’amore diventa verità. Tocca a noi non consumare separazioni, per non cadere nell’interpretazione sbagliata della vita storica e nell’interpretazione sbagliata della vita culturale. Io ritengo che questo sia uno dei rischi più grossi che stiamo correndo anche perché sta diventando di moda leggere Giovanni della Croce sotto il profilo del carisma profetico, del carisma artistico, del carisma culturale e letterario, mentre tutto questo esiste anche, ma è soltanto momento di incarnazione di un dono più alto e più sublime e più definitivo che è la santità illuminata del nostro padre.
Che lui ci guidi, che lui ci aiuti e che questi giorni siano per tutti il viatico della pace e il viatico nel fervore nella carità.

di padre Anastasio Ballestrero ocd*

Commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.