Padre e maestro San Giovanni della Croce e il Carmelo teresiano (seconda meditazione)

Seconda Meditazione

Storia vocazionale

Vogliamo dedicare la giornata di oggi a riflettere sulla vocazione del nostro santo padre, il che è quanto dire pensare un momento al suo cammino fino a raggiungere il Carmelo. Tra la sua vita, la sua dottrina e il suo messaggio nella sua vita concreta c’è una continuità di valori spirituali che si alternano e si intrecciano mirabilmente e possono significare anche per noi qualche cosa di utile alla riflessione.

Fernando Botero, Cristo è morto, 2011, Medellin, Museo d’Antioquia

La scuola della povertà

Sappiamo tutti che il santo Padre, rimasto orfano bambino, si è trovato subito impegnato in una realtà umana particolarmente dura e faticosa, quella della povertà, una povertà che ha reso difficile il pane, una povertà che ha reso difficile la casa, e il santo Padre ha dovuto attraversare le strade diventando pellegrino di terre aride avare, diventando anche così un emigrante. Con la sua mamma e il suo fratello non hanno avuto stabile dimora, e in questo mancar di casa e in questo mancar di pane l’unica risorsa era il lavoro, il lavoro della mamma e il suo lavoro. È stato scritto che san Giovanni della Croce ha imparato a vivere prima dalla vita che dalla scuola. È vero. Non ha potuto frequentare regolarmente i primi fondamentali corsi dell’istituzione ma ha dovuto lavorare. Ha fatto un po’ tutti i mestieri senza diventare specialista in nessuno, ma lavorare questo sì per un pezzo di pane e per collaborare al bilancio di una famiglia disastrata e dissestata in tutti i sensi meno che nella fede e nell’amore del Signore. Questa connotazione di povertà così acuta nella primissima giovinezza e infanzia del santo è un elemento da non trascurare mai nell’interpretare la sua vita e nel leggere i suoi scritti. Bisogna però dire, che in questa esperienza amara della povertà e del lavoro, il santo ha cominciato subito con una manifestazione singolare di virtù a proposito della carità fraterna, della misericordia verso i poveri, della compassione verso gli ammalati e questa connotazione, della sua infanzia addirittura, è un altro valore che non possiamo trascurare quando pensiamo a lui. Un povero, amante dei poveri e dei sofferenti, un povero non inasprito dalle difficoltà della povertà, ma un povero intenerito dalla condivisione della miseria e della fame. Povertà e carità nella sua infanzia e nella sua adolescenza si intrecciano tanto che il suo lavoro, vorremmo dire preferito, resterà quello di essere un infermiere, un infermiere non patentato, un infermiere non inquadrato in una professionalità precisa, ma un infermiere dal cuore cristiano, un infermiere volontario, un infermiere dove l’amore di Cristo è il viatico quotidiano e dove la dedizione e la fatica sono la testimonianza e il servizio che rende alla sua fede e alla fede della sua famiglia.

Povero e contemplativo

È giusto che noi pensiamo a questo: un povero di questo genere e un povero che in questo genere di vita raggiunge un’altra connotazione singolare, un’attenzione particolare alla preghiera: è già allora un contemplativo, è già allora che ha bisogno di incontrare il Signore a tu per tu nella familiarità della effusione spirituale, nel silenzio

Fernando Botero , Crocifissione con il soldato, 2010, Medellin, Museo d’Antioquia

contemplativo e anche nella fedeltà a quei doveri di cristiano che la madre tanto inculcava in questo figliolo. È sorpreso spesso anche di notte a pregare in qualche cantuccio della casa e questa già insorgente predilezione per la preghiera solitaria l’accompagnerà per tutta la vita, anzi bisogna anche dire che questo tirocinio della povertà e della carità, nutrito dal fervore della preghiera, diventa per san Giovanni della Croce il terreno nel quale col passare degli anni matura la sua vocazione: cerca il Signore, approfitta delle occasioni che ha per confrontarsi e la sua scelta totale di Dio diventa precoce, diventa perentoria nel suo cuore e nella sua vita e si mette alla ricerca di che cosa fare, di che cosa essere.

Ricerca vocazionale

Noi non abbiamo molte informazioni su questa ricerca però c’è una annotazione preziosa della sua vita: decide di essere di Dio e di essere religioso. Questo essere religioso per lui pone dei problemi: quale religioso? Frequenta in qualche modo senza regolarità, perché la sua povertà non glielo permette, le iniziative scolastiche della Compagnia di Gesù in Medina del Campo, fa progressi notevoli attraverso uno studio personale il più delle volte notturno, ma che cosa farà? Sarà religioso, va bene. Sarà gesuita? Non pare ci abbia mai pensato. La sua scelta, e i biografi lo notano, è determinata da un dettaglio: è molto amante della Madonna, è devoto della Madonna e allora la sua scelta cade su una famiglia religiosa nella quale la Madonna e il culto della Madonna abbia un particolare significato vocazionale. Ed è attraverso questa strada della povertà, della carità, della fraternità amorevole e della maternità di Maria che approda al Carmelo. A me sembra che questi elementi succintamente ricordati siano significativi. C’è già nel santo che sta cercando la sua vocazione tutta una fermentazione della grazia vocazionale; evidentemente è il Signore che lo conduce, evidentemente è il Signore che lo illumina e gli dà quel discernimento di cui ha bisogno per prendere le sue decisioni. Nella vita sarà religioso, nella vita sarà sacerdote, nella vita sarà figlio del Carmelo, perché? Perché Maria la Madre del Carmelo lo chiama, lo elegge e lo predilige.

Povertà e vita religiosa

Ecco io vorrei a questo momento fermare il nostro pensiero e la nostra attenzione a questa convergenza di valori cristiani che si impadroniscono della vita appena sbocciata e in fiore di questa creatura benedetta. Non dimentichiamo che questo succede in un tempo storico ben preciso e non dimentichiamo neppure che succede in una terra altrettanto fervida e altrettanto fermentata dalle meraviglie del Signore, nella Spagna. Tutto questo è san Giovanni della Croce in questa primissima stagione della vita che si presenta già tanto luminosa e tanto promettente nonostante tutto. Dobbiamo osservare prima di tutto che la povertà, che poteva essere un handicap psicologico terribile per questo ragazzo, diventa invece una grazia, diventa uno stimolo, diventa una dote che farà crescere una vocazione. Potremo anche abbandonarci per un momento ad una riflessione che riguarda il nostro tempo. La crisi delle vocazioni è molto determinata dalla mancanza della povertà. Oggi della povertà nel mondo ce n’è poca e il culto della povertà è rarissimo e, se vogliamo essere sinceri, anche nel contesto delle famiglie religiose questo culto privilegiato della povertà inteso come sequela di Cristo povero fa fatica a dissociarsi da quel consumismo che invade tutto, da quella civiltà del possedere che caratterizza il convivere umano e da quella avidità dei beni che rischia di infiltrare anche nella vita religiosa e nella vita cristiana il paganesimo come idolatria delle cose e come idolatria dello star bene. Dobbiamo pensarci. Questa caratteristica della povertà come beatitudine evangelica, come caratteristica particolare di chi si dedica a seguire Cristo povero va sottolineata anche perché per noi carmelitani riveste un’importanza estrema e non al culmine della vita religiosa ma all’inizio, non come cammino da raggiungere e soltanto dopo tanta strada ma un punto di partenza dove il cammino comincia. San Giovanni della Croce da questo punto di vista è particolarmente esemplare. Vedremo in seguito come, nel maturare la vocazione e nel realizzarla, questo culto della povertà abbia caratterizzato Giovanni, e lo abbia caratterizzato soprattutto come formatore di anime, come un maestro spirituale e come esempio concreto di che cosa debba essere e di che cosa debba vivere un carmelitano scalzo. A me pare che potremmo fare tante riflessioni. Con la crisi vocazionale che attraversiamo, probabilmente un’attenzione particolare alla realtà concreta della povertà sarebbe utile, forse il deserto fiorirebbe ancora.

Fernando Botero, Maria e Gesù morto, 2011, Medellin, Museo d’Antioquia

Povertà e carità

Ma l’altra connessione che mi pare da rilevare è questo connubio che vorrei chiamare quasi genetico tra la povertà e la carità. In Giovanni la prevalenza della carità e dell’amore è sollecitata dalle condizioni esteriori della vita e le sue occupazioni preferite sono precisamente quelle che dedicano il tempo e le energie alle sofferenze degli altri, soprattutto agli ammalati. Comunque la tenerezza del cuore, la sensibilità dello spirito e le intuizioni della carità fraterna cominciano adesso a diventare nello spirito di Giovanni una caratteristica che rimarrà poi permanente nella sua storia e diventerà esemplare per i suoi figli: la carità. La carità fraterna, la convivenza umanissima e soavissima, queste cose che rappresentano per san Giovanni della Croce una connaturale spontaneità di dedizione hanno bisogno di essere riconsiderate. Anche in casa nostra. Perché il rischio che le prevalenze istituzionali inaridiscono i cuori, scandiscano le differenze invece di esaltare le convergenze e le comunioni è rischio che è nel nostro tempo, è nella nostra cultura ed è anche un po’ in un tipo di spiritualità eccessivamente dominata dal fare ed eccessivamente ispirata all’efficienza. Son cose a cui bisogna riflettere pensando a questo itinerario spirituale del santo Padre che incomincia subito, che non raggiunge certe intuizioni della carità alla fine della vita ma prima ancora di varcare la soglia del convento.

Il dono della preghiera

L’altro valore che abbiamo sottolineato e che merita un momento di attenzione è questo privilegiare la preghiera: questo ragazzo è strapazzato dalla vita, questo ragazzo è continuamente sradicato dall’ambiente in cui vive attraverso un peregrinare in cerca di pane e di lavoro che non favorisce la quiete dello spirito ma in lui, ed è dono di Dio, stranamente favorisce addirittura l’esperienza contemplativa. Questo ragazzo vuol bene al Signore, lo cerca, si sente amato ma si trova nella solitudine, è un povero orfano, ed è strano che questa solitudine di ragazzo venga colmata da attrattive misteriose che lo fanno rifuggire dalle compagnie inutili, che lo fanno rifugiare in cantucci della casa o della città o delle chiese nel silenzio, nella pace. È tutto temperamentale questo atteggiamento di Giovanni? Io direi di no. Se fosse solo temperamentale urterebbe troppo con la sua effusiva carità, con la sua capacità di presenza dove c’è da patire e dove c’è da aiutare chi patisce. È un dono interiore, è una grazia a cui il salto si abbandona senza troppi maestri spirituali, perché a quell’epoca non ne ha, ma al seguito di Gesù Cristo di cui è innamorato e che lo lega a sé con profonde esperienze spirituali. Sarebbe interessante se noi potessimo conoscere dettagli della preghiera contemplativa di questo ragazzino; purtroppo non abbiamo troppi dati, ma che fosse innamorato della preghiera e della solitudine è certo e di questo innamoramento ha conservato nella vita tutta la freschezza, tutta l’esuberanza e tutta la fecondità. La decisione di orientarsi verso la vita religiosa che matura in questo tempo e che matura lentamente più per le ragioni esterne legate al suo nomadismo e alla sua povertà e alla condizione della sua famiglia, tutto questo rappresenta un cammino inconsapevole attraverso cui il Signore fa maturare l’anima, il cuore, la mente e anche il carattere di questo primo carmelitano scalzo.

Carmelitano

Carmelitano perché? Carmelitano perché a lui il Carmelo viene presentato come la religione della Vergine. A venire nel campo dove dei carmelitani hanno restaurato la loro presenza con fervore Giovanni della Croce trova la sua casa spirituale, trova il suo santuario, trova l’habitat ascetico e spirituale di cui ha bisogno e in questa prospettiva la sua scelta diventa una scelta consapevole, una scelta responsabile e una scelta coerente che dà continuità alla sua vita, tutta centrata sull’assolutezza della povertà e sulla generosità infaticabile della carità. Dobbiamo notare che in questo tempo Giovanni della Croce matura la decisione della sua vocazione, chiede l’abito del Carmelo, della famiglia della Madonna, e si introduce in quell’itinerario di formazione che allora a Medina del Campo vigeva e che era tutt’altro che rilassata e tutt’altro che facilone. C’era impegno, c’era fraternità e fra Giovanni trovò là il suo nome ma trovò anche là l’incarnazione della sua vocazione. Divenne un carmelitano così.

Religioso e studente

Abbiamo già accennato che in questo tempo la sua formazione culturale fu episodica e frammentaria ma entrando al Carmelo trovò finalmente una maggiore regolarità e anche quindi la cultura trovò nella una vita uno spazio che a prima impressione sembra secondario ma che invece diventerà a poco a poco una delle caratteristiche emergenti di questa creatura privilegiata dai doni di Dio e gratificata da una ammirabile fedeltà. Questo carmelitano frequenta in maniera più regolare i corsi della Compagnia ma viene introdotto anche negli studi dell’Ordine con una maggiore assiduità, una maggiore regolarità, e con un’evidente profitto che culturalmente matura l’uomo e crea una adeguata armonia tra il fervore della vita e la cultura della vita. Da notare però che questo progredire della cultura in Giovanni non rappresenta l’impegno prioritario facendo decadere o relegare a un secondo posto il cammino della perfezione e della santità. È un religioso. È rimasto famoso uno dei suoi aforismi “religioso e studente, ma religioso prima di tutto”. Un idolatra della cultura non lo è mai diventato, ma un religioso lo è sempre rimasto.

Fernando Botero, Cristo è morto, 2011, Medellin, Museo d’Antioquia

Il dono carismatico

Questo prevalere di Dio nella sua vita fin dal principio che appare come un istituto che il Signore gli ha dato va tenuto in conto, perché in lui bisogna riconoscere proprio come dono vocazionale che la sua prevalente impostazione e sensibilità contemplativa della vita non è tanto il frutto di un cammino ascetico da lui percorso quanto il frutto di un dono carismatico che il Signore gli ha concesso molto presto proprio attraverso il cammino della povertà e della carità. La precocità contemplative della vocazione di Giovanni vanno cercate là e a me sembra che questo radicarsi nella povertà di Cristo e nella carità di Cristo dell’istituto contemplativo del santo sia particolarmente espressivo e particolarmente specifico dell’itinerario di questa creatura. Noi sappiamo che le strade della contemplazione e le strade della scienza di Dio sono molteplici e molte passano precisamente attraverso le strade del sapere umano. Per il nostro santo Padre non è stato così. La strada è stata quella cristocentrica e fondamentale: la povertà di Cristo seguita nel clima delle beatitudini e la carità di Cristo manifestata in maniera mirabile con le opere di misericordia. Giovanni è passato di lì. E che questo non possa rimanere un cammino di cui ci preoccupiamo anche noi mi pare che sia ovvio dirlo.
Se noi confrontiamo questo primo momento della vita del santo Padre con l’esperienza di Teresa di Gesù, la madre, ci rendiamo conto che la sequela di Cristo e la povertà e la carità sono matrici che già nella madre hanno trovato tanta parte e tanto alimento. C’è una confluenza di grazia tra i due santi proprio da questo punto di vista, e questo non bisognerà mai dimenticarlo quando si parlerà dell’aspetto intransigente ed assoluto dell’ascesi del santo Padre. La carità come cammino nel quale gli egoismi scompaiono, i cuori diventano vivi e palpitanti e anche le umane sensibilità si raffinano liberandosi da troppi egoismi e diventando espressivi di un vangelo profondamente recepito dall’esempio di Cristo e dalla sua grazia che alimenta la vita. Anche questo va detto, e va detto con insistenza perché, secondo me almeno, la vita del santo Padre come del resto la vita della santa Madre restano il primo messaggio rivolto ai figli e alle figlie, in una comunione di ideali e in una comunione di missione che ancora oggi conserva il suo significato e il suo valore. Forse le esperienze di Giovanni della Croce le abbiamo troppe volte qualificate come esperienze personali non trasmissibili e come esperienze personali che non diventano esemplari necessariamente per altri, forse abbiamo ragionato così. Ma io mi domando, e me lo domando adesso nell’imminenza del quarto centenario della morte di colui che chiamiamo santo Padre, se sia davvero giusto che noi guardiamo con mentalità riduttiva alla vita di questa creatura eccezionale che la madre Teresa ha voluto che fosse il primo dei suoi figli, e lo fosse per diventare formatore degli altri. Io penso di no. Anzi penso che proprio il carattere carismatico di questa povertà e di questa carità di san Giovanni sia necessario percepirla bene proprio per umanizzare fino in fondo il messaggio del santo, per renderlo evangelico fino alle ultime conseguenze rendendolo soavissimo come soavissimo era lui senza intaccarne la perentorietà, la fedeltà, l’assolutismo. In Giovanni della Croce questa conciliazione, questa composizione tra l’esigenza piena della croce e la soavità piena della carità è una caratteristica che bisogna continuamente tener presente se non vogliamo deformare la figura del santo e travisare il suo magistero e il suo esempio e quindi impoverire la nostra vita. Le querele in casa nostra che sono scoppiate vivente ancora il santo Padre e continuate lungamente dopo di lui secondo me dipendono proprio tutte da qui. L’aver voluto separare ciò che era la mirabile composizione vitale della vita del santo nell’imitazione di Cristo, nella sequela del Vangelo, attraverso la povertà e la carità, dividendo i fratelli nei fautori dell’austerità e della rilassatezza. Non è un’alternativa necessaria, e non è soprattutto un’alternativa che quadri con le visioni spirituali della santa Madre e del santo Padre e con quel carisma fondamentale dell’Ordine che è già presente non soltanto nell’esempio profetico del profeta Elia, ma anche in tutta la tradizione spirituale dell’Ordine. Penso che a queste cose si possa sempre utilmente pensare anche per fare un esame di coscienza, per domandarci soprattutto fino a che punto nella nostra vita il fervore della carità diventi la matrice del fervore della povertà e la coerenza della povertà diventi la liberazione felice del cuore per le effusioni nella carità. È un gioco provvidenziale nel quale il nostro carisma si esprime e nel quale la nostra storia diventa feconda per la Chiesa e per il Regno del Signore.
Oggi pomeriggio continueremo la nostra meditazione ancora sulla vita del santo Padre per avere così un insieme di elementi che ci aiutino a riflettere e ci aiutino a rendere questo giorno di preghiera e raccoglimento nei nostri esercizi un giorno nel quale il tema fondamentale di tutti gli esercizi, che è la conversione, riemerge attraverso un esame di coscienza che porti ad ideali riscoperti e rivissuti, ad aspirazioni profonde e ad aperture serene alla grazia del Signore.