“Molte persone preferiscono risposte sbrigative per capire il contesto e provare a spiegare la situazione in Nigeria”. Così afferma S.E. Mons. Matthew Hassan Kukah, Vescovo di Sokoto intervistato da Marialaura Conte per conto di Oasis, fondazione veneziana nata nel 2004 a Venezia, da un’intuizione del Cardinal Angelo Scola, per promuovere la reciproca conoscenza e l’incontro tra il mondo occidentale e quello a maggioranza musulmana.
Come può aiutarci a comprendere la reale situazione del suo Paese, aldilà delle troppo semplici riduzioni mediatiche?
Molte persone preferiscono risposte sbrigative per capire il contesto e provare a spiegare la situazione in Nigeria. Dopo l’indipendenza in Nigeria, l’esercito non permise ai politici di governare e instaurare una vita democratica nel Paese. L’altra grossa questione per la Nigeria è la presenza di ricchi giacimenti di petrolio, che crea grandi conflitti tra coloro che vogliono controllare queste risorse e fare soldi.
Le notizie spesso presentano quello nigeriano come un conflitto religioso. Che cosa pensa in proposito?
È un punto molto importante da capire: i problemi della Nigeria, soprattutto la terribile violenza, non hanno niente a che vedere con la religione. Qui, i problemi nascono dalla cattiva gestione delle risorse del Paese e dalla incapacità del Governo di controllare la situazione. Ciascuna crisi in Nigeria è immediatamente collegata alle religioni. Ma noi non abbiamo mai avuto una crisi religiosa o una crisi derivata da cristiani o musulmani in lotta su questioni religiose. La vera ragione della crisi in corso è politica ed economica. Non è corretto presentare i problemi di oggi come conflitti tra religioni.
Quando è iniziata questa situazione così violenta? Qual è stata la causa scatenante?
È un errore pensare che tutto ciò sia nato soltanto un paio d’anni fa. Ciò cui stiamo assistendo è la manifestazione della corruzione dello Stato della Nigeria. Prima di Boko Haram, abbiamo avuto altre simili violenze nella regione del Delta del Niger. Prima ancora, altre violenze della stessa natura nel sud-est. Questa situazione ha caratterizzato gli ultimi vent’anni o più, solo che la natura e il contesto continuano a cambiare. Dopotutto abbiamo vissuto sotto i militari per molto tempo. Quindi, dobbiamo guardare a questa violenza nel contesto della la storia della corruzione in Nigeria. Io credo che, se le cose non cambieranno e se il governo e i pubblici ufficiali continueranno con la cattiva gestione delle risorse dello Stato, essi non avranno più l’autorità morale per punire i criminali. Di conseguenza si potrebbe anche tentare di fermare questo processo oggi, ma domani riapparirebbe in un punto diverso. La differenza sarebbe così soltanto di tempo e di luogo geografico!
Boko Haram sembra essere un nuovo pericoloso fattore nella vita della Nigeria. Cosa pensa di questo fenomeno?
Boko Haram è un fenomeno nuovo ed estraneo. Non ha niente a che fare con la religione, con i cristiani o con i musulmani. Il fatto che loro attacchino le chiese con una violenza fuori del comune, induce i media a pensare che siano contro i cristiani. Ma non è vero. Uccidono cristiani, ma uccidono anche donne e bambini, sia cristiani che musulmani. Sono dei criminali che attaccano le chiese, le sedi dei media, le stazioni di polizia, i mercati… non fanno differenze.
Il governo deve controllare il fenomeno e fermarne la violenza. Abbiamo bisogno di un forte intervento per fermare questi terroristi.
Ma nel suo programma Boko Haram utilizza un linguaggio religioso, che si radica nell’Islam, anche se in una sua interpretazione violenta.
Non nego che Boko Haram faccia queste rivendicazioni e si appropri di un linguaggio religioso. Ma la sola appropriazione di tale linguaggio non rende la loro una criminalità religiosa, sotto nessun’aspetto. Tanto è vero che hanno attaccato leader e istituzioni musulmane, hanno ucciso migliaia di musulmani, certamente molti di più dei cristiani, se usiamo questa espressione. In quasi tutte le circostanze in cui i cristiani sono stati attaccati, anche molti musulmani e civili sono morti. Ciò che conta è aver chiaro che l’estremismo religioso, sia nel Cristianesimo che nell’Islam, miete vittime al suo interno, per così dire, prima che al di fuori.
Queste azioni violente stanno creando divisione nella società, un reciproco desiderio di vendetta?
Quello che crea divisione è il procedere lento della reazione del governo e l’incapacità delle agenzie di sicurezza di portare a termine le indagini e condurre a giudizio i colpevoli. Questo sta favorendo la diffusione di un sentimento di impotenza e spinge le persone a pensare di difendersi da sé come opzione possibile. Se il governo si comportasse in maniera decisa, la gente imparerebbe la lezione.
C’è qualcuno che ci sta guadagnando in questa crisi?
Assolutamente. I promotori locali e coloro che stanno manipolando il processo ricevono enormi somme di denaro dall’estero, da alcuni paesi arabi. È importante notare come, fin dai primi anni ’60, gli arabi musulmani hanno finanziato azioni finalizzate alla conversione, nel progetto della Dawah. Gheddafi è stato un grande finanziatore e l’illusione è che, in qualche modo, la Nigeria si trovi nella miglior posizione strategica per consolidare i domini dell’Islam in Africa.
A livello delle Agenzie di Sicurezza in Nigeria, c’è un gran tentativo di approfittare della situazione. È stato questo il caso della crisi del Delta del Niger, la quale, ancora, venne risolta con il flusso di molto denaro. Solo nel budget di quest’anno il governo federale ha stanziato un trilione di Naira per la sicurezza! Questo equivale circa al budget nazionale di un paio di anni fa. Quindi, sì, la crisi è diventata un affare, il che è pericoloso per noi.
Esiste una via di uscita? Quale?
A volte l’uscita non è la migliore delle opzioni, se le ipotesi non sono adeguatamente ponderate. Sul breve periodo penso che il governo federale debba abbandonare l’idea di una soluzione militare, cominciando a stabilire una data per il ritiro dell’esercito dalle nostre strade. La classe politica deve essere incoraggiata a trovare una soluzione a ciò che è chiaramente un problema politico e non religioso. I leader delle comunità (non necessariamente leader religiosi) devono essere incoraggiati a farsi carico della situazione e impegnarsi in iniziative il cui scopo sia unificare le comunità. Se questo succedesse, si contribuirebbe a edificare la fiducia pubblica, poiché non vi potrà essere una soluzione di tipo militare, dato che la presenza militare esalta soltanto la violenza. L’esercito sta divenendo un esercito “occupante” e la sua efficacia tende e diminuire progressivamente. Infine, il governo federale deve cominciare un programma di riabilitazione e ricostruzione delle comunità distrutte. Questo creerebbe fiducia e ridurrebbe la frustrazione e l’amarezza tra i cittadini.
Come continua la vita quotidiana della vostra diocesi e dei vostri fedeli in un contesto così violento?
Sokoto, anche se può sembrare strano, è piuttosto pacifica. Non abbiamo avuto un solo incidente qui. Ho incoraggiato la nostra gente a rimanere allerta, ma abbiamo deciso di non cambiare le nostre abitudini, come cambiare gli orari delle messe e delle pratiche religiose a causa della paura. Ho detto ai miei fedeli che “paura” non esiste nel vocabolario di nessun vero cristiano. Quindi continuiamo a portare avanti i nostri normali doveri e compiti.
Sente che la sua vita è in pericolo?
Non ho mai avuto nessuna paura perché credo che ogni giorno, ogni luogo, è un giorno o un luogo abbastanza buono per morire. Non c’è posto al mondo che sia esente da minacce per la vita. Per noi qui sarà la violenza di Boko Haram, per alcune zone degli Stati Uniti sarà un uragano, per altre parti del mondo uno tsunami e così via. Le nostre vite sono nelle mani di Dio, non nella sicurezza umana.
Il vescovo Kaigama ha denunciato l’assenza dello Stato in questa situazione, l’insufficienza di protezione militare per la gente e i villaggi, sistematicamente attaccati da gruppi violenti. Lei è d’accordo?
Mons. Kaigama ha ragione ma, come ho detto, forse in alcune situazioni c’è un’eccessiva presenza dello Stato attraverso i suoi strumenti di violenza. Questo inquieta le persone, ma nel complesso, ha ragione.
fonte: www.oasiscenter.eu/it/node/8488
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