Dispensari e ospedali cattolici in Madagascar: la testimonianza di un carmelitano
Attraverso i dispensari cattolici, “la Chiesa salva delle vite” e fa sentire ai malgasci che “c’è chi si preoccupa per loro”. Lo dichiara padre Bruno Dall’Acqua, missionario carmelitano ed economo della diocesi di Mahajanga, nel nord del Madagascar, in una nota di Aiuto alla Chiesa che Soffre, la Fondazione di diritto pontificio che solo nel 2012 ha donato 561 mila euro per progetti pastorali della Chiesa locale. In un Paese in cui l’80% degli abitanti vive con meno di un dollaro al giorno, appena il 15% della popolazione ha accesso alle cure mediche di base: in questo quadro, i dispensari cattolici sono una realtà essenziale per sopperire alle carenze in campo sanitario. In particolare, la diocesi di Mahajanga ha avviato negli ultimi anni la costruzione di un nuovo ospedale, intitolato a Giovanni Paolo II. Di questa realtà ci parla proprio padre Dall’Acqua, in questi giorni in Italia per reperire materiali di prima necessità per gli abitanti della diocesi. L’intervista è di Giada Aquilino:
R. – Mahajanga è tra le diocesi più estese del Madagascar: la superficie è di 71 mila chilometri quadrati, con una popolazione di circa un milione e mezzo: è gente che vive di pesca – per chi è sulla costa, lungo il mare – e di agricoltura, la cui produzione principale è il riso. Per quanto riguarda i servizi, nei centri più grandi ci sono varie strutture ma quando si esce dalle città è molto più difficile trovarle. Purtroppo, soprattutto la sanità è ancora molto carente: tutto è a pagamento, ma se non ci sono entrate economiche il sistema sanitario non va avanti. Con questa situazione politica incerta, dopo cinque anni di transizione ci sono state le elezioni e si è insediato il nuovo presidente, Hery Rajaonarimampianina. Anche se non sarà facile, speriamo che le cose si possano un po’ sistemare.
D. – La realtà malgascia parla di un 15% della popolazione che ha accesso alle cure mediche di base. Quali sono le emergenze sanitarie?
R. – La tubercolosi, la malaria, la febbre tifoide… Adesso, sono insorti anche problemi di peste. E poi le malattie della pelle, polmonari, intestinali, come ad esempio la dissenteria…
D. – Sono malattie dovute a cosa?
R. – Dovute in parte alla mancanza di igiene e insufficienza nell’alimentazione. E poi all’impossibilità di curarsi. In qualche modo, per le prime cure qualcosa si riesce a fare, ma quando si deve ricorrere alle cure ospedaliere diventa molto più difficile perché, per esempio, c’è chi, per sottoporsi a un’operazione, deve prima tornare a casa a vendere un bue, se ce l’ha, o un pezzetto di terra, per pagarsi poi l’intervento. Chi non ce l’ha, non può far niente.
D. – Nel 2011, avete avviato la costruzione dell’ospedale Giovanni Paolo II: di cosa si tratta?
R. – Di fronte a questa realtà si è presa la decisione di fare qualcosa come Chiesa, come cristiani per poter rispondere ai bisogni fondamentali della gente, per quanto riguarda le cure mediche e la sanità. Ci sono già realtà semplici nella diocesi, come un dispensario, ma il problema sorge per le cure più specialistiche. Per questo motivo, si è deciso di intraprendere questa ‘avventura’ dell’ospedale insieme ad un gruppo di medici locali ed altri che lavorano nel settore sanitario; abbiamo anche chiesto aiuto ad un’associazione italiana, di Modena, che faceva già degli interventi in Madagascar e che si chiama “La vita per te” (www.lavitaperte.org), il cui presidente è il dott. Francesco Cimino. Tutti insieme abbiamo dato uno sguardo al progetto: sono state messe le fondamenta del poliambulatorio e sono già stati realizzati i muri del pian terreno. Ora, si sta lavorando al resto dell’ospedale.
D. – Questo ospedale fornirà assistenza a tutti, senza distinzione…
R. – Sì, a tutti senza distinzione. Certo, c’è il grosso problema di chi non ha proprio possibilità e questa è la realtà di tanta gente. Stiamo quindi pensando a come creare una specie di fondo di solidarietà per poter andare incontro anche a coloro che non possono pagare le cure.
D. – Lei ha detto che, dopo cinque anni di crisi, di un periodo di transizione, ora il Madagascar ha un nuovo presidente. Cosa rimane di quel periodo di violenze e cosa ci si aspetta per il futuro del Madagascar?
R. – Ci sono state violenze ed è aumentata l’illegalità. Ci si aspetta che la situazione possa sistemarsi un po’, ma sarà un cammino ancora lungo. Anche la Chiesa è impegnata in questo percorso ed i vescovi sono molto ascoltati dalla popolazione. La gente è stanca di fare rivolte e spera tanto che possano esserci più ordine e sicurezza. Ma l’economia è ancora ferma, quindi ci si augura che si possa tornare a produrre e a crescere. E’ però importante andare avanti. Anche per i malgasci stessi: vedere che qualcuno si interessa a loro, che non li fa sentire soli, è una grande forza.
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