L’irruzione della modernità

L’IRRUZIONE della modernità in un’istituzione vecchia di due millenni avviene all’improvviso, con il coraggio dell’umiltà nel gesto solitario dell’anziano pontefice che rinuncia al potere del vicario di Cristo e a tutti i suoi simboli, confessando la sua fragilità davanti al peso della responsabilità, divenuto intollerabile per le sue forze in rapido declino.

È una notizia universale, che fa il giro del mondo e lo stupisce, perché cambia radicalmente lo status del pontificato romano.

Cambia l’iconografia che lo rappresenta come strumento del cielo e la liturgia che lo circonda consacrandolo. Sotto i paramenti sacri («come Papa lei dovrà ogni ora del giorno indossare la bianca sottana», disse subito a Ratzinger uno dei segretari di Wojtyla, accogliendolo dopo l’elezione nell’Appartamento) spunta l’uomo, con tutto il carico dei suoi 85 anni compiuti, la coscienza crescente del limite, il timore di non riuscire a far fronte alle necessità della sua missione suprema.

È l’uomo Ratzinger che il 28 febbraio alle otto di sera – un appuntamento mediatico e spirituale insieme, già fissato con la precisione di chi ha voluto disporre di ogni cosa in anticipo – il mondo vedrà uscire in automobile dalle porte vaticane per rientrare nel secolo, spettacolo inaudito di forza e di razionalità, nel prendere atto di una debolezza non più rimediabile, tanto da diventare pubblica ed esplicita.

Come il dubbio (in altri contesti) così la coscienza della propria fragilità è il segno del moderno che contagia l’eternità della Chiesa e i suoi rituali. Il Papa conservatore, dottrinario, anziano, si spoglia davanti al mondo di ogni potere, compresa la rappresentanza divina per cui era stato prescelto. È come un ritorno alle origini, quando i Papi morti venivano denudati sulla paglia, perché con la vita perdevano i paramenti simbolici della loro potestà. Ma questo Papa – ecco l’inedito – è vivo, e ha deciso dopo aver «ripetutamente esaminato» la sua coscienza davanti a Dio, in piena libertà.

Per la prima volta nella storia della modernità un Papa sceglie di restituire le chiavi di Pietro che lo facevano mediatore tra il cielo e la terra (“Lo ciel poss’io serrare e disserrare”) e la tiara, simbolo del potere pontificio che fu anche temporale, ma resta supremo. Privato anche dell’anello piscatorio, che lo rendeva pescatore di uomini come Pietro, a Joseph Ratzinger delle insegne pontificie resterà solo la mitra, simbolo della sacralità del semplice sacerdozio: quella mitra che per Innocenzo III veniva però prima di tutto, fondamento di ogni potere, anche quello imperiale.

Nel gesto che Benedetto XVI aveva anticipato al suo biografo c’è un’esaltazione implicita della missione papale, per la prima volta segnalata al mondo davvero come “servizio”, così pesante e così totale da risultare insopportabile con il procedere della vecchiaia. E c’è una conferma nei fatti di ciò che Ratzinger ha sempre detto, la preparazione ad un’età della pensione senza più incarichi, per studiare, l’elezione nel conclave come uno choc, il ruolo papale come una sottomissione alla volontà divina e una sorta di spossessamento, nella convinzione fin dall’inizio che la debolezza dell’umano pontefice potesse venir superata soltanto dal compiersi del disegno divino, che per realizzarsi doveva produrre un sostegno e una guida quotidiana. Nella decisone presa da tempo in solitudine, deve aver pesato sul teologo e sull’uomo di Dio il timore della tentazione. La tentazione di scegliere il meglio per sé, la strada più comoda e più prossima alla vera, intima vocazione, quella dello studioso. La scorciatoia di azzerare con le dimissioni un potere curiale di vertice che non riusciva più a contrastare, pur percependolo come un ostacolo. Ma soprattutto la tentazione superba di ribellarsi alla volontà di Dio, che per la Chiesa porta attraverso lo Spirito Santo i cardinali in conclave a scegliere il Papa realizzando un disegno celeste. La razionalità e la fragilità, combinandosi insieme nella ragione che prende atto della debolezza, possono scombinare ciò che Dio ha disposto attraverso l’illuminazione dello Spirito? Un laico, vede il d i l e m m a d e l l ‘ u o m o c o stretto tra i d o v e r i universali d e l s u o ruolo e l’energia fisica e mor a l e c h e declina e chiede requie, e capisce la difficoltà della scelta. Ma un uomo di fede vive anche un d i l e m m a superiore, quello di chi si trova a mettere in discussione se stesso come strumento della volontà divina, di cui è il rappresentante sulla terra. In più, con l’esempio gigantesco di Giovanni Paolo II quando portò davanti al mondo come una testimonianza di martirio e una prova suprema di obbedienza i segni del male fisico che lo piegava.

La ragione, che nel messaggio culturale e teologico di Ratzinger è congiunta alla fede, ha infine prevalso, nella considerazione provvidenziale di uno specifico della fase in cui viviamo, che non si può eludere: le esigenze particolari del «mondo di oggi», come lo chiama il Papa, i suoi «rapidi mutamenti» pretendono «vigore sia del corpo che dell’animo» per governare la barca di San Pietro e annunciare il Vangelo. Soffrire e pregare è necessario, ma non basta. C’è qui il pessimismo teologico tedesco del Papa, l’angoscia della sfida dei tempi, il movimento circolare dell’umanità e degli orrori che produce, dunque l’Apocalisse, il ghigno di Mefistofele dietro la degenerazione dell’avere e del piacere che porta alla dissoluzione dell’autenticità nel nichilismo relativista, a quel Dio ritagliato da ognuno su misura dei propri bisogni e della propria disponibilità, un Dio comodo, personale, anche lui relativo. La battaglia suprema , per il teologo Ratzinger , che Papa Benedetto XVI non ha vinto.

Ma nell’ abbandono, l’uomo prevale sul teologo. Spiega tutto con l a s u a u m a n i t à infragilita che i paramenti non riescono a mascherare, con la pubblica rivelazione che quel vigore necessario oggi «negli ultimi mesi in me è diminuito in modo tale da dover riconoscere la mia incapacità di amministrare bene il ministero a me affidato». Da qui nasce la suprema rinuncia, spezzando una tradizione che vedeva i Papi sul trono fino alla morte, anche se una volta il rito della consacrazione prevedeva che si bruciasse la stoppa davanti agli occhi del nuovo Pontefice, e mentre si consumava in un attimo gli si ricordava proprio in quel momento di gloria che ” sic transit gloria mundi “.

Professore anche da Papa, Ratzinger non può aver certo ignorato la portata scandalosa, rivoluzionaria e dunque pedagogica del suo gesto. Se lo specifico della modernità chiede vigore e non solo saldezza di fede e di preghiera, il nuovo conclave non potrà non tenerne conto, nel valutare l’età dei candidati. Se l’istituto dell’abdicazione entra nei sacri palazzi, trasformando in una carica a tempo quello che era un regno eterno, non si può non pensare ad un Papa “politico”, nel senso di una scelta che tenga conto delle contingenze, delle esigenze dell’epoca. Se il Papa uscente misura se stesso con le regole mondane e materiali della forza fisica e morale, quelle regole varranno anche per il Papa entrante, per quelli che gli succederanno, e tutti da oggi sono legittimati ad usarle nei loro riguardi.

Infine, la portata simbolica. Per la prima volta c’è un Papa a scadenza, in carica ma con la data d’uscita prefissata, l’autorità intatta ma a termine. Per la prima volta, ancora, un conclave eleggerà il nuovo Pontefice di Santa Romana Chiesa mentre un altro pontefice da priore si è fatto abate, e vive in qualche palazzo romano. Per la prima volta, infine, due Papi cammineranno nel secolo, sbizzarrendo le profezie e moltiplicando i presagi, ma soprattutto coesistendo in una rappresentanza sdoppiata del divino cristiano su questa terra.

È impossibile che i reverendissimi cardinali riuniti tra poco in conclave non tengano conto di questo scarto senza precedenti, e non scelgano di adeguarsi con una scelta di innovazione che regga il passo di ciò che è infine avvenuto. Il grido di Giovanni Paolo II «non abbiate paura», suona adesso come un’urgenza di cambiamento. Il sacro è più umano e l’umano è portatore di contraddizioni, di fronte alla fissità dell’eterno. Guai a far finta di niente. Anche per la Chiesa da oggi nulla sarà più come prima.

 

EZIO MAURO

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2013/02/12/lirruzione-della-modernita.html

 

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