La proposta della Notte nel libro della Salita

Monte Tabor, Israele

Prima di iniziare l’esposizione del tema che mi è stato affidato: “La proposta della Notte nel libro della Salita”, desidero ringraziare il priore di questa Casa di Preghiera, padre Paolo Pietra, per avermi offerto l’opportunità di cimentarmi con la spiritualità del Santo Padre Giovanni della Croce, da sempre presente nella nostra realtà vocazionale OCDS e proposto quale guida del cammino spirituale del laico carmelitano, anche se poco conosciuto e compreso. Il mio impegno di studio è maturato nella meditazione della poesia In una Notte oscura e nella ripetuta lettura del primo libro della Salita del Monte Carmelo, inoltre ho cercato di collocare l’opera della Salita nel contesto della vita del Santo, per comprenderne la genesi e le motivazioni della stesura. È stata una ricerca impegnativa e coinvolgente che mi ha dato la possibilità di accostarmi «alla sua terrena vicenda, perché, secondo le parole del Cardinale Ballestrero nella Prefazione al libro le Opere, la sua storia costituisce forse la più utile e necessaria introduzione ai suoi scritti».
Le tappe della sua esistenza, dalla giovinezza sofferta, alla scelta di una vita religiosa carica di aspettative, ad una nuova visione della vocazione insieme a Teresa di Gesù, fino a giungere al carcere di Toledo e ai successivi incarichi di responsabilità, sono state un susseguirsi di situazioni complesse e di eroismi. Ho cercato di cogliere note e vibrazioni che mi mettessero in empatia con le sue parole e che parlassero concretamente alla mia vita, perché non credo si possa comprendere ed amare Giovanni della Croce senza essersi prima immedesimati nelle sue vicende familiari o nella prova esistenziale e spirituale del lungo periodo della detenzione o ancora nel suo anelito a svelare vizi e cattivi abiti che lasciano le anime nell’ignoranza di sé.
In una lettera a Madre Caterina di Gesù, datata 6 luglio 1581, accenna all’esperienza della detenzione, con queste parole: «Dopo che quella balena mi inghiottì e mi vomitò su questo porto straniero». Come il profeta Giona, san Giovanni ritiene di essere stato chiamato a sperimentare una profonda trasformazione interiore nel ventre della balena e poi di essere stato rigettato sulle rive di una nuova coscienza. Pure nel capitolo sesto della Notte Oscura, descrivendo la metamorfosi profonda che Dio opera in una persona mediante la purificazione dello spirito dirà: «Accade (all’anima) come se, inghiottita da una fiera, sentisse di essere digerita nel ventre tenebroso di essa, soffrendo le angustie provate da Giona, mentre si trovava nel ventre del cetaceo. Tuttavia, le conviene rimanere in questo sepolcro di oscura morte in vista della resurrezione spirituale che l’attende». Quest’ultima affermazione svela il valore spirituale attribuito da san Giovanni alla sua prigionia e le parole del cantico di Giona sembrano adatte a raccontare la sua notte dello spirito:

“Nella mia angoscia
ho invocato il Signore
ed egli mi ha risposto;
dal profondo degli inferi ho gridato
e tu hai ascoltato la mia voce”.

Dopo aver attraversato tenebre, travagli spirituali e temporali, «che solo chi passa per questa dura prova è capace di sperimentare» (Prologo del libro Salita del Monte Carmelo), il Santo giunto alla meta dell’unione, sulla vetta si prodiga a dare una mano a quanti si accingono a scalare l’erta montagna. Mi hanno commosso le testimonianze del suo tratto umano, del modo di accogliere quelli che a lui si accostavano, del metodo di cui si serviva nella direzione spirituale: «Cappellano del monastero dell’Incarnazione ad Avila, tollerava le imperfezioni delle monache, anche se molte volte le metteva in evidenza e le faceva avanzare, ognuna al proprio passo imperfetto, verso la perfezione, ma senza violenza: con mezzi deboli le conduceva al rigore. Era piuttosto con la sua tenerezza e la sua prudente pazienza che egli le obbligava più che mai» (Ian Matthew, L’impatto di Dio). Scriveva biglietti e lettere per la direzione spirituale e una monaca li ha ricordati con nostalgia: «Aveva il dono di consolare quelli che venivano da lui, con le sue parole e con i biglietti che scriveva, dei quali ne ho ricevuto qualcuno anch’io: si trattava di qualche annotazione su cose spirituali che adesso mi piacerebbe avere» (cit. Ibidem).
Altre sue penitenti così lo descrivono: «Era così santo che sembrava che qualsiasi parola gli dicessimo, aprisse una nuova strada per lui». Era un condiscepolo, non semplicemente un maestro (cit. Ibidem), perché si metteva umilmente insieme agli altri alla scuola di Cristo, unico e solo maestro. Dopo questa breve premessa, vorrei soffermarmi sulla redazione dell’opera.
Il titolo originale rilevato dai manoscritti, è Notte oscura della Salita del monte Carmelo, riproposto, successivamente, dallo stesso autore in Fiamma B – 1,25.
Oggi, Salita del Monte Carmelo.
Il titolo contiene già la proposta della notte oscura, cioè il cammino dell’anima verso l’unione con Dio sulla cima del Monte.
Nelle pagine iniziali sono inseriti:

  • disegno del Monte della perfezione,
  • epigrafe e argomento,
  • strofe della poesia “In una Notte Oscura”,
  • prologo che preannuncia le motivazioni della stesura,
  • seguono i tre libri dell’opera.
    Dalla testimonianza di fra’ Giovanni Evangelista, compagno di san Giovanni che ricopiava i manoscritti dell’opera, sappiamo che la redazione è andata avanti ad intervalli e molto lentamente, a seconda degli impegni dell’Autore. L’opera non fu portata a termine e non si conoscono le motivazioni che determinarono la mancata stesura del capitolo quarto, preannunciato nel prologo.
    Il contenuto del Prologo è di molta importanza per conoscere la necessità e l’urgenza che muovono il Santo a progettare la redazione dell’opera. L’autore si definisce non idoneo, per scienza ed esperienza. Si affida all’aiuto di Dio e alla Sacra Scrittura, perché parola dello Spirito Santo, inoltre è mosso dalla convinzione che il Signore lo aiuterà a dire qualcosa per le necessità che hanno molte anime di progredire nella strada della virtù.
    Presenta diverse situazioni spirituali dei principianti e dei proficienti che ostacolano il cammino di purificazione per giungere all’unione, tra cui quella di non raggiungere lo scopo a causa di una scarsa conoscenza del proprio stato e per l’assenza o l’incompetenza di confessori e di direttori spirituali che li capiscano e li guidino rettamente. Tra le righe del prologo traspare la sua preoccupazione per tutte le anime che non si sottomettono e non si abbandonano al Signore e rimangono sempre ai primi gradi della perfezione. «È cosa dolorosa vederne alcune le quali, sebbene lavorino e si affatichino molto, tornano indietro perché ripongono il frutto del loro avanzamento in ciò che non giova».
    Il messaggio non è rivolto a tutti, ma a frati e monache appartenenti alla santa religione dell’Ordine primitivo del monte Carmelo, già posti nel sentiero che conduce alla cima del monte e perciò quasi completamente distaccati dai beni del mondo.
    Chi sono i principianti? I principianti sono persone spirituali che vivono la loro prima conversione, ma a causa dell’esercizio della libertà vissuto in maniera sbagliata, non riescono ancora a rispondere a Dio con maturità umana e spirituale, perché agiscono secondo il gusto dei sensi. Nella vita spirituale si esercitano con la meditazione e devono passare attraverso la purificazione-notte dei sensi, per essere introdotti nello stato di contemplazione. Sono persone con un’esperienza religiosa abbastanza seria. Il Santo riconosce il loro valore e cerca di incitarli a superare il loro stallo spirituale.
    Chi sono i proficienti? Persone spirituali, introdotte dal Signore nella purificazione-notte dello spirito, per passare allo stato di unione con Lui.
    Gli stati del principiante e del proficiente sono determinati da Dio e rappresentano il percorso dalla meditazione alla contemplazione, dal dominio del senso alla sua liberazione per mezzo della purificazione.
    Nell’argomento, il Santo mette in evidenza l’importanza della poesia, che contiene tutta la dottrina che utilizzerà per spiegare il modo di raggiungere la cima del monte, cioè l’alto stato di perfezione, che chiama unione dell’anima con Dio. Nello sviluppo del progetto, in realtà, spiegherà e commenterà soltanto le prime due strofe.
    La poesia è di straordinaria bellezza e armonia, non a caso Giovanni della Croce è considerato uno dei maggiori poeti in lingua spagnola. Il poeta ha il dono sublime di raccontare in versi la sua esperienza spirituale unendola alla forza espressiva e figurativa di alcuni simboli: la notte oscura, la scala segreta, la casa addormentata, il petto fiorito, ogni simbolo nasconde il percorso della sua esperienza mistica.
    Soffermiamoci sui significati attribuiti dallo stesso autore ai simboli della prima strofa.
    Notte oscura: purificazione dell’anima che cammina al buio; liberazione dai gusti e mortificazione degli appetiti.
    In amori infiammata: l’anima è condotta da Dio e infiammata dalla forza d’amore dello Sposo.
    Sorte felice: come quella di un prigioniero che riesce ad acquistare la libertà; stato beato dell’anima per essere stata introdotta da Dio in questa notte, che le sarà fonte di bene.
    Senza essere notata: non impedita da nessun appetito della carne.
    Casa addormentata: parte sensitiva (casa di tutti gli appetiti) addormentata, poiché gli appetiti sono stati domati e costretti al riposo.
    Il Santo narra la felice sorte dell’anima, che è introdotta da Dio nella notte oscura, libera dai disordini della parte sensibile dell’uomo, riguardante le cose del mondo, della carne e dai gusti della sua volontà.
    L’anima unita all’Amato-Sposo è infiammata da un grande amore, che le consente di vincere la forza degli appetiti e di trovare il coraggio di restare al buio di tutte le cose, riuscendo a fuggire da una prigione e a conquistare la libertà, senza che nessuno glielo possa impedire.
    Una fuga nella notte! La nostra immaginazione ci guida a rappresentare una romantica fuga dell’anima in cerca di Dio, infiammata dal desiderio e dall’amore. Fuga per il compimento di un progetto sublime, un progetto di unione, che non viene ostacolato dalla quiete e dal sopore della casa addormentata. Oppure potremmo riconoscere in questa evasione la spericolata fuga del recluso fra’ Giovanni, che attraverso un’apertura del carcere del convento del Carmine di Toledo, esce incontro alla libertà conquistata.
    Nel capitolo 15 del primo libro della Salita, continuando a spiegare i versi della prima strofa, dirà: «L’anima, usando la metafora del prigioniero, stima sorte felice quella di chi trovandosi in questo misero stato riesce ad acquistare la libertà senza che nessun carceriere glielo possa impedire. A questo scopo (acquistare libertà) le giovò entrare nella notte oscura che consiste nella liberazione di tutti i gusti e nella mortificazione di tutti gli appetiti».
    A conferma della sua tesi dottrinale, riguardante la liberazione conquistata grazie alla notte oscura, alle monache che lo accoglieranno dopo la fuga, confiderà quanto l’esperienza del carcere sia stata preziosa per lui. Infatti, la notte che il Signore gli aveva fatto provare, anche se dura e lunga, si era rivelata luminosa e piena di consolazioni e che per poterla capire fino in fondo, ognuno avrebbe dovuto farne esperienza personale, perché il cammino per andare a Dio è diverso per ogni persona.

Gerusalemme, Via dolorosa, Arco dell’Ecce Homo

La notte nel primo libro della Salita

Ci accostiamo al libro della Salita, per conoscere e comprendere i consigli che il Santo rivolge alle persone spirituali per giungere alla vetta del monte che è Cristo Gesù. L’imperativo categorico di tutta l’opera sarà quello di andare a Dio e passare dalle tenebre alla luce spogliandosi di tutti i propri appetiti.
Sappiamo che san Giovanni ha toccato i vertici dalla bellezza nei testi poetici e anche quelli della durezza ascetica nei commenti in prosa. Egli spiega, approfondisce e schematizza le immagini e le intuizioni mistiche che sono sgorgate nella poesia. Ci prepariamo, quindi, ad incontrarlo in questa nuova veste, che può sembrare intransigente e rigorosa, ma che in realtà nasconde la fisionomia di un buon medico che cura con coraggio una malattia perniciosa o di un padre che vuole allontanare il figlio dal pericolo imminente o da una cattiva strada.
Il Santo inizia la sua proposta spiegando la prima strofa della poesia e, come aveva già preannunciato nel prologo, propone una dottrina solida e sostanziosa per definire in ogni particolare, la metodologia adatta a coloro che vogliono seguire l’essenzialità del cammino spirituale. È un progetto educativo che per essere accolto deve essere compreso, per questo è necessario leggere e meditare più volte le parole del Santo.
Vorrei proporre alcune linee generali per presentare quello che il santo Dottore vuole insegnare a chi si avvicina alle falde del Monte.
L’obiettivo generale, che verrà ripetuto svariate volte nel corso dello sviluppo dell’opera, è di fare comprendere la natura della notte oscura, della purificazione, attraverso la quale l’anima passa per giungere alla divina luce dell’unione perfetta di amore con Dio.
Destinatari: l’insegnamento è rivolto alle persone spirituali, principianti, che hanno vissuto una prima conversione, che hanno già fatto i primi passi nella via della virtù e che devono prendere coscienza dello stato in cui si trovano, confrontandosi con le esigenze della chiamata divina.
Risorse e mezzi:

  • Aiuto di Dio e fiducia nel suo sostegno.
  • Sacra Scrittura, parola dello Spirito Santo.
  • Per quanto possibile, uso dell’esperienza e della scienza.

    Situazione di partenza: il primo obiettivo sarà quello di scoprire il malessere spirituale del principiante, il suo attaccamento ai beni sensibili o alle cose create. Si valuterà la sua capacità d’amare.
    Metodo: oltre ad indicare la meta da raggiungere, il santo Dottore si preoccupa di accompagnare le persone verso la rinascita in Dio. L’accompagnamento spirituale aiuterà a conoscere lo stato dell’anima; contemporanea sarà la proposta di mortificazione e purificazione degli appetiti.
    È importante attribuire il giusto significato al termine purificazione, che è quello di svuotare l’interiorità occupata in modo disordinato dagli appetiti, dagli affetti, dalle cose, per fare spazio a Dio. È l’ideale di un amore unico, in cui entrano tutti gli altri amori, perché Dio non esclude nulla dalla vita dell’uomo, anzi desidera aiutare a ricreare un nuovo rapporto con le cose e le persone nella verità e nella libertà. Questa premessa è fondamentale per comprendere l’obiettivo che desidera perseguire il Santo quando parla di purificazione, che è quello di rigenerare la persona guarendola dai danni prodotti dagli affetti e dagli appetiti che contrastano e resistono a Dio.
    Lessico sanjuanista: san Giovanni definisce parti inferiori della natura umana quelle del senso e parti superiori quelle spirituali. Se le prime hanno il sopravvento sulla parte spirituale dell’uomo, i desideri e le affezioni saranno vissuti fuori dalla comunione divina producendo una infinita serie di malesseri, quali l’agitazione, l’ansia, il disordine morale, che in fondo sono fame e sete di Dio.
    Appetiti: il Santo dà il nome di appetiti alle forze dei sensi. L’appetito (stimolo, impulso ad appagare i propri desideri) racchiude in sé vari elementi sensitivi, passionali, intellettuali e spirituali che coinvolgono tutto l’uomo, i suoi desideri e le sue aspirazioni.
    Per san Giovanni la parola appetito può avere due aspetti:
  • appetiti al plurale, è un primo aspetto che contraddistingue una componente viziosa che indica una tendenza disordinata;
  • appetito al singolare, è l’altro aspetto che contraddistingue un senso positivo che indica la negazione del disordine e la ricerca dell’unico desiderio dell’uomo (costante desiderio di imitare Cristo). Tutto quello chi si trova al di fuori di questo costante desiderio di imitare Cristo è amore di se, mascherato di spiritualità.
    Nel primo libro, per 10 capitoli, il santo dottore proporrà una dettagliata analisi, sorretta e accompagnata dalla parola di Dio, dello stato interiore dell’uomo, che ha perso se stesso e si è asservito agli appetiti che lo hanno reso schiavo di sé e delle creature. È un’analisi che aiuta il principiante a conoscersi, a vincere l’ignoranza del proprio stato e ad acquisire la consapevolezza necessaria per progredire nel proprio sviluppo umano e spirituale.
    Le due notti: nei primi capitoli dell’opera, san Giovanni descrive due notti: la purificazione-notte dei sensi (parte inferiore della natura umana), riservata ai principianti e la purificazione-notte dello spirito (parte superiore della natura umana), per i proficienti. Chiama notte quello stato in cui gli appetiti vengono privati dal gusto, così tale mortificazione si può dire notte dell’anima, perché quest’ultima resta vuota e avvolta nelle tenebre
    Spiega tre motivi della notte facendo riferimento anche alle tre notti di Tobia e alle parti della notte naturale:
    1 inizio del cammino:
  • rinuncia a tutti i beni temporali, che per i sensi dell’uomo è una vera notte;
  • prima notte, Tobia brucia il cuore del pesce, simbolo di attaccamento ai beni sensibili;
  • parte del senso, uguale al calar delle tenebre;
    2 via per tendere all’unione:
  • luce della fede che per l’intelletto è oscura come la notte;
  • seconda notte, Tobia è annoverato tra i Patriarchi, padri della fede;
  • parte della fede, uguale alla mezzanotte con oscurità profonda;
    3 meta a cui è diretta:
  • Dio, notte oscura per l’anima, finché rimane nel mondo;
  • terza notte, Tobia ottiene la benedizione di Dio e si unisce alla sposa, con timore di Dio;
  • parte di Dio che somiglia all’alba, allo spuntare delle prime luci.
    In relazione a tutte le potenze: udito, vista, olfatto, gusto, tatto, l’anima che rinuncia e allontana da sé il gusto di tutte le cose, si trova al buio ed è completamente vuota, perché non può ricevere niente se non quello che le comunicano i sensi. La privazione però, non è sufficiente a spogliare l’anima, finché essa ne coltiverà il desiderio. Solo quando riuscirà a mortificare gusto e appetito, essa rimarrà libera e vuota.
    Nei capitoli 4 e 5, la proposta riguarda l’assoluta necessità per l’anima di incamminarsi verso l’unione con Dio e di passare attraverso la notte oscura del senso, tramite la mortificazione degli appetiti e la rinunzia del gusto in tutte le cose e nel rapporto con le creature. San Giovanni propone alla meditazione dei suoi lettori l’enorme divario esistente tra la creatura e Dio fornendo vari concetti in antitesi o in opposizione, mediante svariate citazioni bibliche.
    Luce – tenebre; miseria – nobiltà; beltà – somma deformità; gentilezza – scortesia; bontà – malizia; schiavitù – libertà. Nelle contrapposizioni il Santo mette in evidenza l’enorme lontananza tra l’essenza della creatura e quella del Creatore. Solo nell’unione l’anima trova la libertà di spirito; la vera ricchezza è nella trasformazione in Dio. Così come il Figlio di Dio è venuto ad insegnare: «Chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo» (Luca 14,33). Propone come esempio da imitare, gli atti ordinati alla sua gente dal patriarca Giacobbe quando si disponeva a salire sul monte Betel, per edificare un altare a Dio (Gn 35,2):
  • per prima cosa l’anima getti via tutti gli idoli stranieri, cioè tutti gli attaccamenti e gli affetti estranei a Dio;
  • per mezzo della notte oscura del senso, si purifichi dalle scorie lasciate in essa dagli appetiti, rinnegandoli e pentendosene continuamente;
  • in ultimo poi, il lavoro che l’anima deve compiere per giungere a questo monte sublime, è quello di cambiare le vesti, che il Signore stesso muterà da vecchie in nuove. Egli infatti, porrà in essa una nuova conoscenza di Dio in Dio, facendole porre da parte l’antico modo umano di conoscere, poiché la volontà ormai è vuota di tutti i suoi antichi affetti e gusti umani. Istillerà inoltre nell’anima una nuova notizia, perché ormai sono state cacciate le altre notizie e le antiche immagini; sospenderà tutto ciò che apparteneva all’uomo vecchio, cioè le capacità dell’essere naturale e rivestirà l’anima di nuove attitudini soprannaturali.
    I danni degli appetiti: dal cap. 6 al cap. 10 – Il Santo prosegue il suo dettagliato esame dei comportamenti spirituali imperfetti, per aiutare la conoscenza del proprio stato e guidare il cammino ascetico nella consapevolezza della propria situazione. Analizza i danni che gli appetiti causano all’anima e ne mette in evidenza due tipi:
  • il danno privativo, che priva l’anima dello spirito di Dio – Finché l’anima si assoggetta alle attrattive del senso non può ricevere il puro Spirito di Dio, perché l’affetto per Dio e quello per le creature sono contrari e quindi non possono essere contenuti nella stessa volontà;
  • il danno positivo, in 5 aspetti:
    • gli appetiti stancano e affaticano l’anima, perché sono come bambini inquieti, difficili da contentare e chiedono continuamente alla madre ora questa ora quella cosa;
    • gli appetiti tormentano e affliggono – quanto più l’appetito è intenso, tanto più grande è il tormento dell’anima, cosicché l’uno è in proporzione all’altro; più appetiti possiede l’anima, più è tormentata;
    • gli appetiti accecano e oscurano – l’anima che è occupata dagli appetiti ha l’intelletto ottenebrato e non permette che il sole della ragione naturale o quello soprannaturale della sapienza di Dio la investano e la illuminino. L’intelletto non ha la capacità di ricevere il lume della sapienza di Dio. La volontà non è in grado di abbracciare in sé Dio in puro amore, non è capace di scoprire il bene e non possiede la verità. La memoria, offuscata dalle tenebre dell’appetito, non può riprodurre, con chiarezza, l’immagine di Dio. L’appetito acceca ed oscura l’anima, perché di per sé è cieco, infatti da parte sua non ha intendimento alcuno e deve essere guidato dalla ragione;
    • gli appetiti insudiciano e macchiano – l’anima che arde dal desiderio di qualche cosa, proprio a causa del calore di questo desiderio, rimane immonda e macchiata. Qualsiasi appetito, anche se ha per oggetto una minima imperfezione, macchia e insudicia l’anima;
    • gli appetiti intiepidiscono e debilitano, in modo da rendere difficile all’anima di praticare la virtù e di perseverare in essa. L’appetito le cui forze vengono disperse, diviene molto più debole di quello che non sarebbe se tendesse, integro, al conseguimento di un unico oggetto. Quanto più numerose sono le cose in cui si divide, tanto minor vigore avrà per ciascuno di esse. L’anima, non protesa in un unico desiderio di Dio, perde il calore e il vigore nella virtù.
    Per attualizzare l’analisi severa che il Santo Padre ci propone, vorrei dare lettura del commento che padre Massimiliano Herraiz fa in merito a questi capitoli nella sua opera «Chi è l’uomo? E dove va?». Possiamo trovare qui un’immagine realistica della nostra società: non c’è molta luce nella testa per scoprire i veri valori e non c’è forza di volontà per attaccarsi ad essi e realizzarli. Così per esempio si comincia un cammino e alla prima difficoltà lo si abbandona…Oppure, non riusciamo quasi più a dialogare perché non abbiamo niente da dire, manca l’interiorità: mancano una mente, una ragione purificata e una volontà, un cuore che voglia veramente cercare il bene e abbracciarlo e quindi per questo dialogare, ascoltare, studiare, pregare».

Gerusalemme, Via dolorosa, XII stazione, Basilica del Santo Sepolcro – altare della crocifissione

Il progetto educativo

Nel capitolo 11, san Giovanni della Croce si sofferma a fare alcune osservazioni in merito al progetto educativo che ha proposto. «Mi sembra che il lettore desideri da tempo chiedermi se, per giungere a questo alto stato di unione, sia prima necessario mortificare tutti gli appetiti, grandi e piccoli, o solo alcuni di essi, non curandosi degli altri, di quelli che sembrano meno pericolosi. Pare infatti, che sia impresa molto ardua e difficile per un’anima, quella di pervenire a tale grado di purezza e di nudità, da non avere più desiderio e affezione per nessuna cosa». Ai bisogni dei lettori il Santo risponde con alcuni chiarimenti, anche per rendere più comprensivo e accessibile il cammino proposto. Afferma che non tutti gli appetiti sono di danno e di ostacolo all’anima e fa le seguenti distinzioni:

  • appetiti naturali e involontari sono quei moti a cui la volontà non partecipa, perché non viene dato loro consenso e poco impediscono l’unione con Dio
  • appetiti volontari tendono al peccato mortale, al peccato veniale e alle imperfezioni; ne basta uno solo, benché minimo e non mortificato per impedire l’unione.
    «La ragione di ciò va ricercata nel fatto che questa unione consiste nella totale trasformazione della nostra volontà in quella di Dio, di modo che in essa niente vi sia di contrario al volere dell’Altissimo, ma ogni suo atto dipenda totalmente dal beneplacito divino. Per tale ragione affermo che in questo stato di unione non esistono più due volontà, ma una sola, quella di Dio, la quale è anche volontà dell’anima».
    Il Santo Padre pone l’accento sulla necessità di svuotarsi da ogni appetito e in particolare mortificare la causa che lo produce, poiché queste imperfezioni a cui l’anima è attaccata e di cui si è formato l’abito, costituiscono un grave ostacolo per progredire nella virtù. Per questo attaccamento, non solo non si progredisce ma, quel che è peggio, si torna indietro. «Tali imperfezioni abituali sono, per esempio, l’uso comune di parlar molto, piccoli attaccamenti a qualcosa che l’anima non si decide mai a superare, come l’affetto per una persona, per un vestito, per una cella, per un determinato genere di cibi, di conversazione, per certe piccole soddisfazioni, per il desiderio di sapere, di udire e simili».
    È superfluo ricordare che l’anima, finché non si sarà liberata da queste imperfezioni, anche se minime, non potrà fare alcun progresso nelle vie della perfezione. Non ha importanza che sia sottile o grosso il filo con cui è legato un uccello, perché questo rimarrà prigioniero, sia nell’uno che nell’altro caso, fino a quando non l’avrà spezzato.

Gerusalemme, Via dolorosa, XIII stazione, Basilica del Santo Sepolcro – letto di pietra dell’unzione

Il chiarimento dei dubbi

Il capitolo 12 è riservato al chiarimento dei dubbi che il lettore può sentire affiorare:

  • Qualsiasi appetito è sufficiente a produrre nell’anima il danno privativo e quello positivo?
  • Ogni appetito, anche se minimo e a qualunque specie appartenga, basta a causare tutti quei disordini o ne produce uno solo, per esempio, tormenta l’anima, l’altro la stanca e così via?
    Il danno privativo, quello cioè per cui l’anima è privata di Dio, è prodotto totalmente solo dagli appetiti volontari del peccato mortale, l’unico che in questa vita toglie all’anima la grazia e nell’altra la gloria, vale a dire il possesso di Dio.
    «Gli appetiti che sono materia di peccato mortale, sia quelli volontari che costituiscono peccato veniale o imperfezione, presi a uno a uno, sono sufficienti a causare tutti gli effetti del danno positivo, sebbene anch’esso sia privativo, perché indica il ripiegarsi dell’anima verso le creature, mentre quello che ho chiamato privativo ne mette in risalto l’allontanarsi da Dio.
    Ogni atto di un appetito volontario produce nell’anima tutti quei mali perché è direttamente contrario a un atto di virtù, da cui procedono altrettanti effetti buoni».
    Un atto di virtù genera e provoca nell’anima soavità, pace, conforto, luce, purezza e forza, mentre un’inclinazione disordinata causa tormento, fatica, stanchezza, cecità e debolezza. Come tutte le virtù crescono con l’esercizio di una, così tutti i vizi prendono vigore con l’aumentare di uno di essi.
    Concludo questo momento di approfondimento e di riflessione, consigliando la lettura ripetuta del libro della Salita e il ritorno alla meditazione di un testo antico: l’Imitazione di Cristo, inoltre, vorrei dare lettura di alcune esclamazioni del Santo presenti nel primo della Salita, perché più di tante altre parole, ne rivelano il cuore colmo di grande passione educativa per l’umanità ferita dal peccato e dagli appetiti, tanto da caldeggiare una più adeguata direzione di quelle anime che intraprendono il cammino spirituale: «I maestri di spirito si preoccupino fin dal principio di spingere i loro discepoli alla mortificazione di tutti gli appetiti per liberarli da tante miserie, abbiano cura di spogliarli dei desideri che prima avevano».
    «Oh! se gli uomini sapessero di quanta abbondanza di luce divina sono privati a causa di questa cecità, dovuta ai loro affetti e ai loro appetiti, e in quanti mali e danni cadono ogni giorno perché non li mortificano!
    Non devono fidarsi di una intelligenza discreta e dei doni ricevuti da Dio per credere che gli appetiti e gli affetti, se ne possiedono, non abbiano la possibilità di oscurare e di accecare l’anima o di lasciarla cadere a poco a poco sempre più in basso.
    Oh! se le persone spirituali sapessero quanti beni, e quale abbondanza di spirito perdono, perché non vogliono finire di liberare l’appetito da cose di nessun valore, e come in questo semplice cibo dello spirito troverebbero il sapore di tutte le cose, se si astenessero dal gustarle»
    Questa breve sintesi del primo libro della Salita, ci consente un primo approccio per studiare la spiritualità del Santo e fare nostri i suoi accorati inviti a mortificare gli appetiti, per imparare a vivere la notte dei sensi e dello spirito e a camminare nelle aspre vie del monte della perfezione incontro a Gesù Cristo.
    Continueremo domani a riflettere sulle norme che il Santo Padre consiglia per mettere in atto questo splendido progetto.

Gerusalemme, Basilica del Santo Sepolcro, entrata alla Edicola del Santo Sepolcro

Commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.