Messa di papa Francesco con un migliaio di vescovi presenti alla Gmg. Da giovane volevo andare missionario nel lontano Giappone. Annunciare il Vangelo “non è semplicemente aprire la porta per accogliere, ma è uscire dalla porta per cercare e incontrare! Con coraggio pensiamo alla pastorale partendo dalla periferia, partendo da coloro che sono più lontani, da coloro che di solito non frequentano la parrocchia”.
Rio de Janeiro (AsiaNews) – “Vivere in Cristo”, che “non è isolarsi, ma è un rimanere per andare all’incontro con gli altri”, annunciare il Vangelo ed educare i giovani alla missione, che “non è semplicemente aprire la porta per accogliere, ma è uscire dalla porta per cercare e incontrare”, promuovere la cultura dell’incontro, andando controcorrente a quella “cultura dell’esclusione”, “dello scarto” presente in molti ambienti contemporanei. Sono i tre “aspetti della vocazione” del vescovo e del sacerdote evidenziati oggi da papa Francesco nel corso della messa celebrata nella Cattedrale di São Sebastião do Rio de Janeiro, anche fisicamente, alla Chiesa di tutto il mondo. Ad ascoltarlo, infatti, ci sono un migliaio di vescovi presenti alla 28ma Giornata mondiale della gioventù, sacerdoti e seminaristi.
La riflessione sulla “vocazione” dà anche occasione al Papa di rivelare che in gioventù avrebbe voluto fare il missionario in Giappone, ma poi capì che la sua terra di missione era la sua Argentina.
Ed è nella prospettiva della Gmg, che vede vescovi e sacerdoti intenti ad annunciare il Vangelo ai giovani, “perché incontrino Cristo, luce per il cammino, e diventino costruttori di un mondo più fraterno”, papa Francesco ha posto l’accento su “tre aspetti della nostra vocazione: chiamati da Dio; chiamati ad annunciare il Vangelo; chiamati a promuovere la cultura dell’incontro”-
“Chiamati da Dio. E’ importante ravvivare in noi questa realtà, che spesso diamo per scontata in mezzo ai tanti impegni quotidiani: «Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi», ci dice Gesù. E’ riandare alla sorgente della nostra chiamata. All’inizio del nostro cammino vocazionale c’è un’elezione divina. Siamo stati chiamati da Dio e chiamati per rimanere con Gesù”.
“Questo vivere in Cristo in realtà segna tutto ciò che siamo e facciamo. E questa “vita in Cristo” è precisamente ciò che garantisce la nostra efficacia apostolica, la fecondità del nostro servizio”. “Non è la creatività pastorale, non sono gli incontri o le pianificazioni che assicurano i frutti, ma l’essere fedeli a Gesù, che ci dice con insistenza: «Rimanete in me e io in voi». E noi sappiamo bene che cosa significa: contemplarLo, adorarLo e abbracciarLo, in particolare attraverso la nostra fedeltà alla vita di preghiera, nel nostro incontro quotidiano con Lui presente nell’Eucaristia e nelle persone più bisognose. Il “rimanere” con Cristo non è isolarsi, ma è un rimanere per andare all’incontro con gli altri”. “È nelle “favelas”, nei “cantegriles”, nelle “villas miseria”, che si deve andare a cercare e servire Cristo. Dobbiamo andare da loro come il sacerdote si reca all’altare, con gioia». Gesù, Buon Pastore, è il nostro vero tesoro, cerchiamo di fissare sempre più in Lui il nostro cuore”.
“Chiamati ad annunciare il Vangelo. Carissimi Vescovi e sacerdoti, molti di voi, se non tutti, siete venuti per accompagnare i vostri giovani alla loro Giornata Mondiale. Anch’essi hanno ascoltato le parole del mandato di Gesù: “Andate e fate discepoli tutti i popoli”. E’ nostro impegno aiutarli a far ardere nel loro cuore il desiderio di essere discepoli missionari di Gesù. Certo, molti di fronte a questo invito potrebbero sentirsi un po’ spaventati, pensando che essere missionari significhi lasciare necessariamente il Paese, la famiglia e gli amici. Ricordo il mio sogno da giovane: andare missionario nel lontano Giappone. Dio, però, mi ha mostrato che la mia terra di missione era molto più vicina: la mia patria. Aiutiamo i giovani a rendersi conto che essere discepoli missionari è una conseguenza dell’essere battezzati, è parte essenziale dell’essere cristiani, e che il primo luogo in cui evangelizzare è la propria casa, l’ambiente di studio o di lavoro, la famiglia e gli amici”.
“Non risparmiamo le nostre forze nella formazione dei giovani!”. “Aiutiamo i nostri giovani a riscoprire il coraggio e la gioia della fede, la gioia di essere amati personalmente da Dio, che ha dato suo Figlio Gesù per la nostra salvezza. Educhiamoli alla missione, ad uscire, ad andare. Gesù ha fatto così con i suoi discepoli: non li ha tenuti attaccati a sé come una chioccia con i suoi pulcini; li ha inviati! Non possiamo restare chiusi nella parrocchia, nelle nostre comunità, quando tante persone sono in attesa del Vangelo! Non è semplicemente aprire la porta per accogliere, ma è uscire dalla porta per cercare e incontrare! Con coraggio pensiamo alla pastorale partendo dalla periferia, partendo da coloro che sono più lontani, da coloro che di solito non frequentano la parrocchia. Anche loro sono invitati alla mensa del Signore”.
“Chiamati a promuovere la cultura dell’incontro. Purtroppo, in molti ambienti, si è fatta strada una cultura dell’esclusione, una “cultura dello scarto” Non c’è posto né per l’anziano né per il figlio non voluto; non c’è tempo per fermarsi con quel povero sul bordo della strada. A volte sembra che per alcuni, i rapporti umani siano regolati da due “dogmi” moderni: efficienza e pragmatismo. Cari Vescovi, Sacerdoti, Religiosi e anche voi Seminaristi che vi preparate al ministero, abbiate il coraggio di andare controcorrente. Non rinunciamo a questo dono di Dio: l’unica famiglia dei suoi figli. L’incontro e l’accoglienza di tutti, la solidarietà e la fraternità, sono gli elementi che rendono la nostra civiltà veramente umana”.
“Essere servitori della comunione e della cultura dell’incontro! Lasciatemi dire, che dovremmo essere quasi ossessivi in questo senso. Non vogliamo essere presuntuosi, imponendo “le nostre verità”. Ciò che ci guida è l’umile e felice certezza di chi è stato trovato, raggiunto e trasformato dalla Verità che è Cristo e non può non annunciarla”.
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