Francesco – Maria

Perché il papa ha posto al centro della veglia per la pace la più venerata immagine della Madre di Dio conservata a Roma. Una storia di fede che risale a Gregorio Magno. Il commento di padre Innocenzo Gargano. ROMA, 12 settembre 2013 – A distanza di giorni diventa sempre più percepibile la straordinarietà della veglia presieduta da papa Francesco in piazza San Pietro, la sera di sabato 7 settembre.

 

Anzitutto il motivo: una giornata di digiuno e di preghiera per invocare la pace in Siria, in Medio Oriente e dovunque c’è guerra. Con la partecipazione non solo di cattolici ma di uomini di ogni religione o semplicemente “di buona volontà”. Non solo a Roma ma in numerose città del mondo.

Poi la durata. Non si ricorda una veglia pubblica di preghiera di quattro ore consecutive, dal tramonto a notte fonda, alla presenza costante del papa.

Poi ancora il silenzio. Nell’intero arco della veglia il raccoglimento delle centomila persone che gremivano piazza San Pietro e le aree antistanti è stato intenso e commosso. In sintonia con l’accentuata austerità della stessa presenza del papa.

Poi soprattutto la forma che ha assunto la preghiera. È cominciata con il rosario, la più evangelica e universale delle preghiere “popolari”, e con una meditazione di papa Francesco. È proseguita con l’adorazione del sacramento dell’eucaristia. È continuata con l’ufficio delle letture – cioè la salmodia notturna dei monaci – con la lettura di brani di Geremia, di san Leone Magno e del Vangelo di Giovanni. Si è conclusa con il canto del “Te Deum” e con la benedizione eucaristica impartita dal papa.

Ma forse ciò che ha più colpito i presenti è stato l’ingresso nella piazza, all’inizio della celebrazione, dell’icona mariana della “Salus Populi Romani”, sorretta da quattro alabardieri delle Guardie Svizzere e preceduta da due bambine con fasci di fiori. L’icona è stata intronizzata davanti a papa Francesco, che l’ha venerata devotamente. Ed è stata punto di riferimento dell’intera veglia, a lato dell’altare.

La datazione di questa icona della Madre di Dio, conservata nella basilica di Santa Maria Maggiore e denominata dal XIX secolo “Salus Populi Romani”, è controversa. Oscilla tra il VII e il XII secolo.

La tradizione sostiene che sia una copia, dipinta dall’evangelista Luca, di un’immagine di Maria col Bambino comparsa miracolosamente a Lydda in una chiesa costruita dagli apostoli Pietro e Giovanni.

Conservata dapprima a Bisanzio, si narra che l’icona arrivò a Roma via mare, accolta da papa Gregorio Magno sulle rive del Tevere.

Il cardinale Cesare Baronio, storico della Chiesa, scrisse che fu papa Gregorio a portare l’icona nella basilica di Santa Maria Maggiore, nel 590, al termine di una processione per invocare la cessazione di una delle più gravi pestilenze dell’urbe. In quell’occasione fu visto sopra la Mole Adriana l’arcangelo Michele che riponeva la spada nel fodero. La peste cessò e la Mole prese il nome di Castel Sant’Angelo.

Un’altra pestilenza cessò nel XVI secolo grazie all’intercessione della Madonna raffigurata in questa icona, quando san Pio V la portò in processione alla basilica di San Pietro.

I gesuiti accompagnarono le loro prime missioni con riproduzioni di questa icona, da loro veneratissima.

Pio XII le rese omaggio quando proclamò il dogma dell’Assunta nel 1950 e la incoronò nuovamente in San Pietro nel 1954, nel centenario della proclamazione del dogma dell’Immacolata.

Giovanni Paolo II associò una copia di questa icona alla Giornata Mondiale della Gioventù del 2000, a Roma.

E a partire da quella di Colonia del 2005, celebrata da Benedetto XVI, tutte le successive Giornate Mondiale della Gioventù hanno portato in pellegrinaggio una copia dell’icona della “Salus Populi Romani”, assieme alla Croce.

Anche papa Francesco l’ha voluta alla Giornata Mondiale della Gioventù di Rio de Janeiro, lo scorso mese di luglio. Eletto papa, la sua prima uscita era stata alla basilica di Santa Maria Maggiore, per inginocchiarsi in preghiera davanti a questa icona.

L’immagine in essa raffigurata è quella cosiddetta “Odigitria”: la Vergine tiene tra le braccia il Bambino che la guarda amorosamente mentre con la destra benedicente sembra indicare la via di cui la madre ben conosce la direzione e il cammino.

Colpisce in questa icona lo sguardo intenso di Maria, che invita a percorrere la strada indicata dal Figlio. Ella guarda lontano, proprio nella direzione indicata da lui. La sua mano destra, che sostiene il Bambino, ripete il gesto di Gesù e lo amplifica.

Nell’antico rituale romano, nella festa dell’Assunzione di Maria al cielo, l’icona della “Salus Populi Romani” accoglieva sulla porta della basilica di Santa Maria Maggiore l’icona di Cristo “acheropita” (non dipinta da mano d’uomo) conservata nel “Sancta Sanctorum” della residenza del papa al Laterano e portata fin lì in processione. In una sorta di danza tra le due icone, il Figlio rendeva omaggio alla Madre.

La decisione di papa Francesco di porre al centro della veglia per la pace questa icona della Madre di Dio – non una sua copia, ma l’originale – porta dunque in sé tutta la forza di significato della sua storia. In essa il papa vede la fede del popolo di Dio che per secoli, in tutti i momenti di crisi, si è stretto attorno a questa icona per impetrare un segno di grazia dal cielo, perché “ciò che è impossibile agli uomini non è impossibile a Dio”.

Nella nota che segue, padre Innocenzo Gargano entra in profondità nel significato della presenza dell’icona della “Salus Populi Romani” nella veglia indetta da papa Francesco.

Padre Gargano, monaco camaldolese, è stato priore del monastero romano di San Gregorio al Celio, fondato dal papa di cui prende nome, ed è grande studioso dei Padri della Chiesa e in particolare di questo insigne pontefice, al quale la storia di questa icona è particolarmente legata.

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SALVEZZA NON SOLO DEI ROMANI MA DEL MONDO INTERO

di Innocenzo Gargano

L’ostensione dell’icona autentica della “Salus Populi Romani” a conclusione del digiuno indetto da papa Francesco per ottenere dal Signore, tramite l’intercessione della Vergine Maria Madre di Dio, la pace in Siria, nel Medio Oriente e su tutta la faccia della terra, ha interrogato tantissimi fedeli.

Che senso poteva avere l’ostensione di questa icona, posta accanto all’altare e al Santissimo Sacramento con un papa Francesco quasi costantemente genuflesso?

Si può rispondere soltanto ricordando che un’icona non è mai riconducibile ad un quadro pittorico, quale che sia stato il genio artistico che lo ha prodotto, perché, a differenza di un semplice quadro, che sollecita lo sguardo dello spettatore a verificarne l’armonia e la bellezza, l’icona rende presente, a suo modo, la persona stessa che viene rappresentata.

Non solo. Ma essendo l’icona carica dell’energia di fede che le è stata consegnata da tutti coloro che di fronte ad essa, e grazie ad essa, hanno rivolto il loro cuore al Signore, essa distribuisce, a tutti coloro che l’accostano con fede, ciò che essa stessa ha ricevuto.

In particolare l’icona, questa icona – riconosciuta dalla Chiesa come occasione di particolari “mirabilia Dei” che noi chiamiamo abitualmente “miracoli” – riflette, riproduce e riversa nel cuore di chi le si rivolge con semplicità e con totale disponibilità alla volontà di Dio quelle stesse grazie delle quali fu pienamente gratificata la Vergine Madre di Dio, secondo la misura della fede di ciascuno.

L’icona autentica della “Salus Populi Romani” – e dunque non una riproduzione qualsiasi, come quelle che si portano spesso nei nostri portafogli – è carica di tutto questo. Infatti essa porta con sé l’eredità di fede delle generazioni cristiane che, sollecitate dall’archetipo al quale questa icona stessa rimanda, cioè alla Vergine Madre di Dio, hanno chiesto e ottenuto per fede: pace, sicurezza e salute come caparra della salvezza promessa a tutti da Gesù Suo Figlio, il Salvatore.

Da qui la particolare importanza che ha avuto sabato 7 settembre la presenza e l’ostensione dell’icona della “Salus Populi”, che diveniva così non più caparra di salvezza solo dei romani, ma del mondo intero, a conclusione del digiuno richiesto e ottenuto da papa Francesco con la partecipazione di milioni di cattolici, di cristiani, di credenti e di uomini di buona volontà, amanti dell’armonia del mondo e della pace.

Solo la basilica di Monreale con i suoi meravigliosi mosaici avrebbe potuto reggere il confronto con la visione paradisiaca di piazza san Pietro, in questa veglia vissuta dai popoli del mondo intero intorno all’altare e alla Parola di Dio, col Santissimo Sacramento, in compagnia dell’icona, alla presenza del papa.

 

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di Sandro Magister

http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1350597

 

 

 

Il riferimento a Monreale fatto da padre Innocenzo Gargano nelle sue ultime righe rimanda a un capolavoro assoluto dell’arte cristiana: la basilica eretta nel XII secolo dai re normanni a Monreale, sui monti sopra Palermo, interamente coperta al suo interno da mosaici che ripercorrono l’intero disegno di Dio sul mondo e sulla storia.

 

I mosaici che a Monreale narrano la creazione sono una vetta artistica e teologica dell’intero ciclo. Nella prima di queste raffigurazioni lo Spirito di Dio fende l’abisso con una energia impressionante, creando “armonia” dove prima era caos.

 

Ed è proprio l’armonia originaria impressa dalla sapienza di Dio al creato e tra gli esseri umani – cui fa contrasto l’irrompere del peccato e l’uccisione di Abele, di cui le guerre sono tragica eredità – il primo tema della meditazione svolta da papa Francesco nella veglia del 7 settembre:

 

“Dio vide che era cosa buona” (in allegato)

 

http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1350597

 

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