Edith Stein e san Giovanni della Croce

Simposio Internazionale
Edith Stein
Testimone per oggi,
Profeta per domani
Teresianum
Roma, ottobre 1998

di padre Steven Payne ocd*

Il tema che mi è stato assegnato, “Edith Stein e Giovanni della Croce” è certamente importante per lo studio della Stein. Giovanni della Croce appare spesso nei suoi ultimi scritti. Si era indirizzata a lui per la sua sicura direzione spirituale durante i suoi anni al Carmelo. Come ognuno di noi sa, l’ultima e la più famosa opera di Edith Stein, Scientia Crucis (Kreuzewissenschaft) è di per sé una ripresa della vita e della dottrina di Giovanni. Devo pure confessare che, con sole alcune settimane per preparare questo intervento, non sono stato capace di approfondire come lo richiede l’argomento il legame tra queste due figure del Carmelo. Fortunatamente, altri studiosi, inclusi alcuni relatori a questo Convegno, hanno già fatto delle ricerche importanti. Mi è stato particolarmente di aiuto il recente libro di Francisco Javier Sancho Fermín: Edith Stein: Modelo y Maestra de Espiritualid (Burgos: Editorial Monte Carmelo, 1998) e alcuni altri articoli anteriori pubblicati da lui nella rivista TERESIANUM. Ho elencato questi e altri studi alla fine di questa ricerca in una bibliografia selezionata di ricerche anteriori.

  • Primo incontro di Edith Stein con Giovanni della Croce

Come hanno osservato vari commentatori, sembra che ci sia un legame misterioso e provvidenziale tra Edith Stein (1891-1842) e Giovanni della Croce (1542-1591), collaboratore di Teresa di Gesù nella riforma del Carmelo raggiunto da Edith Stein. Le loro date si rispecchiano pure stranamente; Edith è nata durante il terzo centenario della morte di Giovanni ed è morta durante il quarto centenario della sua nascita. E anche se lei non era forse al corrente delle speculazioni moderne attorno alla possibile discendenza “conversa” di Giovanni, i suoi commenti suggeriscono spesso un senso di parentela, forse anche di identificazione, con lui. Nelle sezioni biografiche di Scientia Crucis, per esempio, lei rileva la perdita di suo padre, di Giovanni, il suo lavoro di infermiere e la sua cura dei malati, i suoi legami forti con la famiglia, specie con sua mamma Caterina. Certi suoi commenti sulla esperienza di Giovanni nella prigione monastica di Toledo sono stranamente profetiche quanto ai suoi ultimi giorni: «Essere dato, indifeso, in balìa di acerbi nemici, torturato nel corpo e nell’anima, privato di ogni consolazione umana e persino di quelle sorgenti di energia vitale che son i sacramenti della chiesa: poteva esserci una scuola della Croce più dura di questa?».
Non sappiamo ancora con certezza quando Edith Stein è venuta per la prima volta a contatto con il Mistico Dottore. Date le sue prodezze linguistiche e la vastità delle sue letture, forse aveva già conosciuto il suo nome prima della sua conversione. Durante i suoi studi universitari, avrebbe potuto dare un’occhiata attraverso, per esempio, Henri Delacroix, Études d’histoire et de psychologie du mysticisme (Paris, 1908) che era abbastanza conosciuto e conteneva alcune pagine di Giovanni della Croce. O forse ha letto qualche cosa attraverso William James, Varieties of Religious Experience (New York, 1902) o Rudolf Otto, Il Sacro (Breslau 1917), che menzionano ambedue Giovanni della Croce?. Su questo punto possiamo solo fare speculazioni. Comunque sappiamo che il suo interesse per la religione evolve solo gradualmente né lei ha menzionato una conoscenza anteriore del Dottore Mistico prima della sua conversione. Possiamo quindi con certezza concludere che se lei ha incontrato dei riferimenti su San Giovanni della Croce nelle sue prime letture e ricerche, ciò non sembra averla molto impressionata in modo significativo.
L’interesse di Edith per Giovanni della Croce si sarebbe tuttavia accelerato alla sua conversione nel 1922, dopo aver letto l’autobiografia di Teresa di Avila. Siccome lei data il suo desiderio di entrare al Carmelo da quel momento, avrebbe certamente voluto saperne più di Giovanni che era una figura di fondatore molto importante e un direttore di spirito della comunità che voleva raggiungere.
Il suo interesse, simile a quello di molti studiosi cattolici, sarebbe stato più tardi stimolato dalla proclamazione di Giovanni a Dottore della Chiesa da Pio XI. Come ha mostrato Sancho Fermín, questa dichiarazione del 1926 e il secondo centenario della canonizzazione di Giovanni nel 1927 hanno promosso una nuova stagione di studi sangiovannisti. (per dare un solo esempio, il suo amico gesuita Eriche Przywara ha curato due libri sulla poesia di San Giovanni).
Così gli anni dopo la conversione di Edith Stein coincidono, nel mondo tedesco, con un periodo di rinnovato interesse universitario e popolare per la mistica in generale, e in Giovanni della Croce in particolare. Edith Stein faceva parte di questo ambiente. Già in una lettera del 20 novembre 1927, scritta dal Collegio di St. Maddalena a Spira, ella incoraggia R. Ingarden a prendere e consultare “la testimonianza di uomini religiosi” tra i quali annovera “i mistici spagnoli Teresa e Giovanni della Croce” come “i più suggestivi”. Sancho offre una lista esaustiva di articoli e libri in tedesco pubblicati sul Dottore Mistico durante questi decenni e ritiene che la Stein era molto familiare con lo stato degli studi sangiovannisti in Germania. Possiamo aggiungere che, data la sua facilità nelle lingue, non era senza dubbio ridotta al solo tedesco. La sola restrizione poteva essere la disponibilità di materiale sangiovannista, specie dopo la sua entrata al Carmelo e durante gli ultimi anni della Seconda Guerra Mondiale. Sappiamo dalle sue lettere di questo periodo che ha spesso avuto difficoltà per ottenere il materiale di ricerca di cui aveva bisogno.

  • Giovanni della Croce e Suor Teresa Benedetta della Croce

Tuttavia è nel Carmelo che Edith Stein è pervenuta a conoscere più profondamente Giovanni della Croce. Dopo tutto, condividevano lo stesso cognome religioso. Per lei questo nome non era semplice coincidenza ma un segno del suo destino poiché “il significato più profondo” del cognome religioso, scrive lei, “però, è che noi abbiamo la vocazione a vivere determinati misteri”. Ci riesce familiare la sua famosa osservazione nella lettera a Madre Petra Brüning, OSU, nel 1938: «Devo dirLe che ho portato il mio (nome) da religiosa già da postulante: così come l’ho chiesto mi è stato dato. Sotto la croce ho capito il destino del popolo di Dio, che fin da allora cominciava a preannunciarsi. Ho pensato che quelli che capiscono che tutto questo è la croce di Cristo dovrebbero prenderla su di sé in nome di tutti gli altri. Oggi so un po’ di più di allora che cosa vuol dire essere sposa del Signore nel segno della croce, anche se per intero non lo si capirà mai, perché è un mistero».
Così dunque sin dall’inizio della sua vita religiosa, santa Teresa Benedetta della Croce ha creduto che condivideva una vocazione speciale con Giovanni della Croce, quella di vivere il mistero della Croce – lui nel cuore della sofferta nascita della Riforma teresiana, lei in solidarietà con tutti quelli che hanno sofferto gli orrori della persecuzione nazionalsocialista. Il che significa vivere “sposata con il Signore sotto il segno della Croce”: un argomento che lei esplora lungamente nei suoi ultimi mesi mentre redigeva il suo studio sul Dottore Mistico.
Per misurare l’estensione della sua conoscenza di Giovanni, sarebbe interessante paragonarla con le sue “sorelle maggiori” francesi, Santa Teresa di Lisieux e la beata Elisabetta della Trinità. Tutte e tre erano discepole convinte di Giovanni della Croce. Ricordiamo l’esclamazione di Teresa nella sua Storia di un’Anima: «Ah, quante luci ho attinto nelle opere del Nostro Padre San Giovanni della Croce! All’età di 17 e 18 anni non avevo altro nutrimento spirituale» (Ms A 83 r). Anche se Teresa e Elisabetta hanno letto poco o meno dei commenti della Salita e della Notte Oscura di Giovanni, citano quasi esclusivamente il Cantico e la Viva Fiamma, nell’ultimo volume della edizione in quattro volumi di quel periodo (è interessante notare che questo il libro che porta sotto braccia Elisabetta nella sua ultima foto, scattata sulla terrazza davanti all’infermeria un mese prima della sua morte nel 1906).
Come si deve invece sperare da una della sua cultura, Edith accosta il suo Padre nel Carmelo più sistematicamente. Mentre si prepara al suo ritiro per la vestizione nel 1934, scrive a Madre Petra: «mi farà da guida il nostro Padre Giovanni della Croce con la Salita al Monte Carmelo». L’immagine ricordo della sua vestizione porta una citazione della Salita del Monte Carmelo con il Grafico del Monte Carmelo, «per giungere ad essere tutto, non voler essere niente». L’anno seguente, alludendo al suo ritiro che farà prima della professione, scrive: «Per la preparazione vera e propria della professione ho scelto come guida il nostro ven. padre Giovanni della Croce, come ho già fatto prima della vestizione». Nota poi: «Per la mia meditazione, ho la Notte Oscura del nostro Santo Padre Giovanni e il vangelo di Giovanni». Al momento della sua professione solenne, tre anni dopo, Edith si era già familiarizzata con il Cantico Spirituale e il suo commento. Per l’immagine della sua professione solenne cita la strofa 28: «solo nell’amore è il mio esercizio», una linea di vita adatta per una donna che ha sacrificato tutto per la sua nuova vita al Carmelo.
In breve, i molti riferimenti a Giovanni nelle sue lettere e nei suoi scritti dopo l’entrata al Carmelo rivelano un interesse profondo per il Dottore Mistico, un interesse non meramente intellettuale né una moda passeggera. Ella raccomanda le sue opere ad amici studiosi, laici e religiosi, e spiega loro punti importanti della sua dottrina. Mette pure in risalto la festa di San Giovanni, scrive delle riflessioni spirituali per queste occasioni, compone una pia “ricreazione” per la comunità di Echt ritraendo Giovanni come uno dei personaggi principali e tenta anche «una copia della recita che il nostro Santo Padre ha fatto dopo la visione del crocifisso. La riproduzione nel libro del padre Bruno non è molto viva ed io sono tutto, eccetto che un’artista. Tuttavia l’ho fatto con tanto amore e rispetto». In breve, nel Carmelo, Edith Stein ha mostrato un impegno crescente di penetrare progressivamente negli scritti e nella dottrina sangiovannisti, ma ha sempre aggiunto francamente che leggendo spesso il Dottore Mistico non era sicura di aver capito e integrato il su messaggio. Nel novembre 1940, scrive da Echt al suo Carmelo di Colonia: «da qualche settimana sono pure incaricata di procurare materiale per le meditazioni e prendo piccoli brani della Salita del Monte Carmelo in preparazione alla festa. È stato questo il mio testo di meditazione durante gli esercizi che hanno preceduto la vestizione. Ogni anno sono andata avanti un gradino – nei libri di san Giovanni – ma con questo non che abbia mantenuto il passo, anzi mi sento ancora ai piedi del monte».

Alain Creunier, Scene della vita di santa Teresa Benedetta della Croce, 2012,
Paul Nagel, Statua di santa Teresa Benedetta della Croce, 2009, Wuerzburg, Chiesa dei Carmelitani Scalzi
  • Giovanni della Croce nei saggi e nei libri di Edith Stein

Poco dopo l’ingresso nel Carmelo, santa Teresa Benedetta, come sappiamo, è stata incoraggiata a proseguire nello scrivere e in modo particolare opere carmelitane destinate alla pubblicazione. Così ha sviluppato le sue riflessioni su Giovanni della Croce in maniera più vasta. Troviamo delle frequenti referenze al “Santo Padre Giovanni”. Nel suo Amore per amore. Vita e opere di Santa Teresa di Gesù, descrive il ruolo principale di Giovanni nello stabilire la Riforma teresiana e segnala che «l’umile piccolo Giovanni della Croce, il grande Santo e Dottore della Chiesa, vi lasciò il suo spirito. Anch’egli era un uomo di preghiera, di penitenza, di direzione spirituale, soprannaturalmente illuminato. Ma altri prendevano la guida esterna della Riforma». Nella sua storia del 1935: Storia e Spirito del Carmelo, presenta la seguente immagine idealizzata del Santo (di nuovo in maniera interessante, ma senza fare menzione esplicita del tema della Croce): «il nostro secondo padre e maestro è san Giovanni della Croce venerato da noi come il primo carmelitano scalzo. In lui troviamo l’antico spirito eremitico espresso in modo puro. Si ha l’impressione che la sua vita non abbia conosciuto lotte interne. Fin dalla prima infanzia fu protetto in modo particolare dalla Madre di Dio, quindi non appena ebbe l’uso della ragione venne guidato verso una rigida penitenza, verso la solitudine, verso il distacco di tutto ciò che era terreno per unirsi con Dio. Al Carmelo rinnovato divenne strumento di elezione, modello di vita e di insegnamento dello spirito del Santo Padre Elia. Ha formato spiritualmente insieme alla Santa Madre Teresa la prima generazione di carmelitani e carmelitane scalze. Coi suoi scritti ci guida verso la “salita del Monte Carmelo”».
In un simile articolo dello stesso anno, Eine Meisterin der Erziehungs-und Bildungsarbeit: Teresia von Jesus, scrive su Giovanni con la stessa ispirazione. Il suo nome appare in maniera breve in altri saggi oggi raccolti insieme. (Altri studiosi hanno suggerito che il tema della “notte” nella sua famosa conferenza del 1931, “Il mistero di Natale”, includa anche vecchie tracce dell’influenza di Giovanni, anche se non viene esplicitamente menzionato).
La versione riveduta della sua abilitazione Atto e Potenza, che ha sviluppato nel suo Essere finito e Essere Eterno, racchiude referenze a Giovanni della Croce. Il Padre Sancho Fermín vede l’influenza del Dottor Mistico, particolarmente nella sezione VII, sull’“Immagine della Trinità nella Creazione” dove scrive: «La grazia mistica concede come esperienza ciò che la fede insegna: che Dio abita nell’anima. Colui che, guidato dalla fede, cerca Dio, si incamminerà liberamente verso il medesimo luogo in cui altri sono attirati dalla grazia, dove si spogliano dei sensi e delle “immagini” della memoria, dell’attività pratica naturale dell’intelletto e della volontà, per ritirarsi nella deserta solitudine interiore e rimanervi nella fede oscura, in un semplice sguardo amoroso dello spirito verso il Dio nascosto, che momentaneamente è velato. Egli sosterà qui in una profonda pace – perché ivi è la sede della sua quiete – finché piacerà al Signore di trasformare la fede in visione. In pochi tratti, questa è l’ascesa del Monte Carmelo, così come ce l’ha insegnata il nostro santo padre Giovanni della Croce».
Si riferisce di nuovo spesso a questo libro nel suo Scientia Crucis, specialmente quando discute la natura dell’essere spirituale.
Di nuovo, anche se il nome del Dottor Mistico non è menzionato nelle Vie della Conoscenza di Dio, la relazione tra l’insegnamento di Giovanni e la dottrina del Pseudo-Dionisio che «l’ascesa verso Dio è una ascesa nel silenzio» non può esserle sfuggita. Troviamo anche qui l’interesse che ha per la natura del simbolo che riapparirà nella Scientia Crucis.
Prima di andare avanti, dovrei dire una parola sull’amore della Croce in “alcune riflessioni per la festa di san Giovanni della Croce” che la Dottoressa Gelber data all’incirca del 1934. Questo breve saggio non doveva forse essere destinato alla pubblicazione, ma preannuncia dei temi cha appariranno nella Scientia Crucis.
Vi respinge l’idea che “l’amore del patire” di Giovanni sia «solo il ricordo, pieno d’amore delle sofferenze patite in terra da nostro Signore; solo un moto impetuoso dell’animo che, intenerito, vuole essergli vicino con una vita simile alla sua». Mette in rilievo invece che la Croce e la risurrezione sono inseparabili e che «la sofferenza accettata volontariamente in espiazione è ciò che unisce al Signore veramente, e realmente, fino nel profondo. Ed essa nasce solo da un’unione con Cristo che sia già in atto. Perché l’uomo naturale rifugge dalla sofferenza. Può desiderare la sofferenza espiatrice soltanto colui il cui sguardo spirituale è capace di cogliere i nessi soprannaturali degli accadimenti del mondo. E questo è possibile solo per uomini nei quali vive lo spirito di Cristo e che, come membra del suo corpo, ricevono dal Capo la sua vita, la sua forza, i suoi sentimenti, il suo indirizzo. Possono portare la Croce di Cristo soltanto i redenti, soltanto i figli della grazia. La sofferenza umana trae la sua potenza riparatrice soltanto dall’unione con il Capo divino».

Alain Creunier, Scene della vita di santa Teresa Benedetta della Croce, 2012,
Paul Nagel, Statua di santa Teresa Benedetta della Croce, 2009, Wuerzburg, Chiesa dei Carmelitani Scalzi
  • 1. Scientia Crucis

Arriviamo ora all’ultima e più famosa opera, Scientia Crucis. Fino a tempi recenti, per molti lettori della mia area, Edith Stein come scrittrice era nota prima di tutto per il suo commento su Giovanni della Croce. Più precisamente perché la Scientia Crucis per molto tempo fu l’unico libro disponibile in inglese, in un testo del 1960, tradotto da Hilda Graef.
Devo confessare che quando ho letto per la prima volta la Scientia Crucis, 25 anni fa, mentre studiavo filosofia all’università, ero rimasto deluso. Forse in quel tempo suonava come una eresia! Ma ho incontrato altri lettori, specialmente coloro che si sono avvicinati ad Edith con una conoscenza anteriore di Giovanni della Croce, che hanno manifestato reazioni simili. Innanzitutto la Scientia Crucis non sembrava tanto scientifica come il titolo lo suggeriva. Nessun sforzo per situare il tema trattato nel dibattito tedesco sulla relazione tra le scienze della “natura” e quelle della “cultura”, la “scienza della natura” e la “scienza dello spirito”, un tema trattato dalla Stein giovane filosofa.
Per di più stabilisce esplicitamente il dialogo tra Giovanni della Croce e la fenomenologia e altre correnti di pensiero moderne maggiori, come lo ha fatto con il tomismo. Le sezioni biografiche su Giovanni della Croce appaiono alle volte agiografiche e certi suoi centri di interesse (come la contemplazione acquisita, l’autenticità dei manoscritti di Giovanni, o la riconciliazione di Giovanni con il tomismo) sembrano superati. Ma soprattutto, la maggior parte del libro sembra una continua parafrasi degli scritti di Giovanni, una catena senza fine di citazioni legate tra di loro da congiunzioni o frasi occasionali di transizione. Alla prima lettura, Scientia Crucis sembra più che un sommario, una versione condensata degli scritti di Giovanni, non un punto di riferimento per gli studi sangiovannisti come ci si aspetta da uno studioso come la Stein.
Queste critiche non prendono in conto la natura e il proposito del libro, o anche il contesto nel quale è stato scritto. Quando ha incominciato a lavorare sulla Scientia Crucis nel Carmelo di Echt nel 1941, durante gli ultimi mesi della sua vita, la Germania aveva già invaso l’Olanda e la minaccia dei nazi andava crescendo sempre più pericolosamente. Suor Antonia, la nuova priora eletta, ha deciso di liberare Edith dai lavori domestici per approfittare dei suoi talenti intellettuali in maniera più completa e Le ha assegnato il compito di scrivere un libro su San Giovanni della Croce in preparazione al suo centenario del 1942. Suor Amata Neyer ha sottolineato che è stato chiesto questo compito alla Stein probabilmente per distrarre la sua attenzione da tutto quello che succedeva fuori clausura. In tutti i modi, Edith Stein si è messa con zelo al lavoro. Scrisse a Madre Johana van Weersth, priora di Beek, nel novembre 1940: «adesso sto raccogliendo materiale per una nuova opera, dato che è desiderio della nostra madre priora che mi dedichi nuovamente ad un lavoro scientifico, fintanto ché lo permettono le nostre condizioni di vita e le circostanze del momento. Da parte mia sono contenta di poter fare ancora qualcosa prima che il cervello mi si arruginisca del tutto».
Nell’ottobre dell’anno seguente, le chiede: «Potrebbe cortesemente sua Reverenza pregare un poco lo Spirito Santo e nostro Padre Giovanni per il quale mi sto organizzando il lavoro. Si tratta di qualcosa per il quarto centenario della sua nascita (giugno 1942), ma tutto deve venire da lassù».
Chiede pure certi libri di cui ha bisogno, come la biografia di Giovanni della Croce di padre Bruno o il libro di Jean Baruzi, Saint Jean de la Croix et le problème de l’expérience mystique, nella sua seconda edizione. Ciò conferma il punto di vista di Sancho Fermín che la Stein era interessata nel seguire lo stato di studi su Giovanni della Croce in quel tempo. Ripete la sua osservazione che, quantunque di un non credente, il libro di Baruzi «è fatto con la massima precisione ed è insostituibile per chi vuol fare uno studio approfondito». La maggioranza degli elementi biografici nel suo libro sono tratti dal padre Bruno che era lo studioso più affidabile che la biografia di Giovanni disponesse in quel momento. Sono queste le due fonti che lei nomina nella suo prefazione a Scientia Crucis, il che dimostra che ha utilizzato le migliori fonti che potesse trovare.
D’altra parte, tutto questo deve sollevare delle questioni in relazione all’accoglienza che il libro ha avuto tra il pubblico. Il titolo originale del manoscritto è “Scientia Crucis: al Dottore della Chiesa e al Padre dei Carmelitani in occasione del quarto centenario della sua nascita” con una annotazione ulteriore “Da una delle sue figlie di Echt”, ma senza la menzione del suo nome Edith Stein o Teresa Benedetta della Croce. Il testo che ci è pervenuto è in tedesco. Il Carmelo di Echt non lo avrebbe probabilmente pubblicato in tale lingua. Il libro, poi, non poteva uscire nei territori sotto controllo nazi, con Edith Stein come autrice. Ella scrive in una lettera al monastero di Colonia nell’aprile del 1942: «quando termino il manoscritto, manderò una copia in tedesco al padre Eriberto (provinciale della Germania) per duplicarlo per i monasteri». Tali commenti indicano che c’era l’intenzione di una pubblicazione anonima in tedesco e in olandese, ad uso delle Carmelitane e dei Carmelitani stessi. Questo spiega pure perché il libro è scritto in uno stile più accessibile degli scritti filosofici. Non aveva intrapreso un’opera accademica o con l’intenzione di offrire nuove conclusioni e prospettive, ma semplicemente comporre un libro per il giubileo per le Carmelitane e i Carmelitani che cercheranno di «cogliere Giovanni della Croce nell’unità del suo essere tale quale essa si esprime nella sua vita e nelle sue opere, considerando il tutto da un punto di vista che renda possibile afferrare con un colpo d’occhio questa unità». Certamente, come lo indica il titolo, Edith Stein trova questi principi dell’unità nella Scientia Crucis, che non è una scienza nel senso usuale del termine; «non si tratta di una teoria, vale a dire d’un semplice complesso di proposizioni vere – né d’una costruzione ideale congegnata da un progresso logico del pensiero. Si tratta invece di una verità già ammessa – una Teologia della Croce – ma che è una verità viva». «La dottrina della croce di San Giovanni non si potrebbe chiamare Scienza della Croce nel senso che intendiamo noi, se si basasse esclusivamente su conoscenze di carattere intellettuale.0 I frutti di questa pianta li vediamo nella sua vita». Il proposito principale di Edith Stein in questo libro è, allora, di mostrare che la dottrina di Giovanni e la vita vanno insieme nel mistero della Croce (dove lei stessa trova il principio unificante per il sua vita e il suo pensiero).
Le parti del libro che i contemporanei hanno trovato interessanti, sono le parti dove Edith Stein irradia in una maniera intermittente, non sono le lunghe sezioni riassuntive (anche se bisognerebbe forse fare uno studio accurato della sua maniera di scegliere le citazioni. Per esempio, il fatto che lei cita virtualmente ogni menzione di “notte” o di “croce”), ma piuttosto le sezioni in cui lei parla a proprio nome. È qui che troviamo una breve ma gradevole sintesi creativa delle varie vie nelle quali Giovanni ha incontrato la croce (non principalmente attraverso le tentazioni nella sua vita, ma nella Scrittura, nella Liturgia, nell’arte e nelle visioni. Qui troviamo le sue riflessioni sulla “sacra oggettività”e sulla natura del simbolo e della relazione tra la “croce” e la “notte”; la sua analisi fenomenologica di questi temi è a giusto titolo famosa.
La croce «non è affatto una figura in senso proprio. La croce ha acquistato la sua importanza attraverso la sua storia. Essa non è oggetto fatto da madre natura, bensì un ordigno fabbricato, congegnato dalle mani degli uomini e adoperato per uno scopo ben preciso.
La notte invece è qualcosa di naturale: il contrario della luce che avviluppa noi e tutte le cose. Nemmeno essa è un oggetto in senso letterale: non si oppone a noi e non sussiste per se stessa. Non è neppure un’immagine, se si intende parlare d’una forma visibile. È invisibile e inafferrabile. Eppure la percepiamo bene, anzi ci è molto più congeniale di tutte le altre cose e figure, è strettamente legata al nostro essere. Come la luce fa risaltare le cose con le loro caratteristiche visibili, così la notte le inghiottisce, minacciando di inghiottire anche noi. Ciò che s’immerge in essa non è annientato; continua ad esistere, ma indistinto, invisibile ed informe come la notte stessa, oppure sotto forma di ombre, di fantasmi e quindi gravido di minaccia. La notte cosmica agisce su di noi allo stesso modo di quella che si chiama notte in senso traslato».
Nell’Anima nel regno dello spirito e degli spiriti, una sezione importante di transizione, di circa 25 pagine, ella rileva varie questioni sollevate nei commenti alla Salita e alla Notte Oscura riguardo alla libertà e all’interiorità, ai vari modi di unione con Dio, e alla relazione tra la fede e la contemplazione. Questa parte termina con un passaggio veramente patetico che sembra parlare tanto dello spirito proprio di Edith Stein e della sua spiritualità quanto della dottrina di Giovanni della Croce: «nella passione e morte di Cristo i nostri peccati sono stati arsi. Se accogliamo con fede questa verità, accettando fedelmente e senza riserve il Cristo tutto intero in modo da scegliere e da battere la via dell’imitazione di Cristo, Egli “attraverso” la Sua passione e morte ci condurrà alla gloria della risurrezione». È appunto ciò che si prova nella contemplazione: come, attraversando il fuoco dell’espiazione, si arrivi alla beatificante unione d’amore. Alla luce di questa realtà si spiega anche il suo carattere apparentemente contraddittorio. Essa è nello stesso tempo, morte e risurrezione. Dopo la Notte oscura radiosa, la Viva Fiamma d’Amore».
Queste sezioni “più creative” di Scientia Crucis sono già state studiate nei dettagli da vari studiosi. Non abbiamo bisogno di discuterle qui, dato che sono meno dipendenti della vita e della dottrina di Giovanni stesso, come lo riconosce la Stein nel sua Prefazione. (Dopo tutto, ella ha già scritto sull’argomento del simbolismo; e la “stessa scienza della croce” non viene da Giovanni della Croce, ma da Gesù). Ora ritorniamo all’argomento generale con il quale abbiamo incominciato – la relazione tra la nostra nuova santa e il “suo santo Padre” – per vedere quali conclusioni possiamo trarre.

Wuerzburg, Chiesa dei Carmelitani Scalzi
  • Debito che Edith Stein deve a Giovanni

Con ironia, ma anche rivedendo tutto questo materiale, rimane difficile dire con precisione come Giovanni della Croce ha influenzato la vita di Edith Stein e il suo pensiero, eccetto per quanto è stato detto in termini generali. La sua famosa osservazione, “secretum meum mihi”, sembra applicarsi bene qui. Possiamo speculare dicendo che è stata attratta dai parallelismi tra la sua vita e quella di Giovanni (Edith nota questa mancanza nel libro di Baruzi); tutti questi temi erano di grande significato per lei come carmelitana e come cristiana. Lo possiamo dedurre dal fatto che lei ha preso Giovanni come “guida del suo ritiro” e che è entrata in relazione con lui come fonte di una particolare direzione spirituale. Ma non ricorda nessuna imprevedibile e particolare grazia venutale dalla lettura delle opere di Giovanni, né una esperienza simile a quella della lettura della vita di Teresa in una sola notte, con la conclusione: «questa è la verità”! In realtà, sembra che Giovanni non l’abbia molto arricchita di stimoli per una nuova conversione intellettuale o morale, ma piuttosto che le abbia offerto l’opportunità di riflettere più profondamente su problemi già importanti per lei. Come fenomenologa, ella avrebbe apprezzato la comprensione profonda del Mistico Dottore delle complessità della esperienza umana e delle sottigliezze della grazia che agisce nelle profondità interiori della persona umana, anche se le opinioni di Giovanni erano coniate in un linguaggio concettuale diverso. Anche se ha incontrato la croce molto prima di immergersi negli scritti sangiovannisti, Giovanni l’ha aiutata ad apprezzare la radicalità delle sue esigenze, la profondità della conversione e della trasformazione che l’unione con Dio necessita e che amava tanto; l’ha guidata nel vivere le richieste della croce perfino nei minimi dettagli della sua vita. Ella era pure una dei primi autori a prendere il tema della notte in Giovanni e a darle una dimensione politica, sociale, parlando della “notte del peccato” che aveva allora coperto l’Europa dell’Ovest: “Le più grandi figure dei profeti uscirono fuori dalla più cupa notte”. Lei stessa avrebbe voluto essere questo profeta nella “notte oscura” di Westerbork e di Auschwitz».
Infine, se l’errore più comune alle interpretazioni passate di Giovanni era l’accentuazione eccessiva degli aspetti ascetici del suo insegnamento, forse l’errore contemporaneo perverso (visibile soprattutto nei tentativi della New Age di assimilare Giovanni) sta nell’accentuare solamente l’esaltata coscienza mistica che egli descrive. Edith Stein, nella Scientia crucis, e altrove, offre ai lettori contemporanei un correttivo valido, un’alternativa a questi approcci parziali del “suo santo Padre Giovanni”. Ella ci indica la via media, ricordandoci che anche se Giovanni non ha invocato la sofferenza per la propria salvezza, la “divinizzazione” alla quale guida, richiede la morte totale del nostro vecchio io. La croce e la risurrezione vanno unite insieme. Questa è anche, probabilmente, la via media mostrata nella recita su Giovanni “recita sul Monte Carmelo”, la via dei sette “nada” che guidano al glorioso banchetto della carità, pace e gioia e giustizia sul vertice, dove “solo la gloria e l’onore di Dio rimangono”. Questa è la via che Edith ha scelto per se stessa, meglio, la via lungo la quale lei ha permesso all’amore di Dio di guidarla.

Alain Creunier, Scene della vita di santa Teresa Benedetta della Croce, 2012,
Wuerzburg, Chiesa dei Carmelitani Scalzi

Conclusione

Una settimana prima di morire, la scorsa estate, padre Ross Collings ha dato alle monache di Auckland la sua ultima conferenza, sulla vita e la spiritualità della nostra nuova santa. Provvidenzialmente, dato che io preparavo la mia presentazione, ho ricevuto un video della sua conferenza. Nella sua conclusione, padre Ross segnalava, con la sua raggiante intelligenza, come Edith Stein sia vissuta e morta, e la fedeltà alla sua vocazione ad ogni costo sia diventata molto più importante di qualunque cosa abbia scritto o pensato. Forse possiamo dire la stessa cosa, in un certo senso, di padre Ross stesso. In segno di rispetto e gratitudine a lui, per tutto quello che ha fatto per l’Ordine e per la Chiesa nella sua vita al Carmelo, vorrei concludere con l’osservazione riguardante l’opera di Edith Stein sul Mistico Dottore, Giovanni della Croce.
La storia ci dice che Edith Stein stava lavorando alla Scientia Crucis quasi fino al momento del suo arresto. Il libro, infatti, termina repentinamente (anche se non come La Salita del Monte Carmelo o la Notte Oscura) con un racconto della morte di Giovanni, e manca di conclusione o di postscriptum. La Scientia Crucis, è spesso, quindi, chiamata opera frammentaria.
L’evidenza interiore suggerisce però che il libro è essenzialmente completo. Edith Stein ha cercato di rivedere e analizzare tutti gli scritti di Giovanni della Croce, anche le sue opere minori, e ha trattato tutte la fasi della sua vita. È difficile immaginare cosa potesse aggiungere di più, dato lo scopo del libro, eccettuate le conclusioni. Infatti, come Sancho Fermín ha segnalato, anche l’inchiostro che ha utilizzato alla fine del manoscritto, sfuggito alla distruzione, è identico a quello utilizzato all’inizio. Ciò significa che, dopo l’ultima sezione, è tornata indietro per scrivere la prefazione, come fanno molti autori, quando mettono il punto finale al loro lavoro.
Forse possiamo dire piuttosto, che l’opera è necessariamente incompleta in un altro senso, nel senso di Edith. Come abbiamo notato sopra, Edith Stein scrive nella sezione finale che la dottrina di Giovanni della Croce non deve essere chiamata scienza della Croce nel senso nostro, forse fondato su un’opinione razionale. I suoi frutti devono essere visti nella vita del santo. Ma lo scrivere solo sulle opere di Giovanni non le era sufficiente. L’ultimo capitolo doveva essere vissuto, essere scritto, parlato con il suo proprio sangue. È questo il mistero del completo abbandono di Edith Stein al mistero della croce, il mistero della morte e della risurrezione di Cristo che dà alla sua ultima opera tanto potere e tanta risonanza. Il modo in cui santa Teresa Benedetta della Croce è vissuta e morta, più di quanto ha scritto, è il suo grande testamento e il suo tributo al suo santo Padre, San Giovanni della Croce.

Alain Creunier, Scene della vita di santa Teresa Benedetta della Croce, 2012,
Wuerzburg, Chiesa dei Carmelitani Scalzi

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