“Voglio che quanti entrano nella mia Cappella si sentano purificati e sgravati dai loro pesi… Questa Cappella è per me l ‘esito di tutta una vita di lavoro e il fiorire di uno sforzo enorme, sincero e difficile. Non si tratta di un lavoro che ho scelto, ma piuttosto di un lavoro per il quale sono stato scelto dal destino sul finire del mio cammino… La considero, malgrado tutte le sue imperfezioni, come il mio capolavoro… uno sforzo che è il risultato di tutta una vita consacrata alla ricerca della verità.“- Henri Matisse –
Uscendo dal centro di Vance, si trova la Cappella del Rosario costruita da Henrie Matisse, pare in segno di riconoscenza verso una suora domenicana che si prese cura dell’artista durante un periodo di malattia.
La Cappella si trova sul lato destro della carreggiata e la si nota per la copertura costituita da tre strati di tegole bianche ed azzurre e per l’altissimo crocefisso in ferro battuto che la sovrasta. Questa croce si eleva per ben 13 metri: la sua struttura essenziale è impreziosita da mezze lune dorate, lungo l‘asse più lungo (Maria è la Donna vestita di sole, con la luna sotto ai piedi) e da fiammelle, sempre dorate, all‘estremità dell’asse più corto (la Croce irraggia sul mondo la luce ed il fuoco dell‘amore).
Le fasi progettuali ebbero inizio nel 1947, quando Matisse aveva già 77 anni, la prima pietra, però, fu posata nel Dicembre del 1949. La benedizione della Cappella da parte del vescovo di Nizza ebbe luogo nel 1951.
La Cappella è di piccole dimensioni. La porta d’accesso si trova sul lato sinistro della costruzione ed è sovrastata da una ceramica bianca sulla quale un segno blu disegna la Madonna , Gesù e San Domenico.
Per accedere ai luoghi di preghiera, bisogna percorrere una rampa di scale strette che introduce subito all’ambiente principale della costruzione, dove si trovano le panche per i fedeli. Il colore dominante è in assoluto il bianco, che caratterizza pavimento, soffitto, pareti. Matisse pensava che i colori potessero agire sul sentimento intimo con forza tanto maggiore, quanto più questi fossero semplici. La navata si allarga verso il lato opposto a quello d’ingresso, per ospitare le panche di preghiera delle religiose e l’altare semicircolare un po’ ruotato, così da rivolgersi contemporaneamente ai fedeli e alle domenicane. Quest’ultimo è realizzato con una pietra chiamata “pierre de Rogne“, scelta per il suo colore che ricorda il pane eucaristico.
L’ambiente candido della stanza è però dominato dalle tre vetrate delle pareti est e sud (rispettivamente punti dove nasce e aumenta lo splendore del sole), realizzate con vetro di soli tre colori: giallo limone, simbolo della luce del sole e di quella divina; verde smeraldo, simbolo del regno vegetale; blu oltremare, simbolo del cielo e del Mediterraneo. Ogni vetrata disegna un tendaggio teso su uno sfondo giallo e sono tutte divise da delle colonne alte e sottili. La vetrata ad Est, lato dove nasce il sole, è divisa in un primo gruppo di 6 spazi e subito dopo lo scanso del muro,che accompagna la vetrata dietro la zona di preghiera delle religiose,è divisa in altre 9 spazi, che sommati ai precedenti, danno un totale di 15 spazi , come il totale delle poste del rosario. La vetrata dietro l’altare invece si presenta sottoforma di una grande bifora, dove sono rappresentati dei cactus, pianta tipica della vegetazione locale e simbolo della durevolezza.
La Cappella è diventata famosa anche per le decorazioni interne su ceramica. Sulla parete alla destra dell’entrata, si trova la prima grande decorazione parietale, dove su uno sfondo di ceramica bianca, con segno nero è rappresentata una figura femminile che tiene in braccio un bambino. E’sicuramente una rappresentazione della Madonna, intesa come “fiore della radice di Jesse“, sbocciata tra i fiori della natura, mentre offre il Bambino, che a sua volta si offre al mondo, assumendo una posizione che ricorda già l’atteggiamento del Crocefisso.
In basso a destra di questa ceramica, si trova la porta che introduce al confessionale, decorata con rudi tagli, ma dall’aspetto leggero e gioioso, come dovrebbe essere l’anima di chi si è purificato dai peccati.
Alla destra dell’altare, sempre con la stessa tecnica, è rappresentato un grande San Domenico in abito domenicano, dalle pieghe morbide e andamento sinuoso. La dolcezza del segno delle pieghe dell’abito è ripresa dalla curva delle dita della mano del santo che regge una sacra scrittura.
Un’atmosfera del tutto diversa regna nella Via Crucis rappresentata sulla parete in alto da dove si entra. Matisse vive il dramma della Passione di Cristo e decide di rendere questa esperienza nelle 14 tappe che rappresenta. I segni sono più tormentati e spezzati, così una sensazione tempestosa pervade lo spirito delle figure. Le stazioni della Via Crucis sono rappresentate in senso ascensionale, rendendo l’idea della progressiva andata al calvario di Cristo. Sicuramente è evidente la volontà dell’artista di organizzare il tutto attorno alla rappresentazione centrale del crocefisso, che domina su tutto e si innalza ponendo le sue basi sulla figura di Maria, San Giovanni e le stazioni sottostanti.
Alla destra della costruzione, tra la ceramica con Maria e Gesù bambino e quella del San Domenico, si apre una porta che immette in un corridoio dove sono esposte alcune foto dell’artista, le stampe di alcune sue opere famose e i disegni preparatori del dipinti sulle ceramiche. Prima del bookshop si apre una stanza dove sono esposti gli abiti da cerimonia che Matisse aveva disegnato e realizzato per il clero. Sono sempre creazioni molto particolari e contrddistinte dai colori sgargianti generalmente usati dall’artista.
Continuando a percorrere questo stretto corridoio sono esposti i plastici per lo studio della realizzazione della Cappella.
Visitare questo piccolo capolavoro è quasi d’obbligo per chi capita da quelle parti, se non altro per entrare nello spirito e nella passione di questo artista, al tramonto della vita e per farsi sedurre dalle atmosfere che la luce riflessa riesce a creare in quest’ambiente immacolato, che varia con il cambiare delle stagioni e delle condizioni
di Eleonora Speranza Lesso
Pubblicato mercoledì 21 giugno 2006 – NSC anno II n. 18
http://www.nonsolocinema.com/CHAPELLE-DU-ROSAIRE-di-Henri.html
I segni violenti della via crucis di Matisse
Padre Marie-Alain Couturier, domenicano amico e confidente di Henri Matisse, commentava così nel 1951, la Via Crucis realizzata per la parete di fondo della Cappella del Rosario di Vence:
“Vorrei provare a dire, nel modo più semplice, che cosa penso di quest’opera: la ritengo la più importante e la più bella nella cappella. (…)
Vedo qui una specie di grande pagina, coperta di tratti che assomigliano a una calligrafia alterata, a malapena leggibile, con lettere scritte di fretta, sotto l’effetto di un’emozione troppo grande; vi si scorgono già, senza però poterli ancora decifrare, i segnali più chiari e più sconvolgenti di ciò che stanno per dire. Quale altra calligrafia più di questa è adatta per parlarmi della Passione? Mi bastano questi segni violenti: mi dicono l’essenziale. Posso aver bisogno d’altro?
Quando li leggo, colgo che non c’è stato né tempo né volontà di definire i dettagli o scegliere le parole: la terribile notizia è lì intatta, senza rimaneggiamenti né abbellimenti. Che cosa posso spettarmi d’altro da qualcuno che ha vissuto in sé il dramma e ne ha provato nel cuore la durezza e lo sconvolgimento?
Noto che nello stile qui non ha più nulla in comune con ciò che conoscevamo come tale di Matisse. In nessun’altra opera ritrovo una violenza simile, una analoga, totale assenza del minimo scrupolo di bellezza: qui nulla è predisposto per il piacere della visione. Brutali, ecco, sono persino le cifre che numerano le stazioni. (…)
Osservo anche la consanguineità di questo stile brusco, affrettato, indifferente a tutto ciò che non vuole dire, con lo stile di Tavant e dei primi affreschi romanici. Matisse mi raccontava un giorno come, ancora giovane e dispiaciuto di non riuscire a dipingere come gli altri, avesse scoperto con eccitazione, davanti ai Goya del Museo di Lille, che “la pittura poteva essere un linguaggio”, addirittura che poteva “non essere altro che questo”. Non lasciamoci ingannare: nelle epoche davvero grandi, l’arte non è che linguaggio. Non un ornamento. Anche se si esprime in termini molto difficili. Perché non è affatto certo che il dovere degli artisti sia quello di fare in modo che tale linguaggio risulti accessibile a tutti; al contrario è loro dovere sacrificare tutto alla nettezza, alla verità dei segni, per quello che hanno da dirci”.
(da L’Art Sacré, luglio-agosto 1951, in Un’avventura per l’arte sacra, ed. Jaca Book)
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