Presidente della “Casa di Dante” di Roma, il porporato promuove le celebrazioni dei 700 anni dalla morte del poeta
Nel 2021 si celebrerà il settimo centenario della morte di Dante Alighieri. In vista di questo anniversario, il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura e della “Casa di Dante” di Roma, che in questi giorni ha festeggiato il suo primo centenario, ha costituito un comitato scientifico-organizzativo per organizzare le celebrazioni e rilanciare la modernità del poeta. Tra gli altri obiettivi, ci sono quello di riproporre l’istituzione di una cattedra di Studi danteschi, favorire incontri e seminari sui temi della ricerca scientifica nel confronto con altri saperi e rilanciare Dante tra i giovani. Il tutto anche con l’apporto di Roberto Benigni, che per il porporato “ha avuto il merito e il coraggio di mostrare come Dante sappia parlare all’uomo di oggi”.
“Le domande fondamentali che si pone Alighieri sono attuali”, ha spiegato il cardinal Ravasi in un’intervista (Il Messaggero, 25 gennaio). “In una frase dice su realtà profonde tutto quello che raffinati intellettuali non sarebbero in grado di spiegare nemmeno con migliaia di parole”. Dante, ha aggiunto, “ha costruito un sistema a tutti i livelli, con il suo spirito ‘sistematico’ medievale – un respiro che noi abbiamo perso – può esserci d’aiuto. Spesso ci si perde dietro a piccoli particolari, non si tiene conto di tutto l’affresco. I grandi maestri sono quelli che sono stati capaci di darti una visione, non solo un’attrezzatura”.
“La sua voce è ininterrottamente striata di protesta contro ingiustizie e prevaricazioni. Dante non teme di scendere nella valle della storia e nella polvere delle vicende, non di rado ‘infernali’, che noi viviamo. Se ci fosse Dante oggi, sarebbe stato implacabile sugli scandali. Ma c’è una differenza fondamentale: la cultura contemporanea ha l’elemento della curiosità. L’accusa è fatta con gusto quasi erotico nell’entrare in questo mondo degradato, per una questione di polemica. Manca il turgore dell’indignazione. Lo sdegno è una virtù, l’ira è un vizio”. Il cardinal Ravasi ha poi confessato di apprezzare il fatto che Dante sappia “inglobare e trasfigurare nel linguaggio della poesia la teologia e l’esegesi del suo tempo, di cui aveva una conoscenza tecnica molto profonda”, e ha riconosciuto che “un limite molto grave per la teologia si è registrato nell’Ottocento per reazione all’illuminismo: il testo biblico, per essere conosciuto nella sua autenticità, doveva essere spogliato del suo significato simbolico”.
“Ciò ha portato a una teologia simili a una sequenza di algidi teoremi teologici. Dalla metà del Novecento si è tornati alla consapevolezza del rilievo simbolico”, soprattutto con Urs von Balthasar, che ha spiegato “quanto fosse necessario riservare attenzione alle opere artistiche, non solo letterarie, ma anche plastiche e figurative, perché esse non sono, diceva, ‘soltanto illustrazioni estetiche, ma dei veri luoghi teologici’”. “Mi piacerebbe che si potesse insegnare l’opera di Dante con tale criterio di fondo”, ha confessato Ravasi.
Dante, ha concluso, “è necessario a tutti in tutti i tempi, sa intrecciare realismo e utopia, verità umana aspra e verità divina salvifica”. Per questo, sarebbe utile leggere un canto dantesco al giorno, “come breviario laico”.
Fonte: Aleteia
Commenti