Troppi vaticanisti improvvisati bollano come “fallimento” il rapporto del papa con l’islam, a partire dallo “sventurato” discorso di Regensburg. Invece quel discorso è stato profetico per la Primavera araba e per il dialogo mondiale fra religioni e mondo laico. E ha aperto nuovi spazi di collaborazione fra cristiani e musulmani.Beirut (AsiaNews) – La notizia della rinuncia di Benedetto XVI mi ha colpito in modo positivo: è una cosa bella, coraggiosa, che apre una strada per il futuro, frutto di realismo e riflessione. Non vedo perché un papa dovrebbe continuare, anche quando si vede o si sente di non poterlo più fare. Certo, Benedetto XVI è ancora capace in tante cose, ma sente che ci vorrebbe qualcuno più giovane per continuare il lavoro missionario del ministero petrino.
Il suo gesto è un segno di umiltà e di coraggio per averlo comunicato davanti al mondo. Non è per nulla un segno di scoraggiamento verso la sua missione, o di fallimento. È come dire: ho fatto la mia missione, vedo che questa missione può essere prolungata meglio, lascio ad altri proseguirla. Qua e là ci sono echi negativi, ma questo gesto insegna a tutti noi che a un certo punto dobbiamo passare la mano ad altri. Forse l’idea che questo ministero debba essere a vita non regge più nel suo carattere assolutista.
Regensburg un errore, un fallimento?
Le dimissioni del papa vengono spesso attribuite a una serie di “fallimenti” da lui accumulati in questi anni. Fra tali cosiddetti “fallimenti”, si cita sempre il suo rapporto con l’islam e lo “sventurato” discorso da lui pronunciato a Regensburg. In realtà, più volte abbiamo detto che Regensburg non è per nulla un fallimento: al contrario, è un passo avanti nel rapporto fra Chiesa e Islam.
Tale rapporto è iniziato con il Concilio Vaticano II: nella dichiarazione Nostra Aetate, si mette l’accento su aspetti positivi dell’islam: una spiritualità, una fede nel Dio unico, delle radici abramitiche. Tale dichiarazione volta pagina e mette fine a una visione dell’islam solo in negativo, come l’anti-cristianesimo.
Con Giovanni Paolo II si è fatto un altro passo avanti. Nell’incontro con i giovani musulmani a Casablanca (Marocco, 19 agosto 1985), egli ridà un senso di responsabilità ai giovani musulmani davanti al mondo moderno, lanciandoli in un cammino affianco ai giovani cristiani. Il papa cominciava cosi: “Cristiani e musulmani, abbiamo molte cose in comune, come credenti e come uomini… Noi crediamo nello stesso Dio, l’unico Dio, il Dio vivente, il Dio che crea i mondi e porta le sue creature alla loro perfezione”[1].
Sono seguiti poi altri gesti molto aperti di Giovanni Paolo II, come la visita alla grande moschea di Damasco (6 maggio 2001). “Il fatto che il nostro incontro avvenga in questo famoso luogo di preghiera – ha detto – ci ricorda che l’uomo è un essere spirituale, chiamato a riconoscere e a rispettare la priorità assoluta di Dio in ogni cosa. I cristiani e i musulmani concordano sul fatto che l’incontro di Dio nella preghiera è il nutrimento necessario per la nostra anima, senza il quale il nostro cuore appassisce e la nostra volontà non cerca più il bene ma cede al male. Sia i musulmani sia i cristiani hanno cari i loro luoghi di preghiera, come oasi in cui incontrano il Dio Misericordioso lungo il cammino per la vita eterna, e i loro fratelli e le loro sorelle nel vincolo della religione.”[2]
Una volta, il 14 maggio 1999, il papa ha perfino baciato una copia del Corano, datagli in dono da una delegazione musulmana irakena[3]. Per noi cristiani d’Oriente questo è un po’ troppo. D’altra parte baciare il testo sacro all’islam per il papa non era una consacrazione dogmatica, ma solo un gesto di stima e rispetto. Ma su vari siti si sono scatenati i critici.
Poi vi è stato l’incontro di Assisi (1986; 2002), visto come una cosa positiva, anche se con aspetti di ambiguità, come se si considerassero le religioni tutte sullo stesso piano.
Con Benedetto XVI, il primo gesto che implica l’islam è il discorso di Regensburg (12 settembre 2006). Di per sé questo discorso non era rivolto anzitutto ai musulmani, ma agli scienziati e ai dotti filosofi tedeschi, come si spiega nel titolo stesso del discorso: “Incontro con i rappresentanti della scienza”.
Allargare la ragione
Lo scopo finale è espresso nelle conclusioni: stabilire un dialogo universale – non solo fra cristiani e musulmani – basato sulla ragione. L’analisi che in esso si svolge è un tipico ragionamento filosofico, basato sul logos, sulla ragione. In esso si afferma che l’Occidente ha fatto deviare il concetto di ragione verso il concetto scientifico-matematico di “misurabile”, “sperimentabile”, “pragmatico”. Invece il termine originale “logos” e “logikos”, razionale, ragionevole, significa anche “spirituale” e si ritrova in tutta la letteratura cristiana.
Questo termine si usa ancora nelle liturgie orientali, in cui si parla per esempio delle “pecore razionali” (cioè i fedeli) e più ancora dei sacrifici ragionevoli, cioè spirituali, in opposizione ai sacrifici animali. il suo uso deriva da san Paolo (Romani 12,1) in cui egli parla del culto “logiké” (razionale, spirituale). Anche l’antica liturgia latina (e l’attuale prima preghiera eucaristica), parlando dell’offerta eucaristica, dice: “Quam oblationem tu, Deus, in omnibus quaesumus, benedictam, adscriptam, ratam, rationabilem, acceptabilemque facere digneris …”; “oblationem rationabilem” è reso nella traduzione italiana” con “sacrificio spirituale”.
Il papa ha voluto mostrare che la civiltà occidentale ha ridotto il concetto di ragione, limitandolo al misurabile e calcolabile, svuotandolo della dimensione spirituale. Egli dice che è necessario superare questa riduzione, altrimenti non riusciremo a dialogare con le altre culture mondiali, che invece presentano questa dimensione spirituale.
La violenza è irrazionale e si oppone a Dio
Egli fa emergere anche un altro pericolo: quello di identificare la razionalità con la fede; e anche questo è pericoloso perché in tal modo la fede, senza controllo razionale, può ricorrere alla violenza. Tale rischio è ritrovabile dappertutto.
Nell’esortazione apostolica dello scorso anno, Ecclesia in Medio Oriente, il pontefice mette in guardia proprio da questo pericolo: l’estremismo religioso, il fondamentalismo, che “tocca tutte le religioni”. E in effetti si trova nell’ebraismo, in alcuni gruppi in Israele; nel cristianesimo, in alcuni gruppi evangelici; nell’islam, di cui soffre anzitutto il mondo islamico stesso: lo vediamo nelle manifestazioni di popolazioni musulmane contro i fondamentalismi dei nuovi regimi in Tunisia, Egitto, ecc.. Così, precorrendo la Primavera araba, il papa ha denunciato tale violenza.
Forse si può dire che ha fatto una scelta infelice usando il testo – divenuto famosissimo – in cui si cita il dialogo fra l’imperatore Manuele Paleologo e uno studioso musulmano di origine persiana. Ma lui stesso, il papa, ha spiegato che nell’estate 2006 aveva letto questo dialogo e gli è sembrato utile per mostrare che chi segue Dio lo deve seguire in modo “razionale” e quindi senza violenza.
È anche vero che a tutt’oggi, nessuno – se non è cieco – può negare che la maggior parte degli episodi di violenza giustificati dalla religione avvengono proprio nell’islam. Si potrà dire che l’islam in sé non è violenza, ma di fatto, vi sono musulmani che compiono violenze; imam che la predicano, e la benedicono; organizzazioni islamiche riconosciute che programmano gesti di violenza e addirittura prendono il potere. Purtroppo c’è la tendenza a credere che questi gruppi siano come “schegge impazzite”, ma in realtà sono parte del sistema islamico (come i Fratelli musulmani) che si presentano come l’islam autentico. In ogni caso, ciò che il papa ha detto a Regensburg, è rivolto a tutti i fondamentalismi e anche all’islam.
Il dialogo fra l’imperatore e lo studioso persiano volge anzitutto verso ciò che è la religione più giusta e più vera. Il musulmano dice che è l’islam perché essa viene dopo le altre e per questo prende il buono da tutte le altre. Notare che questa giustificazione è ripresa di continuo nella storia dell’islam e viene proclamata ancora oggi da imam e università islamiche.
Manuele Paleologo invece afferma che l’unica cosa portata dall’islam è la guerra in nome di Dio. Se uno volesse ragionare, dovrebbe ammettere che nel 2006, cinque anni dopo l’attentato delle Torri Gemelle, il papa ha ragione: non si può fare violenza in nome di Dio. Questa affermazione è fatta in nome dell’umanità e vale anche per gli atei che in nome dei senza Dio possono fare la guerra. Ma questo discorso – rivolto al corpo accademico dell’università di Regensburg – era troppo forse raffinato per una audience più larga.
Ad ogni modo, anche se vi sono state reazioni e critiche, questo discorso ha portato a passi sempre più positivi.
Gli altri passi di Benedetto XVI
Il papa stesso ha capito che non basta fare un ragionamento giusto, ma occorre mettere in atto gesti comprensibili a tutto il mondo. A Regensburg egli ha parlato come “il prof. Ratzinger”, ma tutti lo guardavano come il papa Benedetto XVI. In seguito egli ha compiuto gesti molto significativi: in Turchia egli è entrato nella Moschea blu e ha pregato in silenzio, mettendo le mani nella stessa posizione dell’imam, che diceva la preghiera ufficiale dell’islam.
In Giordania, è entrato nella grande moschea pronto a togliersi le scarpe, ma il principe Ghazi Bin Muhammed Bin Talal gli ha detto che poteva tenerle perché vi era una passatoia in tutta la moschea. Poi si è raccolto un momento, pregando in cuor suo. Per rispetto dei musulmani, non ha fatto dei gesti di preghiera cristiana; e per rispetto dei cristiani, non ha fatto dei gesti di preghiera musulmana.
Come si vede sono gesti semplici che al mondo dell’islam comunicano che Benedetto XVI è un uomo spirituale, che è attento all’ospite che lo accoglie, senza mai cadere nell’ambiguità.
Nel solco di Regensburg sono nati altri gesti, che lo hanno rivelato discreto e attento. In continuità col Vaticano II (“siamo fratelli”), con Giovanni Paolo II (“preghiamo insieme”), Benedetto XVI ha spinto più in là il rapporto con l’islam: siamo credenti, ma dobbiamo usare la ragione e tentare un impegno comune.
Ciò si vede dalla reazione dei 138 saggi musulmani (divenuti poi diverse centinaia), che ha portato a un incontro fra Vaticano e personalità musulmane mondiali (novembre 2008). Tale incontro doveva poi proseguire ogni due anni, una volta in Vaticano, una volta in Giordania. Il secondo incontro si è fatto attendere, con un tema più neutrale: la mistica nell’islam (sufi) e nel cristianesimo. Tale incontro è avvenuto in Giordania nel 2011.
Un altro passo, molto importante, anche se non ha fatto molto chiasso, è la visita del re saudita Abdallah in Vaticano (novembre 2007), la prima visita di un re saudita ad un papa. Il Santo Padre sperava di poter affrontare la questione del milione e più di cattolici (essenzialmente donne filippine) che lavorano in Arabia Saudita e non hanno nemmeno il diritto di pregare in privato, ma non è stato possibile affrontare l’argomento in un primo incontro.
A questo è seguito pure un convegno interreligioso a Madrid, sponsorizzato sempre dai reali sauditi (luglio 2008). L’incontro con il re saudita era per far cadere i preconcetti reciproci e per far nascere una collaborazione pacifica.
Il 26 novembre 2012, è stato fondato a Vienna il Centro internazionale per il dialogo interreligioso e interculturale (KAICIID = King Abdullah International Centre for Interreligious and Intercultural Dialogue), sostenuto dal re saudita, in presenza del Segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon e dei rappresentanti delle principali religioni. L’Austria e la Spagna sono co-fondatori, insieme alla Santa Sede come “osservatore-fondatore”.
L’esortazione apostolica per il Medio Oriente
Per me il culmine di questo impegno del papa è stata la sua visita in Libano nel settembre 2012, malgrado la guerra civile siriana vicina e l’esortazione apostolica Ecclesia in Medio Oriente, pubblicata il 14 settembre, giorno dell’Esaltazione della Santa Croce.
Nel Paese dei Cedri, Benedetto XVI ha compiuto un ulteriore passo: occorre costruire insieme la città della pace. Egli insomma lancia un progetto comune. Non gli basta neppure sottolineare che il Libano è un esempio di convivenza importante per il Medio Oriente e per cristiani e musulmani, ma lo lancia come modello di convivenza per il mondo intero.
Benedetto XVI critica il fondamentalismo (n.30), da dovunque venga, e il secolarismo da dovunque venga (n.29). Egli proietta il mondo cristiano e quello musulmano nel quadro della modernità mondiale. Oggigiorno, la modernità si presenza come una laicità che esclude la religione. Anzi, per alcuni, essere moderni significa eliminare la religione. Il papa critica la laicità che non rispetta la religione e loda la “sana laicità”. Scrive:
“La sana laicità, al contrario, significa liberare la religione dal peso della politica e arricchire la politica con gli apporti della religione, mantenendo la necessaria distanza, la chiara distinzione e l’indispensabile collaborazione tra le due. Nessuna società può svilupparsi in maniera sana senza affermare il reciproco rispetto tra politica e religione, evitando la tentazione costante della commistione o dell’opposizione” (n. 29).
Contrariamente all’immagine di intollerante dogmatico che gli si attribuisce, Benedetto XVI, che ha sempre criticato il relativismo religioso, dice nell’Esortazione:
“Non è opportuno affermare in maniera esclusiva: « io possiedo la verità ». La verità non è possesso di alcuno, ma è sempre un dono che ci chiama a un cammino di assimilazione sempre più profonda alla verità. La verità può essere conosciuta e vissuta solo nella libertà, perciò all’altro non possiamo imporre la verità; solo nell’incontro di amore la verità si dischiude. (n. 27).
Costruire una comunità mondiale che rigetta fondamentalismo e laicismo
Benedetto XVI propone quindi un vero dialogo fra le religioni e i laici, che superi le strettoie del fondamentalismo e del laicismo. In tal senso egli prolunga e affina la riflessione iniziata a Regensburg, mostrandone il peso sociale anche per la politica internazionale e la convivenza mondiale.
Parlando ai cardinali per gli auguri alla Curia (21 dicembre 2012), e riferendosi alla questione dei matrimoni gay in Francia, egli cita a lungo il rabbino Bernheim di Parigi, a proposito della concezione della famiglia. Anche qui il papa mette in luce i pericoli per l’avvenire dell’umanità, suggerendo che per il bene dell’umanità si deve tener conto della dimensione religiosa.
La sua proposta, da Regensburg in poi, è la costruzione di una comunità internazionale in cui le religioni rifiutino il fondamentalismo e il laicismo rifiuti l’anti-religione.
In passato al Cairo, alla Conferenza ONU sulla popolazione (settembre 1994), è avvenuta un’alleanza fra Vaticano e Paesi islamici per eliminare l’aborto dalle pratiche contraccettive. Il mondo laico ha accusato il Vaticano di allearsi con i Paesi retrogradi, conservatori e dittatoriali come l’Iran. Ma a ben vedere, non è un problema di conservazione, ma di percepire dove va l’umanità. Chi ha una sensibilità religiosa viva deve guidare l’umanità, purché non si cada preda del fondamentalismo. Vi sono persone laiche che hanno una grande acutezza: anche loro devono poter guidare l’umanità purché non diventi preda dell’ideologia e delle ideologie anti-religiose.
Prendiamo l’esempio particolare dell’omosessualità. La Chiesa non dice che vuole emarginare gli omosessuali dalla società, o che vuole metterli a morte (come talvolta capita nel mondo islamico in conformità con la sharia). Dice solo che questa non è la via retta, come l’adulterio non è la via retta. E non può rinunciare a dirlo, in nome della sua spiritualità, della legge naturale e del realismo. Questa linea è difficile perché in occidente viviamo un momento di rigetto della dimensione spirituale e nel mondo islamico vi è una reazione contro questo rifiuto della religiosità in occidente.
Conclusione: un umanesimo evangelico
A me pare che il progresso a cui Benedetto XVI ha contribuito – da Regensburg in poi – è proprio quello di aver osato affrontare il problema della modernità, presentando la sua verità senza indietreggiare, ma anche senza rifiutare le critiche e senza impedire ad alcuno di parlare. La Chiesa ha la sua visione dell’umanesimo, ispirata al Vangelo, per costruire una società più umana, e deve avere il tranquillo coraggio di annunciarlo.
Guardiamo anche al decorso della Primavera araba, oggi imprigionata dall’islamismo. Ovunque vediamo centinaia di migliaia di arabi, in Egitto, Tunisia e altrove, che scendono in piazza per rifiutare il fondamentalismo. Non dico che queste folle sono ispirate dal papa, ma dico che il papa è stato profetico nel condannare in modo radicale il fondamentalismo religioso ovunque si trovi. E questo rinforza la sua linea di una spiritualità critica, legata alla ragione.
Benedetto XVI è un uomo di Dio, profondamente spirituale, ma è anche un profondo filosofo che riflette su tutte le dimensioni umane e filosofiche. Lo si bolla come un “conservatore”, eppure ha avuto il coraggio rivoluzionario di affermare di fronte al mondo, che è meglio che venga un’altra guida più giovane di lui a rispondere agli appelli del nostro mondo, ispirato dal Vangelo. Benedetto XVI è semplicemente un uomo che cerca di fare luce su tutti gli aspetti della vita, illuminandoli alla luce del Vangelo. Il suo rapporto con l’islam è in linea con tutta questa visione globale: Caritas in veritate, ma anche Veritas in caritate: proclamare la verità, modestamente e senza orgoglio, tranquillamente e con rispetto.
1/02/2013 11:25
di Samir Khalil Samir
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[1] Vedi : http://www.vatican.va/holy_father/john_paul_ii/speeches/1985/august/documents/hf_jp-ii_spe_19850819_giovani-stadio-casablanca_it.html [2] Vedi : http://www.vatican.va/holy_father/john_paul_ii/speeches/2001/documents/hf_jp-ii_spe_20010506_omayyadi_it.html . [3] Vedere le foto e alcuni commenti sul sito : http://www.crisidellachiesa.com/articoli/autorita/bacio_corano/wojtyla_bacia_il_corano.htm, oppure http://nicolaiannazzo.org/2012/02/16/%E2%97%8F-quando-karol-wojtyla-bacio-il-corano-2/ e molti altri.
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