Documento vaticano chiede accoglienza e non respingimenti per chi fugge da guerre e fame.Sono almeno 100 milioni le persone costrette a lasciare la loro patria: almeno16 milioni i rifugiati, 28,8 milioni gli sfollati interni a causa di conflitto, 15 milioni i profughi a motivo di pericoli e disastri ambientali e 15 milioni i profughi a causa di progetti di sviluppo. A questi vanno aggiunti circa 12 milioni di apolidi. I governi stanno adottando politiche “sempre più restrittive”, mentre dovrebbero assicurare uno status di protezione sussidiaria”. La Chiesa “sente il dovere di manifestare la sua vicinanza ai rifugiati e alle persone forzatamente sradicate”, sia facendosi carico, nei limiti delle sue possibilità, dei loro problemi, sia prendendo le loro difese, anche “alzando la voce per farsi interprete di chi non riesce a farsi sentire”.
Città del Vaticano (AsiaNews) – I governi stanno adottanda politiche “sempre più restrittive” nei confronti di coloro che hanno lasciato il loro Paese, almeno 100 milioni di persone: si tenta di bloccare chi è in fuga, di limitare il numero dei richiedenti asilo, in sintesi “sempre più spesso si adottano misure di deterrenza invece di incentivi per il benessere della persona umana, la tutela della sua dignità e la promozione della sua centralità”. E’ il motivo di fondo che ha spinto due dicasteri vaticani, il Pontificio consiglio per la pastorale dei migranti e il Pontificio Cor Unum a elaborare e rendere pubblico, oggi, il documento “Accogliere Cristo nei rifugiati e nelle persone forzatamente sradicate”, che è a un tempo un esame della situazione e una denuncia.
Il documento, ha affermato il card. Antonio Vegliò, presidente del Consiglio per i migranti, “mette l’accento sull’urgenza che siano garantiti almeno i diritti enumerati dalla Convenzione sui Rifugiati del 1951, pur riconoscendo che quell’importante strumento è tuttavia minimale, aperto al miglioramento. Si tratta, infatti, di dare nuova vita allo spirito del 1951, che conduca a politiche lungimiranti capaci di rispondere integralmente ai problemi di oggi e a quelli che già si affacciano sul domani”.
La Chiesa – “convinta che sia responsabilità collettiva, oltre che di ogni singolo credente, la sollecitudine pastorale per tutte le persone che, in vario modo, sono coinvolte nelle migrazioni forzate” – “sente il dovere di manifestare la sua vicinanza ai rifugiati e alle persone forzatamente sradicate”, sia facendosi carico, nei limiti delle sue possibilità, dei loro problemi, sia prendendo le loro difese, anche “alzando la voce per farsi interprete di chi non riesce a farsi sentire”.
I numeri dicono che il problema riguarda almeno 16 milioni di rifugiati (tra cui i richiedenti asilo e i Palestinesi sotto l’Agenzia di soccorso e lavoro delle Nazioni Unite); 28,8 milioni gli sfollati interni a causa di conflitto; 15 milioni i profughi a motivo di pericoli e disastri ambientali e 15 milioni i profughi a causa di progetti di sviluppo. A questi vanno aggiunti gli apolidi, circa 12 milioni di “persone quasi invisibili”, che non hanno documenti d’identità e con limitate opportunità di ottenere un posto di lavoro o di studiare. Essi, invece vanno trattati “nel rispetto dei diritti umani internazionali” e gli Stati “sono invitati ad adottare una legislazione sulla cittadinanza conforme ai principi fondamentali del diritto internazionale”.
“Quando l’odio e l’esclusione dalla società in modo sistematico o violento di minoranze etniche o religiose causano conflitti civili, politici, etnici, il flusso dei rifugiati si espande. Sarebbe quindi necessario garantire adeguata protezione a coloro che fuggono da violenza e disordine sociale, anche quando queste situazioni non sono causate da organi dello Stato, e assicurare loro ‘uno status di protezione sussidiaria’”. E “le famiglie dei rifugiati dovrebbero godere del rispetto della vita privata e familiare ed avere la possibilità di ottenere il ricongiungimento nel Paese di asilo con i propri familiari; guadagnarsi degnamente la vita con un giusto salario e vivere in abitazioni degne di esseri umani; i loro figli dovrebbero ricevere istruzione e assistenza medica adeguate”.
Il problema, però, non è solo di politica dell’accoglienza, se la politica restrittiva, “favorisce il contrabbando di persone e porta a situazioni pericolose, ad esempio per gli attraversamenti via mare”, il documento cerca di “mettere al centro del dibattito politico i poveri come persone che hanno uguale dignità’, in modo da “promuovere la loro partecipazione ai processi decisionali e amministrativi”, incrementare i servizi di assistenza pubblica tenendo conto dei poveri “in misura prioritaria, onorando l’impegno di raggiungere la quota dello 0,7%, cancellare il debito dei Paesi fortemente indebitati e dei Paesi meno sviluppati, con disposizioni che non li inducano nuovamente in condizioni di indebitamento”, “promuovere una riforma finanziaria e commerciale per far funzionare i mercati a favore dei Paesi in via di sviluppo, favorire il buon governo e la lotta alla corruzione, diminuire le spese militari, sviluppare ulteriori attività di ricerca e rendere disponibili farmaci contro l’Aids, la tubercolosi, la malaria e altre malattie tropicali”.
“Tutti i rifugiati – infine – hanno diritto a un genere di assistenza che includa le loro esigenze spirituali durante il periodo di asilo, possibilmente trascorso in un campo allestito per loro, e durante il processo d’integrazione nel Paese ospitante”.
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