Simbolica Teresiana

“L’acqua viva” negli scritti
di Teresa di Gesú (prima parte) di padre Gianni Iacono ocd*

Simbolica a confronto

Teresa D’Avila – come di frequente è dato riscontrare nell’esperienza dei mistici – attinge al registro del linguaggio simbolico, perché più del concetto il simbolo è in grado di restituire in forma visibile l’ineffabilità del mistero vissuto nell’esperienza spirituale.

Gesù e la Samaritana al pozzo, sec XI-XII, Salerno, Museo Diocesano

L’uso teresiano del simbolo, quale si può riscontrare dalla lettura degli scritti, risente dell’influsso della letteratura spirituale del suo tempo; tuttavia, esso ha radici ben più lontane, rinvenibili anche nell’esperienza dei primitivi.
Se, infatti, consideriamo la rilevanza del simbolo nell’antichità, si constata che anche i primitivi fanno ricorso al simbolismo, laddove esprimono il loro rapporto con il Sacro mediante figure simboliche ascensionali: la montagna, l’albero, il cielo. La simbolica desunta dall’immaginario cosmo-biologico condensa l’immediata percezione del Divino nella vita delle popolazioni primitive come una presenza tutelare e scrutatrice dei cuori.
Più tardi, maturato il cammino della riflessione filosofica, la ragione prende le distanze rispetto al divenire e si sforza di scoprire in questo strutture e leggi permanenti. La posizione dell’Assoluto non avviene più a partire da una percezione del sensibile, bensì per mezzo di concetti elaborati trasposti nell’ordine dell’Essere, Uno, Bello, Vero, Essenza ed Esistenza.
In seguito, questa acquisizione incontra il dato della fede giudeo-cristiana, secondo cui – a partire dall’assoluta trascendenza del Dio vivente nei riguardi di una creazione opera della sua libertà – Dio creatore non è condizionato da nessuna cosa preesistente, ma si situa al di là di tutto, di ogni essere, pensiero e nome.
Si perviene, allora, ad un ordine nuovo della conoscenza di Dio, per esprimere la quale i cristiani, hanno adoperato diverse serie di simboli, per significare i molteplici aspetti della vita divina: «La fecondità interiore di Dio sarà espressa con l’aiuto di immagini di organi corporali: la generazione nel seno, il soffio della bocca; oppure con le immagini vitali per eccellenza: l’albero, la gemma, il fiore, la radice; o ancora, con le grandi immagini cosmiche: le fontane di acque e le fonti luminose. Quando poi si tratterrà di descrivere l’azione di Dio nella storia degli uomini, appariranno tutti gli antropomorfismi: Dio come un vasaio, o perfino Dio che si comporta come un ubriacone».
Se guardiamo alla simbologia propriamente cristiana, con evidenza essa è molto più ricca e complessa di quella giudaica. Per i cristiani il livello spirituale si inserisce in una storia della salvezza in progressiva tensione escatologica che, per essere colta, necessita di sempre nuove forme espressive desunte dalla cultura semitica quali la vite, il pastore, i simboli dell’apocalittica; su tutte si impone il prototipo esemplare dell’esodo considerato il tipo di ogni salvezza.
Un’eco della tradizione simbolica giudeo-cristiana si riscontra nell’esperienza mistica della Santa, dove spesso si rende l’esperienza di fede come un percorso che da ultimo conduce come suo fine alla piena unione con Dio. Teresa nei suoi scritti utilizza, infatti, il simbolo del cammino come chiave espressiva del suo itinerario di fede, analogamente ad esso come figura dell’esodo, forma della Pasqua di Cristo, metafora della storia della Chiesa e della vita spirituale in genere secondo l’interpretazione comune nella tradizione giudeo-cristiana.
Precisa ulteriormente la dinamica delle relazioni interpersonali il mistero dell’Incarnazione come chiave di lettura dei rapporti di amicizia, di figliolanza, di relazione a Maria come madre, di fratellanza mistica. Tali rapporti, considerati complessivamente, conferiscono alla storia stessa di lei un alto significato simbolico-spirituale, favorito da Dio e ripreso dai mistici carmelitani, per descrivere la trascendenza dell’esperienza mistica.

Simbolica nella tradizione carmelitana

Gesù e la Samaritana al pozzo / Resurrezione di Lazzaro / Entrata in Gerusalemme, sec XI-XII, Salerno, Museo Diocesano

Allargando lo sguardo alla costellazione simbolica della tradizione degli eremiti del Monte Carmelo, si rileva nella Regola primitiva del Carmelo di sant’Alberto di Gerusalemme, nota anche a Teresa d’Avila e Giovanni della Croce, la presenza di «una costellazione di simboli che ne rivelano e, allo stesso tempo, promuovono l’identità e la coesione». Per Teresa essa è fonte, in quanto contiene l’essenza dello spirito carmelitano, ma è anche vincolo di comunione con i primi padri eremiti del Carmelo, prototipo dell’ideale di santità incarnato secondo lo spirito e il carisma carmelitano: «Ricordiamoci invece – scrive Teresa – dei nostri Padri, di quei santi eremiti di altri tempi, di cui pretendiamo di imitare la vita! Quanti e quali dolori soffrirono essi nella loro solitudine!».
La Regola esprime in modo preminente in ogni suo simbolo la centralità di Cristo in un rapporto di alleanza, servizio e fedeltà: «Vivere nell’ossequio di Gesù Cristo e a lui servire fedelmente con cuore puro e buona coscienza». La vita del carmelitano è una vita nella Signoria di Cristo, una vita in Cristo. La Regola, pur citando direttamente solo luoghi paolini, indirettamente riflette la cristologia giovannea del Verbo come immagine perfetta di Dio fatta carne: la Parola narra il mistero di Cristo, rendendolo presente e comunicandolo.
La Regola vede, pertanto, la Parola come casa dove dimorare giorno e notte: «Ciascuno rimanga nella sua celletta o accanto ad essa meditando [=dimorando] giorno e notte la legge del Signore e vegliando in preghiera». Il linguaggio rimane sempre a un livello simbolico, perché dimorare nella Parola – come nella cella – significa abitare in Gesù e nel suo amore.
Nella tradizione carmelitana si aggiunge il dimorare la vetta della montagna, archetipo che rappresenta la linea simbolica ascensionale già presente nella Scrittura: «Il Carmelo in quanto montagna evoca e si accompagna a tutte le montagne ricordate nella Bibbia, ma specialmente all’Horeb e al Tabor che vedono presente il profeta Elia assieme a Mosè che hanno prefigurato il Cristo».
Accanto alla figura della montagna vi è il simbolo della fonte che indica la via della concentrazione e della profondità interiore, così come dell’umiltà e della ricettività. La Regola si rivolge espressamente ad eremiti che dimorano presso la Fonte di Elia; questa prossimità allude al discepolato, in quanto la vita carmelitana scaturisce dalla fonte di Elia, figura di una relazione di «paternità/maternità, figliolanza, comunicazione di sapienza e dottrina».
Dimorando in quel luogo gli eremiti carmelitani attingono materialmente alla fonte dove lo stesso profeta Elia attinse la medesima acqua che simboleggia la Parola di Dio, ed in chiave cristiana anche lo Spirito Santo. Tale gesto dalla vita spirituale dei primi Padri in poi assume il significato eliano dello stare profeticamente davanti a Dio.
Teresa, per spiegare l’orazione, utilizza l’immagine della fonte, collocata al centro del suo Castello interiore – il centro dell’anima – divenendo nel suo cammino l’attrazione principale della sua ricerca: solo da quella fonte che è Cristo può attingere l’acqua viva che Gesù promise alla Samaritana.
Altro simbolo della tradizione carmelitana è quello del giardino, archetipo presente in tutte le culture per il suo legame indissolubile all’acqua come ragione della sua fioritura. Nella simbologia biblica l’acqua/pioggia è la Parola di Dio che feconda la terra del giardino: «Come infatti la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza avere irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare, perché dia il seme a chi semina e il pane a chi mangia, così sarà della mia parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto. Senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata» (Is,10-11).
Per Giovanni della Croce «Dio stesso è il giardino desiderato e la sposa vi entra per riposare in Dio», mentre per Teresa il giardino è simbolo dell’anima da coltivare con l’acqua dell’orazione.
Infine, nella Regola e nella tradizione carmelitana vi è il simbolo relazionale: padre/figlio, Signore/servo, fratello/fratello-sorella, sposa/sposo. Esso emerge anche dalla definizione teresiana di orazione intesa come «intimo rapporto di amicizia con Dio».

Cristo e la Samaritana (part.), 550-600 ca., Parigi, Museo del Louvre

In tale relazione di amicizia si staglia come interlocutore Cristo stesso, più volte descritto come termine di riferimento di ogni affetto. L’orazione teresiana, pertanto, in seno all’alto «polo della relazione [con Dio] opera la simbologia che dà nome e figura, mediante realtà concrete del mondo visibile, all’oggetto della ricerca mistica».
Teresa utilizza in modo particolare un sostrato della tradizione carmelitana di ispirazione biblica, secondo cui il Padre prende figure tradizionali: il Monte, la Fonte, il Sole, la Luce-Notte, il Centro. Tutte queste figure affettive fanno riferimento a Cristo o sorgono dal contatto con la sua sacratissima umanità.
Nell’alveo della simbolica relazionale spicca maggiormente il simbolismo nuziale. Tutti i mistici carmelitani – come Teresa di Gesù, Giovanni della Croce e Maddalena de’ Pazzi – vivono e descrivono il matrimonio spirituale: «Le nozze mistiche, l’unione trasformante, l’Amato e la Sposa che si cercano e si rincorrono, o che si trattengono a colloquio amoroso nel Carmelo, sono simboli che raggiungono vertici di espressività e bellezza, danno un tono affettivo particolarmente ricco alla relazione con Dio».

Simbolica tipicamente teresiana

Dalla simbolica di derivazione carmelitana, cui Teresa attinge ampiamente, si evidenziano alcuni nuclei basilari della simbolizzazione tipicamente teresiana: Luce, Sole e pietre preziose, Cammino, Acqua e fonte, Castello, porta e mansioni, Vino e Bottega, Fuoco e fiamma, Baco da seta e Farfalla, Matrimonio, Centro.
Fra loro meritano maggiore attenzione l’acqua, il castello, la crisalide e il simbolo nuziale, particolarmente espressivi dell’impianto dottrinale teresiano e dell’esperienza mistica della Santa.
Tralasciando gli altri, si privilegia il simbolo dell’acqua, di cui traspare una peculiare complessità sulla base della cospicua serie di occorrenze negli scritti di Teresa.
Alla luce delle considerazioni di contenuto biblico, si apprezza come l’acqua sia simbolo vivido di vitalità in ogni sua manifestazione e vettore emblematico delle iridescenze dello Spirito. Lo riprova il fatto che nel Nuovo Testamento l’immagine dell’acqua viva si applichi allo Spirito, in modo da risaltare secondo un dinamismo di progressiva interiorizzazione come Esso divenga la fonte d’acqua viva che sgorga dal cuore di Cristo.
Il movimento simbolico dell’acqua che zampilla per la vita eterna (cfr. Gv 4,14) non insiste tanto sull’impeto della sua forza scaturigine, ma vuole rimarcare il fluire secondo la sua indole perpetua (cfr. Gv 15,4-5.8). L’acqua nel suo diffondersi allude all’opera dello Spirito, sorgente di vita, di modo che l’anima si apre alla trascendenza nella semplicità e nella purezza della profondità inviolata.
Teresa, avendo compreso tale valore simbolico, applica quest’impianto concettuale alla descrizione dei metodi di orazione nei capp. 11-22 del Libro della Vita, attivando un processo di simbolizzazione capace di sostenere il suo movimento di fede, senza mai abbandonare il legame al sensibile, come forma di radicamento essenziale alla vicenda terrena e alla storicità. Ella elabora, infatti, il simbolo dell’acqua come figura di riferimento nel quadro delle quattro maniere d’irrigare il giardino, a mo’ di allegoria degli altrettanti tipi di relazione tra Dio e l’anima.
Il valore simbolico emergente da questa allegoria conduce Teresa verso la sfera spirituale, come guida che «si arresta alla soglia dell’ineffabile, ma proprio allora esso fa sentire alla coscienza che vi è un al di là, un di “più” infinito; nessun altro segno [come l’acqua] è più adeguato ad indicare la trascendenza».
L’acqua, pertanto, nel suo fluire diventa pedagogo alla vita contemplativa, perché – com’è accessibile per grazia ad ogni cristiano – muove l’anima al desiderio di Dio e nel desiderio appagato produce un moto di conversione e si pone come sprone all’azione.
Nello stadio finale della vita di orazione teresiana, infatti, quando si perviene per grazia alla fusione di sé in Dio propria del matrimonio spirituale, essere-in-Dio, cioè conformati all’umanità di Cristo, vuol dire operare come lo Spirito. L’anima, così rarefatta in Dio, si dispone in azione permanente. Lo esemplifica l’itinerario spirituale della Samaritana, nel cui percorso si identifica quello di Teresa.

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