Padre e maestro

San Giovanni della Croce e il Carmelo teresiano

F. Zucchi, Vestizione di san Giovanni della Croce, 1748

sesta Meditazione

Scritti minori
Dopo aver nei giorni precedenti dedicato la nostra riflessione al messaggio che promana dalla vita del santo Padre e dopo anche esserci resi conto che nella sua esperienza di primo carmelitano scalzo, di riformatore e di formatore di anime la vita è inseparabile dal magistero dottrinale che egli ha esercitato, vogliamo ora dedicare un po’ di attenzione proprio al magistero del santo inteso come dottrina e inteso come annunzio di verità.
Intanto dobbiamo riconoscere che questa dottrina prima di essere consegnata alla pagina scritta è assimilata da una esistenza tutta dedita al Signore, tutta fedele a Cristo crocifisso e tutta tesa a realizzare l’ideale del Carmelo.
Ed è proprio questa aderenza alla vita, questa compenetrazione tra verità e realtà che rende prezioso l’insegnamento del santo Padre. Non è il caso che io stia qui a ricordare la serie degli scritti del santo e neppure ad esaminarne la loro storia, la loro maturazione. Son tutte cose che conosciamo, alle quali però dobbiamo prestare un’attenzione in funzione del messaggio che offrono a noi, figli del santo, e offrono a noi come richiamo, come esaltazione degli ideali e anche come illuminazione per lo spirito perché la nostra vita ne sia intrisa e ne venga trasformata. Intanto dobbiamo renderci conto che per il santo Padre l’insegnamento della vita spirituale è un insegnamento caratterizzato da una costante preoccupazione: non è il tema della conversione, il tema dell’abbandono del peccato che preoccupa asceticamente il santo; egli dice espressamente che a proposito dell’ascesi per la conversione e per il passaggio dalla morte alla vita e per il passaggio dal peccato alla virtù esistono insegnamenti tradizionali nella chiesa che non hanno bisogno, dice lui, di essere da me ripetuti.
A questa scuola del Signore Gesù siamo tutti, ma il santo dice che vuole preoccuparsi soprattutto dell’itinerario nella via della perfezione e nella via della perfezione della carità. Non è tanto l’aspetto negativo della conversione e il passaggio dalla morte alla vita ma è la cultura della vita spirituale, è il progredire della vita spirituale che l’occupa e lo preoccupa, e d’altra parte bisogna anche capire che l’ambiente nel quale il santo operava era soprattutto quello dei monasteri delle carmelitane, quello dei conventi dei frati scalzi e poi quello di un gruppo privilegiato di persone.
Questa circostanza per cui il santo padre è maestro soprattutto per chi cammina nelle strade della perfezione cristiana va tenuto presente. Non che trascuri il peccatore, non che neghi a lui i consigli della sua sapienza, ma la sua preoccupazione, dobbiamo dirlo, è soprattutto una preoccupazione di animazione della santità nella sua famiglia religiosa.
E qui bisogna ricordare che i suoi scritti promanano ancora una volta da una sua esperienza; non sono nati a tavolino prima di tutto, ma sono nati da un ministero della Parola esercitato con singole anime, ripetuto in ambienti diversi e vorrei dire generalizzato ad una animazione del Carmelo nuovo che ha tanto bisogno di ritrovare le sue profonde ispirazioni contemplative e le sue generose espressioni della carità.
Il santo nell’accingersi a essere maestro, lo ripete anche lui, è preoccupato soprattutto di attingere alle fonti della verità e sottolinea parecchie volte che l’ispirazione del suo insegnamento è legata all’ascolto della parola di Dio ed è legata alla fedeltà al Magistero della Chiesa. Io credo che questa annotazione che il santo ripete abbia un suo significato prezioso perché qualifica la dottrina spirituale del santo che è frutto di una sua interiore e approfondita riflessione: sapeva la bibbia quasi a memoria, era fedelissimo agli orientamenti della chiesa e di qui traeva la sicurezza e tante volte dice: se quello che sto dicendo dovesse in qualche modo non essere conforme alla dottrina della Chiesa o alla Parola di Dio sia per non detto.
Questa connotazione di fedeltà a me pare tanto importante, anche perché un certo vezzo di trattare il santo Padre come un originale che ha detto cose che nessuno ha detto, che si è incamminato per strade che nessuno ha esplorato, emarginandolo quindi dalla esperienza viva della vita e riducendola ad un maestro avventuroso che pochi possono seguire, no! È un maestro che si fa voce della voce di Dio e della voce della Chiesa. L’osservazione è anche preziosa perché il tempo nel quale il santo comincia ad essere dottore e maestro è un tempo attraversato da esperienze spirituali originali e nuove e anche da tutti quei rinnovamenti che il Concilio di Trento ha cominciato a far fermentare. Il confronto con l’esperienza, la praticità concreta rappresentano per il santo degli ambiti nei quali intende muoversi e nei quali intende condurre le anime.
Un’altra osservazione che va fatta e che conferma ciò che ho detto è anche il fatto che il santo non ha scritto mettendosi dell’atteggiamento del maestro che sale in cattedra o del maestro che si chiude in cella e passa il tempo a tavolino a compulsare documenti, a elaborare citazioni o cose del genere. I suoi scritti sono tutti originati da incontri d’anima, sono tutti motivati dall’interesse per il bene spirituale che alle volte è significativamente molto personale e individuale e alle volte invece è diretto alle comunità di cui è confessore o di cui è superiore.
Un’altra caratteristica è che proprio in questo clima il suo magistero prima di enuclearsi in trattati accuratamente elaborati si esprime nella vivacità degli aforismi, delle sentenze, e a me pare che da questo punto di vista sia anche necessario riconsiderare un fatto: le edizioni delle opere del santo Padre danno importanza ai grandi trattati, la Salita al monte Carmelo, La Notte oscura, il Cantico spirituale, la Viva fiamma d’amore, e certo questo gruppo di trattati maggiori, se cosi si vuol dire, rappresentano l’organica e maturata sintesi della sua dottrina spirituale, però sarebbe un errore se noi non volessimo prestare attenzione a quella serie notevole di scritti minori che rivelano di più la loro origine concreta di consigli dati, di avvertimenti sottolineati, di richiami fatti a persone, o di illuminazioni offerte a creature singole. E io penso che per una penetrazione della dottrina del santo Padre un’attenzione particolare a questi cosiddetti Scritti minori debba essere, specialmente al Carmelo, dedicata con molta perseveranza.
Non per caso le Cautele del santo Padre, le cautele per non essere vittime del mondo, del demonio e della carne, cautele che il santo ha scritto consegnandole al monastero delle carmelitane scalze di Baeza, mi pare che meritino di essere attentamente considerate perché ancora una volta non sono cautele volte a convertire un peccatore ma ad aiutare un cristiano che è già affascinato dall’amore di Dio, che è già affascinato dagli ideali contemplativi e che è già incamminato ad una fedeltà specifica che caratterizza la vita come questo Carmelo rinnovato che al santo padre sta tanto a cuore. Un altro scritto che mi pare di estrema importanza è quello che oggi va comunemente come quelle parole di verità, Le parole di luce e Punti di amore.
Noi sappiamo che il santo Padre non ha organicamente composto questi due scritti, Le parole di luce e Punti di amore, ma la composizione è il risultato di tanti biglietti, di tanti avvertimenti, di tanti casi singoli espressi nel concreto della vita di tante anime e maturati nella preoccupazione della fedeltà agli ideali della riforma da parte dei frati e delle monache. A me pare che insieme alle Cautele, questo trattatello delle Parole di luce e di Punti di amore, abbia ricevuto un’attenzione minore di quello che merita, perché in queste due operette spirituali appare evidente che il santo Padre intende condurre le anime verso una pienezza di perfezione evangelica e verso un’esperienza consumata dell’amore di Dio in tutte le sue esigenze di comunione, di unione e di trasformazione.
È il genio degli aforismi questo che domina in questi scritti, però vorrei dire che non possiamo mai dimenticare che non sono nati così, a tavolino, da parte di un autore che ama essere, appunto, un piccolo Seneca o un autore compendioso; sono nati dall’esperienza della vita, i destinatari sono molti e molte, e questa fioritura spontanea del cuore e dello spirito di Giovanni rivela ancora una volta l’immedesimazione della vita con la dottrina e quindi la realizzazione di un ideale che gli sta a cuore, che lo sostanzia e che vuole a tutti i costi e ad ogni prezzo offrire ai fratelli e alle sorelle con assoluta fedeltà ed assoluta perseveranza.
A me pare che per i nostri esercizi di questi giorni e per gli esami di coscienza che certamente stiamo portando avanti ciascuno per conto proprio, quest’attenzione a questi scritti debba essere ribadita. Vorrei proprio dire che se non ci si muove di lì si rischia di recepire il magistero del santo come una dottrina avulsa dalla vita, come un ideale intorno al quale si può anche sognare, ma non si riesce a percepire la concretezza operativa che questa dottrina deve possedere, ed ha di fatto, purché trovi fedeltà, trovi l’umiltà e la pazienza, trovi soprattutto la libertà del cuore e della vita.
A me pare ancora di poter dire che l’attenzione agli scritti cosiddetti minori del santo Padre non è un accessorio completivo dell’attenzione ai grandi trattati, è vero il contrario. E io credo che nell’attenzione lungamente riflettuta e meditata di questi scritti stia nelle nostre anime il segreto per una disponibilità per una docilità e per una facilità ad intendere i grandi trattati che per la loro sistematicità e per la loro elaborazione culturale si presentano al primo impatto tanto complessi e non facili se non sono maturati in un clima, appunto, di aforismi e di punti luminosi come il santo Padre ce li ha dati e come la nostra tradizione spirituale ce li ha trasmessi. Forse abbiamo bisogno di riprenderli in mano questi scritti minori e troveremo lì intanto che l’amore di Dio va vissuto, che l’amore di Dio non è un mezzo, ma l’amore di Dio è un compimento, è un fine, e che tutto il resto della vita spirituale deve essere frettolosamente accelerato per arrivare all’esperienza dell’amore di Dio.
Questa distinzione fondamentale che fa della carità un itinerario di perfezione e della carità che invece è la perfezione in qualche modo assaporata e vissuta, si apre in una dinamica graduale che conosce molte tappe ma che è la vita spirituale. Il declassamento della carità a mezzo non appartiene alla visione spirituale del santo Padre, né alla sua esperienza, e l’assolutezza con cui lui presenta il mistero della carità di Dio incarnatosi in Cristo e continuamente annunziato dalla Chiesa non è tanto una presentazione dei mezzi ascetici ma è piuttosto l’illustrazione di che cosa sia essere amati da Dio ed amare Dio, il che non è mezzo ma è compimento, il che non è struttura ma è realtà concreta, il che non è frutto della fatica dell’uomo ma del dono di Dio. Da questo punto di vista io credo che abbiamo bisogno veramente di una rilettura della dottrina del santo Padre proprio per sceverare quello che è propedeutico e che è dispositivo alla esperienza della carità. Questa preoccupazione fondamentale di illustrare la santità come pienezza di carità mi pare che nel santo sia evidente e sia traboccante da ogni punto di vista. Visioni più ridotte, e visioni soprattutto strumentali che fanno della dottrina del santo Padre un itinerario verso la carità mi pare che siano riduttive, qualche volta siano devianti, e qualche volta ancora espongano il nostro patrimonio spirituale a quelle commistioni tra il sacro e il profano, la cultura e la sapienza di Dio che finiscono con ingombrare il cuore che finiscono con l’annebbiare la mente e rendere l’esperienza una problematica che non ha mai fine.
A me sembra che dobbiamo stare molto attenti, specialmente di questi tempi, e non problematicizzare la dottrina del santo Padre: è stato fatto anche troppo. Ma in lui, attraverso il messaggio anche scritto che ci ha lasciato, questa complessità, questo problematicismo non esiste, ma esiste soltanto l’accettazione di un dono che è ineffabile, l’abbandono fiducioso ad una grazia che è inesauribile e una perseveranza nell’aspettare l’eternità mentre la comunione matura e mentre l’unione trasformante compie i suoi passi, non più come un itinerario dispositivo e di mezzi, ma come esperienza già cominciata e già portata avanti, di fine e di fine ultimo della vita dell’uomo.
Tutto questo mi sembra che debba essere ribadito. Riprendiamo gli scritti del santo Padre in mano ma leggiamoli non nella logica di una teologia astratta, separata dalla vita, oppure in una esperienza puramente umanistica e psicologica e culturale, perché se ci mettiamo in queste prospettive rischiamo veramente di alterare il messaggio del santo e di inaridire la nostra stessa vocazione.
Queste cose a me sembrano tanto vere e sembrano tanto fondamentali per un nostro esame di coscienza, un esame di coscienza personale. Possiamo dire che più approfondiamo il santo Padre e più ci sentiamo vivificati dalla carità, che non è polemica, che non è faziosa, che non divide ma che unisce, dalla carità che trabocca da tutte le parti di soavità, di bontà, di misericordia, dalla carità che si incentra nel mistero di Cristo in una maniera talmente appassionata e innamorata da dare consistenza ad un rapporto personale con una conferma che le preoccupazioni del santo sono essenzialmente contemplative e sono essenzialmente rivolte a trascinare le anime nei vortici della carità più che nei vortici della contrizione e della conversione. La conversione la suppone avvenuta, la contrizione la suppone permanente, ma non la illustra lasciando ai trattati di altri maestri l’illuminazione di questo momento. Noi sappiamo che il santo anche come Dottore è stato presentato come il santo della croce, ma sappiamo anche che da poco la riflessione sulla realtà dottrinale e spirituale ce lo ha fatto presentare e sentire come il Dottore dell’amore, la croce e l’amore. In fondo, nella visione di san Giovanni della Croce, le grandi austerità anacoretiche non hanno importanza se non in quanto possono diventare supporto di una libertà spirituale, di una trasparenza d’anima, di una disponibilità assoluta al dono di Dio e alla pienezza dell’unione con Cristo e, in Cristo, con Dio. Forse abbiamo ancora bisogno di approfondire queste verità per liberarci da questi schematismi che inaridiscono il cuore e da certe pretese che vorrebbero presentare il santo Padre come un intollerante ed intrattabile maestro che non ha misericordia della povertà degli uomini e non ha pazienza con le loro lentezze, le loro pigrizie e le loro miserie, non è vero! Il santo precisamente attraverso il fulgore della luce della verità, e attraversa il fuoco della carità intende operare tutto, e qui dobbiamo rendereci anche conto di un’altra prospettiva tipicamente sangiovannea: egli si preoccupa meno di insegnare agli uomini l’ascesi della volontà, l’ascesi della purificazione dal vizio, del rifiuto del peccato, ma si preoccupa soprattutto di innamorare le anime.
È la teologia della carità che lo domina, è l’esperienza che solo l’amore è tutto, è la convinzione che se non si scopre il mistero di Dio Amore la santità non cammina e la conversione non matura e la fecondità della vita non si realizza. È il santo dell’amore. Soltanto che bisogna riconoscere che il modo di intendere la carità del santo è essenzialmente teologale, ne riparleremo, ma è necessario dirlo subito: amare Dio è spogliarsi per Dio di tutto ciò che non è Dio.
Tre volte ha nominato Dio in una definizione dell’amore. È una costatazione che dobbiamo fare e fissare profondamente nel nostro spirito: troppi discorsi su Dio non nominano Dio. Troppi discorsi sull’amore di Dio vanno intorno al mistero invece di entrarci dentro, è un mistero che ci si limita a credere, un mistero che qualche volta ci si limita ad onorare ma da cui non ci si lascia travolgere. Per il santo Padre non è così. La sua prospettiva della carità è una prospettiva di carità identificante: bisogna amare Cristo, e amare Cristo è un impegno che non finisce mai. Pensiamo per un momento alle dottrine spirituali che prevalgono in questo tempo della vita del popolo di Dio.
C’è certo la consapevolezza che solo Dio è la sorgente della carità, c’è certo il convincimento che solo Dio è l’oggetto della carità, è la sorgente della carità ed è la fine gloriosa e trionfante della carità, questo c’è, ma nell’esperienza delle anime la moltitudine delle mediazioni diventa tale per cui troppe volte siamo affaticati dai mediatori e dalle mediazioni, rallentando l’impatto vificante e trasformante con questo Dio della carità, con questo Dio dell’amore. In fondo il santo Padre con la sua dottrina ha insistito molto ed ha messo in evidenza che Lui come rapporto esaustivo della nostra vita di cristiani. Forse abbiamo bisogno di ritornare a questa concretezza del vissuto senza star lì a perderci dietro alle grandi analisi del profondo, a cui anche il santo Padre è stato sottoposto ed è tuttora sottoposto, rallentando gli slanci del fervore, rallentando le luminosità dell’esperienza che insegna e fa sapienti, e della virtù che fa generosi e degni del Signore benedetto.
Forse da questo punto di vista abbiamo bisogno di rivedere i nostri impegni e l’occasione del Centenario, secondo me, è un occasione preziosa, è un momento nel quale la presenza del santo Padre, dottore dell’amore, dottore dell’amore trasformante, dottore della comunione con Dio, esempio della contemplazione indefettibile e di una preghiera perenne, tutto questo ha bisogno di essere ripreso in mano, ma con il cuore acceso, con l’anima viva e con i desideri della vita fatti grandi e con la fiducia nella santità rinnovata nel fervore.
A me pare che l’approccio e l’accesso a questo magistero del santo abbia davvero bisogno di ritrovare i suoi slanci, semplificati dal mistero dalla carità, semplificati dalla docilità alla Chiesa, semplificati dalla fraternità della comunità carmelitana, semplificati dal fervore dei desideri e dalla letizia profonda e tranquilla del cuore. Son queste le cose che a me sembrano importanti per progredire e per far sì che il nostro centenario non sia una memoria di ciò che fu, ma sia l’accendersi di un fuoco che non si è mai spento e sia anche il ravvivarsi di un carisma di cui siamo depositari per noi e per la nostra santità, ma anche per il bene della Chiesa e per la salvezza del mondo.
Detto questo io non voglio escludere che a qualcuno tocchi anche lo studio della dottrina del santo Padre per analisi più profonde, anche psicologiche e antropologiche, non lo voglio escludere.
Mi pare però importante che non confondiamo questo approfondimento psicologico e antropologico con l’approfondimento spirituale in cui ci abbandoniamo alla luce, al fuoco della carità, alla fecondità della carità. Parole di luce e punti di amore. Insisto su questi due termini che sono del santo Padre e che dicono tanto bene come il frammento, oggi si chiamano così gli aforismi del santo, non sia un frammento malamente compaginato ma siano i momenti palpitanti, vibranti, vorremmo dire saettanti di un magistero che prima di essere dottrina è esperienza viva del Signore.
Ricordiamo tra gli aforismi del santo quello che nomina con particolare attenzione e raccomanda con particolare fedeltà l’esercizio ascetico, ma non soltanto ascetico delle preghiere saettanti, infiammate, quegli atti anagogici di cui ha parlato tante volte e che a me pare debbano essere i segni di una vivacità spirituale che erompe spesso e volentieri nell’esperienza di chi lo segue e nell’esperienza di chi professa una regola nella quale “vivere in obsequio’’ di Cristo e il Vacare Deo sono costanti che mai possono venir meno, ma che sempre devono alimentare l’entusiasmo, il fervore, l’impeto della carità. Io credo che questo approccio della dottrina e degli scritti del santo Padre abbia un suo grande vantaggio, quello di non impegnare troppo le nostre meningi cerebrali, che oltretutto sono insidiate e intossicate dai problematicismi di moda, ma abbia invece l’efficacia di accendere il fuoco, di mantenere il focolare acceso e di nutrirlo precisamente con dei frammenti di verità che sono luce, ma soprattutto con dei frammenti di Vita che diventano amore.
Per questa strada cammineremo, per questa strada diventeremo figli fedeli di Giovanni della Croce e resteremo nella Chiesa punti di riferimento per aiutare tutti a capire che casa voglia dire essere amati da Dio e amare Dio. La vita è qui, il resto è propedeutica, il resto è cammino, ma la vita è questa: essere amati da Dio e amare Dio. Il santo ce lo ha insegnato con la vita e ce lo ha illuminato con la sua ineffabile e benedetta dottrina.

F. Zucchi, Angeli con gli strumenti di penitenza, 1748
  • Testi delle meditazioni dettate da padre Anastasio Ballestrero ocd per gli esercizi spirituali tenuti a Bocca di Magra (SV) nel 1990, in occasione del IV Centenario della morte di san Giovanni della Croce e pubblicati con il titolo Dove non c’è amore metti amore, edizioni OCD 1990

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