Martiri missionari

[zilla_alert style=”white”] Nella Giornata dei missionari martiri un testo dell’arcivescovo Romero tratto da un nuovo libro che raccoglie alcuni suoi discorsi.
© DR
di Oscar Arnulfo Romero

Oggi è l’anniversario dell’uccisione dell’arcivescovo Oscar Arnulfo Romero e ormai da qualche anno per la Chiesa è diventato il giorno in cui mettere al centro la testimonianza dei martiri missionari. Inserendoci in questa prospettiva proponiamo oggi il testo di un’omelia pronunciata dall’arcivescovo Romero tratta dal nuovo libro «La Messa incompiuta. Le ultime omelie di un vescovo assassinato» pubblicato dall’editrice EdB. [/zilla_alert]

A motivo delle molteplici relazioni con l’editrice del giornale El lndependiente mi sono potuto unire profondamente ai vostri sentimenti filiali per la morte di vostra madre e, specialmente, a quello spirito nobile che fu Doña Sarita, che pose tutta la sua formazione culturale, la sua sensibilità, al servizio di una causa tanto importante in questo momento: la vera liberazione del nostro popolo. Io credo che i suoi fratelli, questa sera, debbano non solamente pregare per il riposo eterno della nostra cara defunta, ma soprattutto raccogliere questo messaggio che oggi ogni cristiano deve vivere con onestà. Molti, e questo ci sorprende, pensano che il cristianesimo non debba porsi su questo terreno, mentre è tutto il contrario. Avete appena finito di ascoltare nel vangelo di Cristo che è necessario amare non soltanto noi stessi, che uno non deve cercare di non esporsi a quei pericoli della vita che la storia esige da noi, che chi vuole tenersi lontano dal pericolo, perderà la sua vita. Viceversa, chi si impegna per amore di Cristo al servizio del prossimo, vivrà come il chicco di grano che muore, ma solo apparentemente muore. Se non morisse, rimarrebbe solo. Se c’è un raccolto è solo perché muore, lasciandosi immolare in questa terra, disfacendosi e solo disfacendosi produce raccolto. Nella sua eternità Doña Sarita ha ricevuto meravigliosamente la conferma di questa pagina che ho raccolto per lei dal concilio Vaticano II, e dice: «Ignoriamo il tempo in cui avranno fine la terra e l’umanità e non sappiamo il modo con cui sarà trasformato l’universo. Passa certamente l’aspetto di questo mondo, deformato dal peccato. Sappiamo, però, dalla rivelazione, che Dio prepara una nuova abitazione e una terra nuova, in cui abita la giustizia, e la cui felicità sazierà sovrabbondantemente tutti i desideri di pace che salgono nel cuore degli uomini. Allora, vinta la morte, i figli di Dio saranno risuscitati in Cristo, e ciò che fu seminato nella debolezza e corruzione rivestirà l’incorruzione; e restando la carità con i suoi frutti, sarà liberata dalla schiavitù della vanità tutta quella realtà che Dio ha creato appunto per l’uomo. Certo, siamo avvertiti che niente giova all’uomo se guadagna il mondo intero, ma perde se stesso. Tuttavia l’attesa di una terra nuova non deve indebolire, bensì piuttosto stimolare la sollecitudine nel lavoro relativo alla terra presente, dove cresce quel corpo dell’umanità nuova che già riesce a offrire una certa prefigurazione che adombra il mondo nuovo. Pertanto, benché si debba accuratamente distinguere il progresso terreno dallo sviluppo del regno di Dio, tuttavia, nella misura in cui può contribuire a meglio ordinare l’umana società, tale progresso è di grande importanza per il regno di Dio. E infatti, i beni, quali la dignità dell’uomo, la fraternità e la libertà, e cioè tutti i buoni frutti della natura e della nostra operosità, dopo che li avremo diffusi sulla terra nello Spirito del Signore e secondo il suo precetto, li ritroveremo poi di nuovo, ma purificati da ogni macchia, illuminati e trasfigurati, allorquando il Cristo rimetterà al Padre “il regno eterno e universale: che è regno di verità e di vita, regno di santità e di grazia, regno di giustizia, di amore e di pace”. Qui sulla terra il regno è già presente, in mistero; ma con la venuta del Signore, giungerà a perfezione» (GS n. 39: EV 1/1439-1441).

 

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