L’Opera: la Salita del Monte Carmelo

di Tina Ciaffaglione ocds

San Giovanni della Croce, Monte Carmelo, copia dell’originale del 1580, conservato a Madrid, Biblioteca Nazionale Ms.6296

Tra le opere maggiori di san Giovanni della Croce, la Salita del Monte Carmelo è ritenuta la più complessa e dura per la severità della dottrina, ma è quella che più ci aiuta a capire l’insegnamento spirituale del santo. Dottrina comunemente chiamata del “Nulla e del Tutto”, esposta inizialmente in sintesi attraverso un grafico che san Giovanni distribuiva alle monache, è quello che troviamo all’inizio dell’opera, da lui disegnato e donato alla sua figlia spirituale, sr. M. Maddalena dello Spirito Santo, del monastero di Beas, che afferma: «Lì compose il Monte e ce ne fece una copia per ciascuna di sua mano per il Breviario, anche se poi aggiunse e cambiò alcune cose».
Quando dona il grafico della Salita del Monte Carmelo, e ne declama la poesia, il Santo ha già vissuto la sua “notte oscura”, ha sperimentato l’abbandono, la fortezza nella tentazione, l’illuminazione che ne ha fatto il maestro, il dottore mistico, padre della riforma teresiana e dei frati carmelitani, confessore e direttore spirituale non solo di anime religiose ma anche di persone laiche. San Giovanni ha vissuto la sua notte: solo, nelle mani dei nemici, privato di ogni conforto. Ha conosciuto la tentazione che fu di Giobbe, il giusto provato; l’isolamento di Geremia perseguitato e la sofferenza fisica morale e spirituale di Gesù, al quale voleva e al quale si è configurato, assimilato, durante tutta la sua vita. La vita spirituale è un cammino verso l’unione e la comunione con Dio, questo il fine dello sforzo che il Santo chiede alle anime, la meta alla quale le indirizza: «La divina luce dell’unione perfetta di amore con Dio possibile in questa vita» (Salita, prologo1).

Il Grafico
Nel grafico domina il sentiero del Nada, nulla, che sale verso la cima vasta dell’unione dell’anima con Dio, il Tutto. Nell’opera san Giovanni richiama varie volte il disegno del monte (1S 13,10; 2S 8,7; ecc.). Osservando il monte raffigurato, delineato dal Santo, possiamo notare subito che non ha né pendici, né cima. Una circonferenza molto imperfetta, spaziosa, quasi ovale, con molte parole inscritte in varie direzioni.
In alto sulla circonferenza esterna è scritto: «monte Carmelo».
Così nel monte possiamo distinguere due parti:
• la parte inferiore o la salita, l’ascesa
• e parte superiore o altipiano

L’ascesa
Tre sentieri partono dalla base del disegno verso l’ovale della circonferenza.
Nel sentiero di destra e in quello di sinistra è scritto «cammino di imperfezione»; in quello di mezzo invece, che più degli altri si spinge verso l’alto, è scritto: «Salita del monte Carmelo. Spirito di perfezione. Nulla (scritto 6 volte). Anche sul monte nulla.» Il sentiero termina all’esterno della piccola circonferenza formata dalle parole: «Vi introdussi nella terra del Carmelo perché ne mangiate i frutti», (Ger. 2,7) nel cui centro è scritto: «Solo dimora in questo monte l’onore e la gloria di Dio». (Is. 35, 1-2, 5-7)
Nella parte inferiore, alla base, dove inizia l’ascesa, la salita al monte, il santo ha scritto i principi, consigli rivolti all’anima che vuole iniziare la salita in vista dell’unione, e tracciato il cammino. Poi, a corona: virtù, doni e frutti dello Spirito Santo. All’esterno di questa corona, dall’una e dall’altra parte, si legge un’affermazione di superamento e di liberazione: a sinistra: «Nessuna cosa mi esalta», e a destra: «Nessuna cosa mi rattrista», usando ancora il termine Nada.
Più in alto, al margine del monte un’ultima scritta: «Qui già non vi è più sentiero perché per il giusto non vi è legge, egli è legge a se stesso».
Solo il sentiero del nulla conduce alla cima del monte, ma per raggiungerla bisogna staccarsi dai beni sensibili, terreni.
Il sei volte ripetuto: “Né questo”, mediante frecce, è in relazione ai beni della terra: ricchezze, gaudio, sapere, consolazione, riposo; mentre i sei: “Né quello”, alla stessa maniera si riferisce ad altrettanti beni indicati quasi con gli stessi nomi, ma “del cielo” quelli spirituali: gloria, gaudio, sapere, consolazione, riposo.
Bisogna saper dire di no a tutto quello che non è Dio, perché quando si cerca quel che non è Dio si stringe il nulla.


In alto troviamo, alla fine dei 2 sentieri di imperfezione, le scritte: «Quanto più cercai di averne con tanto meno mi trovai» (beni terreni). «Quanto più volevo averne, con tanto meno mi ritrovai» (di beni mondani e spirituali). Mentre nell’ampia vetta del monte troviamo la scritta a sinistra: «Da quando più non lo voglio, ho tutto senza volere». E a destra: «Quando meno lo volevo, ebbi tutto senza volere».
In basso a destra e in mezzo ai tre sentieri, sono scritti i versetti, distinti in due gruppi, che spiegano tutto il simbolismo del monte:
Quando san Giovanni tracciava questo grafico non aveva ancora composto l’opera, ma appare evidente che aveva già chiara, nella sua esperienza vissuta, come svilupparla. Il grafico è come una sintesi della dottrina in seguito esposta. Cerca Dio l’anima innamorata, come la sposa del Cantico in cerca dell’Amato, e con coraggio esce nella notte e decide di affrontare la Salita del monte della perfezione.

La Poesia: In una notte oscura

Nella poesia che il Santo ha probabilmente composto durante o dopo l’esperienza della prigione a Toledo e che ha ispirato l’opera, dice infatti che questa salita avviene di notte. Il Santo commenterà le due prime strofe.
Nella prima strofa, della poesia, il Santo descrive l’anima che esce nella notte oscura, nella seconda strofa dice che uscì al buio.
Il Santo distingue i diversi gradi di questa notte. Quindi, come per la notte naturale, essere all’oscuro corrisponde ad uscire a tarda sera, uscire nel buio della notte, corrisponde alla mezzanotte che non permette di vedere quel tanto che si può vedere all’oscuro. L’anima entra nella notte passiva del senso e dello spirito, se dopo la conversione, perseverando nel cammino in modo serio, con impegno, collabora all’opera di Dio e a Lui si unisce. Egli vuole significare che avvengono come due uscite, che corrispondono cioè a due stadi, quello della purificazione attiva, sensibile e spirituale, nello stato di orazione meditativa, e in seguito a quello della purificazione passiva, nella orazione contemplativa. Non si deve dimenticare che l’anima che intende affrontare questo itinerario di amore e spogliamento è un’anima di orazione che cerca Dio e nella notte, nel buio, sale il monte della perfezione. La terza notte è la meta verso cui è diretta, che è Dio, il quale è notte oscura per l’anima finché ella rimane nel mondo. Come la terza fase della notte naturale, che, anche se vicina all’aurora, quindi luminosa, è ancora oscura. L’anima dice di essere uscita con ansie in amori, non dice in ansia di amore, usa il plurale, ella è accesa, infiammata dallo spirito d’amore per l’Amato, Spirito di Dio Padre e del Figlio, Gesù. Amore di Dio Uno e Trino. «Chi mi ama sarà amato dal Padre mio – dice Gesù – e noi verremo a Lui e prenderemo dimora presso di Lui». L’anima innamorata ha in sé l’ Amore del Padre del Figlio e dello Spirito Santo.
Ella canta la sorte felice – dell’unione raggiunta.

Targa commemorativa recante i primi versi della poesia Notte oscura di san Giovanni della Croce, Toledo


L’anima – dice il Santo – esce, senza quasi trovare ostacolo, la sua casa, la natura sensibile, alquanto purificata, è quieta, ella ha chiuso gli occhi del cuore alle cose del mondo e alle creature per volgerli a Dio, l’amato del suo cuore. È come addormentata ma, ha deciso nel suo cuore il santo viaggio. È riuscita, grazie all’opera di Dio che la invitava, a rinunciare e mortificare tendenze naturali, e desideri egoistici.
La salita avviene di notte, spiegherà il Santo, notte è la nostra vita tutta. È notte perché solo l’oscurità, prove e sofferenze, può mettere in luce la nostra fedeltà al Signore. Il cammino tenebroso, che la nostra fede comporta, ha bisogno di quell’oscurità che mette alla prova la stessa nostra fede nell’amore di Dio. È il cammino della purificazione, della santità, che dispone l’anima a camminare in purezza e amore, verso la vetta del monte, che è Dio, ed unirsi a Lui. Si tratta di un itinerario che si percorre nella notte, in mezzo a grandi travagli, sofferenze e umiliazioni. L’argomento dell’opera, è l’esposizione del cammino, faticoso, per il quale l’anima deve salire per raggiungere la vetta dell’ unione con Dio.
Il Prologo ci espone anche il motivo per cui Giovanni si sente spinto a scrivere, le fonti cui ricorre e i destinatari ai quali si rivolge. Nel Prologo, introducendo l’argomento scrive: «Per spiegare e far comprendere la natura di questa notte oscura, attraverso la quale l’anima passa per giungere alla divina luce dell’unione perfetta con Dio, possibile in questa vita…», descrivendo questo cammino, afferma: «Tanto profonde sono le tenebre e così numerosi i travagli spirituali e temporali (terreni- mondani), che devono subire ordinariamente queste anime felici, prima di giungere al sublime stato di perfezione, che nessuna scienza umana è sufficiente a capirli e nessuna esperienza a descriverli».
Il motivo è l’esperienza, che il santo ha, di tante anime che Dio invita o conduce già per quel cammino oscuro, e che non hanno il coraggio di rispondere, per debolezza, o per timore, o per mancanza di guide esperte, che le incoraggino e che non le spaventino. Giovanni vuole aiutare queste anime, e favorire il progetto di Dio su di loro. Egli scrive, usando della sua esperienza vissuta, senza mai raccontare niente di personale, ma appoggiandosi alla sacra scrittura, in particolare alla parola rivelata da Gesù.
I destinatari dell’insegnamento sono tutte le anime chiamate a percorrere quel difficile cammino oscuro, che si trovano in difficoltà, soprattutto frati, monache Giovanni scrive ancora nel Prologo: «Costoro, che hanno avuto da Dio la grazia di essere stati posti nel sentiero che conduce alla cima del monte, perché già quasi distaccati dai beni del mondo, comprenderanno meglio la dottrina intorno alla purificazione dello spirito». Che dirà è la più terribile.
L’opera di san Giovanni sintetizza la tradizione cristiana, la quale insegna che l’uomo per unirsi a Dio deve passare per tre fasi, purgativa, illuminativa, unitiva. Dallo stato di principiante, dopo la conversione, allo stato di progredito, e a quello di perfetto, il santo.
L’anima deve passare attraverso un progressivo spogliamento – la notte oscura dei sensi e dello spirito- fino ad arrivare sulla vetta dell’unione con Dio. Tutto e nulla, luce e buio, aridità e desiderio, sono atteggiamenti interiori dell’anima in cammino. La notte rappresenta le avversità e gli ostacoli che ella incontra.

I tre libri della Salita

Nel primo libro san Giovanni indica tre ragioni che rendono dura la salita: la mortificazione degli appetiti (tendenze, gusti), il cammino nella fede (oscura), la comunicazione di Dio (altrettanto oscura). San Giovanni spiega all’anima la necessità della mortificazione dei sensi, in vista della purificazione, che distingue in attiva e passiva. Attiva quando con sforzo si nega ogni piacere e gusto, passiva,quando opera Dio attraverso le prove. Se l’anima collabora all’azione di Dio cammina a passo più spedito, fino a raggiungere la Vetta, l’unione. San Giovanni, nel secondo libro, descrive «la notizia amorosa», essa è una verità innamoratrice comunicata da Dio, mediante un «tocco» (2S 17,5), che penetra «la sostanza dell’anima» (2S 26,5.6): «Alto tocco di notizia e sapore» (2S 26,5); «tocco saporoso» (2S 26,7); «divino tocco» (2S 26,8). Questa comunicazione produce nel cercatore di Dio l’atto passivo di conoscenza e amore di quella notizia amorosa. Tutto questo mistero viene definito dal “maestro nella fede” «pura contemplazione» (2S 26,3) ed è «parte dell’unione» (2S 26,10).
Nell’opera il Santo analizza ed elenca la natura delle notti e le relative purificazioni, la necessità di attraversarle e spiega la natura dell’unione: per essenza, per presenza, per amore. Così come distingue i sensi corporei, (esteriori, parte sensibile): vista, tatto, gusto, odorato, udito, distingue pure le facoltà dell’anima (interiori, spirituali): intelletto, memoria e volontà; il Santo invita l’anima ad entrare nella notte dei sensi attraverso la mortificazione e a quella dello spirito mediante l’esercizio delle virtù teologali. La purificazione attiva dei sensi operata dall’anima stessa viene descritta nel primo libro; quella spirituale nel secondo e terzo libro (nel secondo la purificazione dell’intelletto, mediante l’esercizio della virtù della fede, nel terzo libro la purificazione della memoria e volontà, per mezzo dell’esercizio della speranza e carità). La purificazione – o notte- passiva, dovuta cioè all’azione diretta di Dio, viene spiegata nella Notte Oscura, nel primo libro: notte passiva dei sensi e nel secondo libro: notte dello spirito. L’anima deve disporsi alla notte oscura passiva con l’abbandono, accettando con fede e amore ogni volere di Dio.
L’argomento delle due opere Salita e Notte come pure la poesia formano quasi una sola opera. Gli avvisi – esposti nel primo libro al cap. 13, 2: «Per vincere gli appetiti, desideri, tendenze, quantunque pochi e schematici, sono, a mio parere – scrive il santo – tanto utili ed efficaci quanto concisi”; camminare per la via delle negazioni, della rinuncia, della mortificazione» (13,3).
«In primo luogo – scrive san Giovanni -, l’anima abbia un costante desiderio di imitare Cristo in ogni sua azione, conformandosi ai suoi esempi, sui quali mediti per saperli imitare e per comportarsi in ogni sua azione come Egli si comporterebbe. In secondo luogo […] è necessario che l’anima rinunzi a qualunque piacere che non sia a onore e gloria di Dio». Infine (1S 13,10-11-12) ricorda e spiega i versetti scritti alla base del disegno della Salita del Monte Carmelo. Il santo conclude il capitolo così: «In questa nudità lo spirito trova il suo riposo poiché non desiderando niente, niente lo appesantisce nella sua ascesa verso l’alto e niente lo spinge verso il basso, perché si trova nel centro della sua umiltà. Quando invece desidera qualche cosa, proprio in essa si affatica».
Nel secondo libro san Giovanni spiega la natura dell’unione, la necessità della purificazione totale, sia della mente che dalle altre facoltà dell’anima; nel cap. 7 lo sottolinea ricordando le parole di Gesù sulla porta stretta e angusta la via che conduce alla vita. «Nostro Signore […] vuole insegnarci come l’anima che desidera avanzare in questo cammino deve non solo entrare per la porta angusta liberandosi dai beni sensibili, ma anche restringersi, espropriandosi e sbarazzandosi completamente anche di quelli spirituali».
Nel terzo libro il Santo afferma che l’anima innamorata cammina sicura, poiché dall’amore deriva il desiderio d’unione, cammina sicura. Il Signore, dice, offre la sua grazia a tutti «ma si dà maggiormente all’anima più progredita nell’amore» (2S 5,4).
L’amore porta ad eliminare quanto si oppone a Dio per uniformarsi pienamente alla sua volontà.
Affidandosi alla fede, luce che la illumina, e sostiene la sua speranza, l’anima supera ogni ostacolo, nel desiderio di raggiungere l’amato per vivere in unione con Lui, ora «non gode che in lui, non spera che in lui, e non si duole che di lui; e così pure tutti i suoi appetiti e tutte le sue preoccupazioni vanno solo a lui» (3S 16,2) Le tre virtù teologali fede, speranza e carità sono le potenze divine che aiutano, sostengono, illuminano tutto l’itinerario, perché l’anima purificata somigliante a Dio si unisca a Lui per quanto è possibile in questa vita, è finalmente: «L’amata nell’Amato trasformata».

G. Sammartino, Cristo velato (part.),1753, Napoli, Cappella Sansevero

Verità e libertà nel libro della Salita

Il cammino della Salita del Monte Carmelo di san Giovanni della Croce, per quanto difficoltoso e faticoso, è il cammino di un’anima presa dall’Amore. «L’anima innamorata», che dopo la conversione si sente sempre più attratta, conquistata dal Signore, con coraggio decide di percorrere l’itinerario da lui descritto nella salita al monte della perfezione, che è Cristo, per raggiungerlo e ottenere la libertà nella verità del cammino da lui proposto. È un’anima felice che canta il raggiungimento del suo desiderio: unirsi a Dio.
Ella è passata dalle tenebre del peccato allo splendore della verità, è divenuta la creatura nuova, dal cuore libero e puro, somigliante al suo Cristo Signore, figlia nel Figlio, tempio dello Spirito Santo. È una persona veramente realizzata, non secondo il mondo ma, secondo il progetto e la volontà di Dio: «siate santi perché io sono Santo».
Attraversando di notte il sentiero della negazione a tutte le cose del mondo, ai suoi modi egoistici, superando e vincendo le ripugnanze, mortificando e rinunciando ai suoi desideri, volgendo lo sguardo a Dio solo, l’anima, ha raggiunto la meta. Quanto la base del monte separa dalla vetta, ella aveva visto la distanza infinita che separa ogni creatura dal suo Creatore e Signore, la prima verità, che non arresta né il suo cammino, né il desiderio di amarlo, ella ha imparato a vivere cercando di conoscere se stessa e Dio, che la invita, nella verità. «Se l’anima cerca Dio, molto più il suo amato Signore cerca lei» scrive san Giovanni (Fiamma 28).
Distogliendo lo sguardo da quanto il mondo propone, è salita lungo lo stretto sentiero della rinuncia a tutte le vanità. «Non conformatevi alla mentalità di questo mondo – scrive san Paolo – ma lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto» (Rm 12,2). Il cercatore di Dio comprende che per conformarsi a Cristo, per trasformarsi, deve uscire da questa forma, mondana, deve perderla, per ritornare alla forma originaria, quella della creatura creata ad immagine e somiglianza di Dio, perduta a causa del peccato dei progenitori, che il nemico aveva indotto nella disobbedienza e in seguito a questo, cacciati dal paradiso, hanno perduto l’innocenza e la sua amicizia. Infine deve guardarsi da tutto quanto il demonio può ispirargli lungo la via: paura, scoraggiamento, deve rifiutare ogni sua falsità e menzogna. Dio solo è verità, rivelata in Gesù: «Per questo sono nato – dice il Salvatore a Pilato – e per questo sono venuto al mondo: per rendere testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce». Fine della missione di Gesù è il trionfo della verità. Dice ancora Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita». Egli è la via che conduce alla verità e alla vita eterna. Il diavolo è menzogna che conduce alla perdizione e alla morte eterna. L’anima deve dunque aderire totalmente con la propria vita alla parola di Gesù, guardare Cristo nostro modello, per imparare da Lui, nostro maestro, come comportarsi.

G. Sammartino, Cristo velato (part.), 1753, Napoli, Cappella Sansevero

Lotta spirituale

San Giovanni della Croce dice che l’anima innamorata, proprio come chi vuole salire su un alto monte, deve alleggerirsi e pian piano liberarsi, perdere quei pesi inutili che la «ingombrano, opprimono e stancano», deve uscire ed entrare nella notte, senza esser vista. Deve oscurare, cioè, il suo orizzonte naturale, i suoi modi di pensare, amare, volere, e godere, deve avere, dice il santo: «Un costante desiderio di imitare Cristo in ogni sua azione, conformandosi ai suoi esempi, sui quali mediti per saperli imitare e per comportarsi in ogni sua azione come Egli si comporterebbe».
La notte è il simbolo della purificazione. L’anima, per unirsi a Dio, deve entrare e passare le fasi della notte, purificarsi con lo sforzo e l’impegno e lasciarsi purificare da Dio nelle prove da Lui permesse o volute.
Quando san Giovanni dice che l’anima deve uscire nella notte, usando il verbo uscire vuole indicare un venir fuori dall’immersione in noi stessi, nel nostro io, nel mondo e, in un certo senso, dalle possibili tentazioni del nemico, di trascinarci nella sua ribellione a Dio e al rifiuto di Lui, della sua volontà. Dio invece vuole donarci in Cristo, nella fede alla sua Parola, con l’aiuto delle grazie sacramentali che ci dona attraverso la Chiesa e il cammino di orazione, il suo infinito Amore, la sua Misericordia, la Vita, la liberazione dal male, dal peccato e dalla morte.
La libertà è dono, non conquista, né riscatto per mezzo del denaro, la libertà interiore, è dono di Dio in quanto è cammino di liberazione dell’anima, (attraverso la purificazione attiva e passiva delle notti) a quanti scelgono e accolgono la sua parola rivelata da Gesù, unico e vero liberatore e Salvatore. «Se voi rimanete nella mia parola, siete veramente miei discepoli, e conoscerete la verità, e la verità vi farà liberi» (Gv 8,31).
San Giovanni della Croce paragona la liberazione dell’anima alla sequela di Gesù, all’uscita dalla schiavitù degli ebrei dall’Egitto e il duro cammino di liberazione, per 40 anni nel deserto, verso la terra promessa, per mezzo di Mosè.
«Ogni genere di dominio e di libertà del mondo, paragonati con la libertà e dominio dello spirito di Dio, sono somma angustia e schiavitù» (1S 4,5).
L’anima dunque deve aderire totalmente con la propria vita a Cristo – Verità, in lui non è menzogna, è luce, in lui non vi sono tenebre «finchè l’anima rimane avvolta dall’attaccamento verso le creature e non fa nulla per liberarsene è come tenebra al cospetto di Dio, e non può essere illuminata e posseduta dalla pura e semplice luce divina, perché la luce e le tenebre non possono stare insieme» (1S 4,1).
La libertà interiore, spirituale e affettiva è dono di Dio all’anima che attraverso la purificazione, e una lenta ma decisa immersione nella grazia del Cristo, si lascia raggiungere dal suo amore fino agli spazi più nascosti del cuore e vive nella verità che nulla ha di buono da parte sua.
La lotta spirituale o ascesi, è la collaborazione dell’anima, lo sforzo che ella compie, per assomigliargli «Non può esserci unione, – afferma il Santo – essa si verifica solo quando c’è somiglianza d’amore». L’anima vorrebbe, poiché Dio è bellezza, bontà, gentilezza, sapienza avere un’anima bella, buona, gentile, sapiente. Vedendosi tanto diversa, vedendo le sue miserie, desiderando sempre più di amarlo con tutto il suo cuore, si ammala. Il rimedio dice san Giovanni a questa malattia d’amore è l’amore stesso, l’Amato, (vero sposo di ogni anima). L’intenso desiderio la spinge a volersi liberare da tutte le cose, attraverso la rinuncia, e secondo la Parola stessa di Gesù: «Chi non rinunzia a tutte le cose non può essere mio discepolo».

La necessità della notte

San Giovanni nei primi 13 capitoli del primo libro, spiega la necessità della notte del senso «gli appetiti intiepidiscono e debilitano l’anima in modo da renderle difficile (il cammino) e perseverare (in esso» (1S 10,1).
Facendo capire in che cosa consiste, parlando del modo in cui l’anima si deve comportare, nel cap. 15, usando l’immagine del prigioniero dimostra la libertà che acquista l’anima che per mezzo delle mortificazioni di tutti gli appetiti, della parte sensitiva, (sensi naturali esteriori: vista, udito, gusto, tatto, odorato) costringe questi a non fare più guerra allo spirito, infatti messi a riposo, addormentati, consentono la libertà per godere l’unione con l’Amato. Finché questo non avviene l’anima non volerà alla vera libertà.
«Non si possono avere due padroni», dice il Vangelo. Quando ci affezioniamo troppo a una cosa, la riteniamo più importante di un’altra; che magari è migliore, ma ci interessa di meno. Allora chi ama una cosa quanto Dio, – dice il Santo – fa poco conto di Dio perché mette su una stessa bilancia Dio e quello che è molto inferiore a Lui. In realtà quanto bene perdiamo perché non ci decidiamo mai di allontanare il cuore da tanti attaccamenti e legami! Non si esce dal tormento dei desideri finché non si sono dominati e sottoposti alla ragione e alla fede. È Dio che ci attira e, solo se lo amiamo e desideriamo, riusciremo a dominare i desideri eccessivi delle cose e della volontà. Non si avanza se non con l’imitare Cristo, nostro modello e nostra luce. Egli non ebbe altra gioia che compiere la volontà del Padre. Lasciamo quindi cadere i desideri delle cose che non ci innalzano a Dio e non fermiamoci troppo ai desideri delle cose inutili. In realtà non sono le cose in se stesse che ingombrano, opprimono e danneggiano l’anima – Dio ha creato buone tutte le cose – ma il desiderio eccessivo di esse. Gesù dice: «chi non rinunzia a ciò che possiede non può essere mio discepolo». Chi non rinunzia, s’intende con la volontà. Si può essere poveri di soldi ma non avere il cuore povero; non è la semplice privazione delle cose che ci fa poveri, se conserviamo il desiderio di esse. Se invece rinunciamo al gusto e ai desideri, il cuore è libero e vuoto, anche possedendo le cose.
San Giovanni così si esprime: «Quando un raggio di sole batte su una vetrata, se essa è appannata e sporca, il sole non vi si può riflettere. Se invece è pulita e tersa, il sole la illumina in modo tale che essa è per così dire trasformata nella stessa luce del sole, pur continuando ad essere vetro. Così se faremo posto alla Luce saremo illuminati e trasformati in Dio.»
Le anime giunte a queste tenebre e vuoto, sebbene il Santo “le chiami principianti, sono coloro che, con lo sforzo e l’impegno personale e soprattutto per la grazia di Dio, sono incamminati verso una preghiera e un’unione più perfetta, che il santo chiama “contemplazione”. Questa precisazione è molto importante e deve essere tenuta ben presente (per comprendere se stiamo cercando veramente l’Amato, se lo stiamo cercando in fede e amore,secondo l’insegnamento di san Giovanni, e, se siamo in cammino e abbiamo le caratteristiche dell’anima da lui indicata.


G. Sammartino, Cristo velato (part.), 1753, Napoli, Cappella Sansevero

L’esercizio della fede

Nel secondo libro san Giovanni spiega la seconda strofa e tratta della sorte felice, migliore della precedente, che l’anima ha avuto di liberare lo spirito da ogni imperfezione e desiderio dei beni sensibili e spirituali, e appoggiandosi unicamente alla pura fede cammina a passo più spedito e sale a Dio. La fede in Dio, nella parola, viene in aiuto quando le difficoltà lungo il cammino possono farla vacillare.
Questa virtù, la fede, viene chiamata “scala segreta” da san Giovanni perché tutti i gradi e gli articoli di fede sono segreti e nascosti al senso e all’intelletto. «La fede è, essa sola, il mezzo più vicino e proporzionato perché l’anima si unisca a Dio […] perché così come Dio è infinito, essa ce lo propone infinito; e così come Egli è Trino e Uno, ce lo propone Trino e Uno […] e così per questo solo mezzo, si manifesta Dio all’anima in divina luce, che eccede ogni intendimento. E perciò quanta più fede ha l’anima in Dio, tanto più è unita a Lui» (2S 9,1). Dunque l’anima resta al buio, abbandonando i propri ragionamenti perché vuole salire fino alla cima per mezzo della fede. Dice di camminare travestita perché ha cambiato in divino il comportamento umano, col pensare, volere, amare non più secondo il proprio modo ma secondo Dio. Dopo la conversione, inizia un cambiamento di valutazione della vita, si incomincia a rivedere la vita alla luce di Dio, questo cambiamento cambia anche il nostro agire, le nuove scelte possono creare attorno a noi ostacoli, che possono venire dal nostro io, da quelli a noi vicini, parenti, amici, falsi fratelli e dal demonio. A causa di questo travestimento, per mezzo dell’esercizio della fede, l’anima non è più riconoscibile, e non viene trattenuta dal desiderio dei beni sensibili e razionali, né dal demonio perché nessuno di questi ostacoli – dice san Giovanni – può danneggiare colui che cammina in fede. La purificazione totale sia della mente che delle altre facoltà dell’anima naturali è necessaria alla liberazione interiore, e Giovanni lo conferma con la parola di Gesù sulla porta angusta e stretta: «Per far comprendere alle persone spirituali quanto sia angusta la via che, secondo le parole del Salvatore, conduce alla vita» conviene porre attenzione alle parole che dice «quanto angusta è la porta e stretta la via che conduce alla vita, e pochi sono coloro che la trovano». San Giovanni sottolinea che, con la particella “quanto”, il Signore vuole dire: In verità è molto stretta più di quanto non crediate. Egli afferma che la porta è angusta, per far comprendere che, per entrare attraverso questa porta, la quale è Cristo, principio del cammino, l’anima deve restringersi e spogliare la volontà di tutte le cose sensibili e temporali, amando Dio al di sopra di tutto nostro Signore soggiunge che la via della perfezione è stretta, poiché comporta un restringersi espropriandosi anche di quelli spirituali, la causa per cui egli dice che sono pochi coloro che la trovano, va ricercata nel fatto che poche sono le anime le quali sappiano e vogliono entrare in questa nudità e perfetto vuoto di spirito (2S 7, 1-2-3) e restare nell’aridità, nella sofferenza e nei travagli, in cui consiste la pura croce e la nudità dello spirito povero di Cristo essa deve essere come una morte. Il Salvatore afferma: «Chi vorrà salvare la sua anima, la perderà, cioè chi vorrà cercare o possedere qualche cosa per sé, perderà la sua anima […] colui che per Cristo rinuncerà a tutto […] scegliendo ciò che più somiglia alla croce, […] costui la guadagnerà […] il Divino Maestro ai due discepoli che gli chiedevano di sedere alla sua destra e alla sua sinistra nel regno dei cieli […] propose loro il “calice” che Egli stesso avrebbe bevuto consiste nel morire alla propria natura spogliandola e annientandola (nei sensi e nello spirito), affinché l’anima possa avanzare sulla via angusta […] non vi è luogo in essa (via) se non per la rinuncia e per la croce, la quale è il bastone su cui appoggiarci, che alleggerisce e rende più facile il cammino» (2S 7, 5 – 6 – 7).
Secondo il Santo sono solo le tre virtù teologali, fede speranza e carità, le forze divine, soprannaturali, che insieme purificano le potenze dell’anima, intelletto, memoria e volontà e le dispongono all’unione con Dio. La fede opera il vuoto e l’oscurità delle conoscenze nell’intelletto. Dio è infinito più grande di tutto ciò che possiamo pensare e sentire di Lui. La Rivelazione ce lo dona così come egli è; la nostra risposta è la fede. Fede che deve diventare sempre più viva, totale, senza di essa «è impossibile piacere a Dio» (Eb 11,6).

F. Queirolo, Amor divino, (part.), 1750 c., Napoli, Cappella Sansevero

Orazione meditativa e contemplazione

Nei cap. 12-15 il Santo tratta della conoscenza che l’intelletto esercita nell’anima tramite le facoltà interne della immaginazione e della fantasia. Attraverso queste due facoltà, l’intelletto esercita la meditazione, orazione discorsiva, fornendo con le rappresentazioni e le immagini, materiale per fare le sue riflessioni e considerazioni, il suo discorso, la sua orazione meditativa. Questo grado di orazione, nella vita spirituale ha grande importanza, ma san Giovanni con la sua profonda analisi ha dimostrato che proprio la necessità delle immagini e del discorso, possono costituire un “limite” e quindi un’imperfezione, nella realizzazione dell’unione con Dio.
Questa forma di liberazione (dal discorso e dall’uso dell’immaginazione e della fantasia) avviene per bontà divina, è dono ma, interpella la collaborazione dell’anima. Tra l’orazione meditativa e la contemplazione, culmine della vita spirituale, beatitudine dei puri di cuore, il Santo dimostra che l’anima in certo senso si perde, entra in crisi, spirituale e psicologica, necessita di una guida sicura che possa illuminarla per farla proseguire, in questo momento ricco di mistero, e giungere verso più alti gradi di orazione e di unione.
Avviene che la dolcezza provata agli inizi del cammino nella pratica delle virtù e nell’orazione viene meno, è il Signore stesso che provoca l’aridità nell’anima. Questo intervento di Dio è paragonato dal Santo al divezzamento del bambino che al momento giusto viene dalla mamma privato del dolce latte e nutrito con cibi solidi. All’aridità, secondo il nostro Santo, deve seguire mancanza di soddisfazione nelle cose di Dio e nelle cose create; infine il segno più sicuro è che l’anima in mezzo alla sua aridità rimane nell’ansia di non servire Dio, di fatto in questa preoccupazione l’anima rimane occupata e come assorta in Dio, e gradualmente questa attenzione, sguardo amoroso a Lui, le darà conforto perché generata dall’amore.
«Impari dunque lo spirituale a starsene con avvertenza (attenzione) amorosa in Dio, riposando con l’intelletto quando non può meditare, benché abbia l’impressione di non concludere niente […] se avesse lo scrupolo di non far niente ricordi come non sia indifferente il lavoro che egli compie rendendo l’anima pacifica e quieta, liberandola cioè da qualsiasi attività e appetito, secondo quanto Nnostro Signore chiede a noi per mezzo di Davide (Sal. 45,11), come se dicesse: Imparate a essere liberi da tutte le cose, cioè interiormente ed esteriormente, e conoscerete che io sono Dio». (2S 15, 5).


Napoli, Cappella Sansevero, interno (part), XVIII sec.

Conoscenza per via soprannaturale

San Giovanni dedica il resto del secondo libro alle varie forme di conoscenza che vengono comunicate all’intelletto per via “soprannaturale”, sia tramite i sensi esterni o interni, sia direttamente all’intelletto da Dio, Creatore dell’uomo e delle sue facoltà, fonte di ogni conoscenza e verità, per quei mezzi di cui Egli solo ha il dominio. In questi capitoli il Santo tratta quindi delle visioni, rivelazioni, locuzioni, e altri doni […] Egli, pur riconoscendo il valore di queste comunicazioni divine, invita le anime non solo a non cercarle, ma a non desiderarle, poiché ogni conoscenza “particolare”, non solo non unisce l’anima a Dio, ma può allontanarla, bloccare il suo cammino, arrestarla nel compiacimento di sé, e nell’illusione di essere già unita al Signore. «Chi volesse interrogare il Signore e chiedergli qualche visione o rivelazione non solo commetterebbe una sciocchezza, ma arrecherebbe un’offesa a Dio, non fissando i suoi occhi interamente in Cristo per andare in cerca di qualche altra cosa o novità […] il Signore potrebbe rispondere in questo modo: se io ti ho detto tutto nella mia parola, cioè nel mio Figlio, e non ho altro da manifestarti, come ti posso rispondere o rivelare qualche altra cosa? Fissa gli occhi in Lui solo […] poiché Egli è ogni mia locuzione e risposta, ogni mia visione e rivelazione […] dandovelo per fratello, compagno, maestro, prezzo e premio […] ho dato tutto. Tu dunque non desidererai né chiederai nessuna rivelazione o visione da parte mia: guarda bene il Cristo […] guarda mio Figlio obbediente a me e per amor mio sottomesso e afflitto e vedrai cosa ti risponderà […]» (2S 22, 5).
San Giovanni invita le anime alla liberazione, ad un rapporto di amore gratuito con Dio, di dono e non di desiderio di ricompensa, all’uguaglianza d’amore.

Speranza e carità

San Giovanni propone all’anima di appoggiarsi alla fede nella parola, guardare al Cristo, povero, Crocifisso, non a quello che può intendere o vedere, andare “oltre il visibile o il conoscibile”. Si tratta della purificazione e della notte attiva della memoria e della volontà che avvengono per mezzo delle virtù della speranza e della carità, oggetto del terzo libro della Salita. Il nostro Santo spiega che abbiamo tante false immagini di Dio, e dei suoi doni, per questo dice: «Né per i beni della terra né per i beni del cielo, ma tutto per amore di Dio solo, anche quando non si comprende più». […] La speranza, viene in aiuto, essa è la virtù che vuota ogni forma di possesso e di conservazione nella memoria. La memoria è la sede, il luogo di ogni ricordo, immagine, esperienze di vita, è come un archivio dove possiamo rivedere, riguardando come in un film avvenimenti gioiosi o tristi, persone care, ecc. Attraverso la memoria possediamo tutta la nostra esistenza, la trama della nostra vita. Al contrario la speranza è il “non posseduto”, “non visto”, “non presente”; è tutta desiderio, attesa di Dio solo, di Dio come Bene assoluto. L’unica luce che ci guida alla speranza è ancora la fede, afferma Giovanni, si sale di notte il monte «senz’altra luce e guida se non quella che in cuor mi riluce». L’anima deve camminare lasciandosi guidare dalla luce della fede che la invita ad alzare gli occhi al cielo, a salire al cielo, a guardare verso la Chiesa del cielo, dove sono già i santi- che per fede sono nostri concittadini – secondo san Paolo. Poiché però anche la fede è conoscenza oscura, che non rimuove l’oscurità, la lontananza del bene della speranza, l’anima deve abituarsi al buio, al vuoto, all’assenza, nell’attesa. Per crescere, lungo il cammino, nella rinuncia e nel distacco, nella libertà interiore, sia dai beni sensibili che spirituali, l’anima deve riformare la memoria da tutto ciò che l’attrae e la incatena. Il motto della virtù teologale è “dimenticare”.
«Ella, (l’anima) impari a porre in silenzio, e a tacere le potenze affinché parli Dio, perché per giungere a questo stato (di unione con Dio) è necessario perdere di vista le operazioni naturali, cosa la quale si realizza, allorché l’anima, come dice il profeta (Os 2,14) giunge secondo queste potenze alla “solitudine” in cui “Dio parla al cuore”» (3S 1-3, 15).
L’esercizio della carità opera il vuoto e lo spogliamento di ogni affetto e di ogni piacere di ciò che non è Dio e libera la volontà che desidera Dio al di sopra di tutte le cose. L’unione si ha quando le due volontà, quella umana e quella divina sono conformi.
San Giovanni afferma che il Signore dimora sostanzialmente nell’anima, anche in quella del più grande peccatore della terra (2S 5,3) – questo è il primo genere di unione fra creature e Creatore, il quale in forza di essa conserva loro l’esistenza, senza la quale cessano di esistere ritornando al niente. Il Santo non parla di questa unione, che esiste sempre, ma si riferisce all’unione e trasformazione dell’anima in Dio, che non si verifica sempre ma solo quando viene a esservi somiglianza d’amore. «Invero – spiega – tutto il lavoro necessario per giungere all’unione con Dio consiste nel purificare la volontà dalle sue affezioni […] affinché essa da vile e imperfetta divenga divina, identificata, (somigliante) con quella di Dio» (3S 16-45).
Quattro sono le passioni all’origine delle affezioni, tendenze e attività della volontà: gioia, speranza, dolore, timore.
Con la precisione solita il nostro Santo divide i beni oggetto della gioia in sei categorie: beni temporali, naturali, sensibili, morali soprannaturali, spirituali (3S 17, 2). Il metodo si ripete per gli altri generi di beni tuttavia il Santo non finisce di spiegare completamente i beni relativi alla gioia e, con il cap. 45 che ha come argomento gli oratori e gli ascoltatori termina la Salita del Monte Carmelo.
Il suo insegnamento sulla purificazione della volontà relativo alla gioia è espresso in queste parole: «La volontà non deve gioire se non di ciò che è ad onore e gloria di Dio; il maggiore onore poi che Gli possiamo rendere è quello di servirlo secondo la perfezione evangelica; quanto dunque evade da ciò, non è di nessun valore e profitto per l’uomo» (3 S 17,2). «Alla sera della vita saremo esaminati sull’amore».

Conclusione

Con la sua dottrina, con i suoi insegnamenti, frutto di analisi e approfondimenti teologici, sperimentati, san Giovanni della Croce vuole preparare le anime a saper discernere il bene dal male, l’illusione dalla concretezza di una sequela vera, ci indica il guadagno e allo stesso tempo il prezzo da pagare; ci indica il Cristo, beato e dolente sulla Croce, dolente – dice santa Caterina da Siena – perché sofferente nel corpo, beato perché ha compiuto la sua missione, e così si esprime: «Non per mezzo di segni, miracoli e prodigi fu glorificato dal Padre, ma sulla Croce dove compì l’opera sua più grande, l’aver riconciliato l’umanità peccatrice con Dio, liberandola dalle false ricchezze, piaceri, violenza, sete di dominio e donando la vita vera nella pura verità di se stessa». Non possiamo non vedere nel monte Carmelo, il monte della perfezione, il monte di Dio, dove Egli si mostra ai suoi amici, amicizia dovuta alla fedeltà e obbedienza alla sua parola: «Ricordatevi che i vostri padri furono messi alla prova per vedere se davvero temevano Dio. Ricordate come fu tentato il vostro padre Abramo e come proprio attraverso la prova di molte tribolazioni egli divenne l’amico di Dio. Così pure Isacco, così Giacobbe, così Mosè e tutti quelli che piacquero a Dio furono provati e si mantennero fedeli». Gesù si è mostrato ai suoi tre fedeli discepoli sul monte della Trasfigurazione in tutta la sua gloria prima della Crocifissione, infine sul Calvario, nell’umiliazione più estrema, ha rivelato tutta la verità del suo amore per il Padre e per tutti gli uomini, liberandoli definitivamente dal potere del male e della morte. Cristo nel suo estremo abbassamento ha risollevato l’umanità. Come non amare il nostro Salvatore, come non ritenere pallido ogni amore di fronte all’amore di Gesù? Come non ritenere misere le glorie, poteri e onori della terra? Solo il suo Amore e l’intimità d’amore con Lui rende libero l’uomo, libertà che è comunione. Gesù ha detto «Se voi rimanete nel mio amore, siete veramente miei discepoli, e conoscerete la verità, e la verità vi farà liberi» (Gv 8, 31).
Giovanni ha sperimentato la forza della fede nell’amore di Dio e la speranza nella vita futura, l’importanza dell’orazione nella vita spirituale, come mezzo di unione, sguardo amoroso, «attenzione amorosa» al Signore. A lui si è donato e configurato affermando che: «Questa vita se non si impiega per imitare Cristo non vale niente» (Lett. 24). La vetta del monte Carmelo nel grafico è ampia, è il luogo della divina sapienza, della libertà spirituale raggiunta dall’anima innamorata.

Fortunato Onelli, Francesco Celebrano et al., Zelo della religione (part.), 1767, Napoli, Cappella san Severo

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