Entrare nel mistero. Esperienza dal corso di teologia spirituale

Entrare nel mistero. Esperienza dal corso di teologia spirituale

Ho seguito gli studi del corso di teologia spirituale on line all’Istituto Teresianum di Roma negli anni in cui avevo intrapreso il cammino di formazione per l’Ordine Secolare Carmelitano. La ritenni una scelta necessaria alla mia vocazione quale momento di approfondimento ulteriore per la formazione dottrinale spirituale in quanto oltre ad essere inserito nella famiglia carmelitana, avevo scelto di essere volontario unitalsiano, al servizio di disabili e ammalati. Gli annuali pellegrinaggi a Lourdes vissuti alla luce della lettura degli scritti dei santi del Carmelo mi incoraggiavano convinto com’ero che la scelta di servire gli ultimi alla fine incarnava il segno della “secolarità” (seguire Gesù in mezzo al mondo) quale testimonianza di quella ritrovata amicizia “con Colui del quale sappiamo di essere amati” (Vita 8,5).
Se in un primo momento, quale studente, ritenni lo studio il momento per “imparare” la teologia spirituale, spinto anche dall’entusiasmo che i docenti riuscivano a trasmettere – i corsi erano ben strutturati e a coronamento venivano anche dati suggerimenti di testi per l’approfondimento – in un secondo momento mano a mano che il percorso si svelava nella sua completezza ritenni necessario che da “imparare” bisognava passare a “vivere” l’esperienza spirituale. Si trattava di fare proprio quell’ ”agere contra” cioè contrariare le inclinazioni naturali, per desiderare il niente, e per fare tutto con ordine e discrezione (cfr. 1Salita 13,6.7). Ciò significò approdare dopo una lunga traversata ad una meta quella “di sollevare gli occhi e guardare a Dio solo” (2Notte 21,7) consapevole che solo Dio era la sorgente e il termine ultimo di ogni “dottrina”.
Dio, si era servito di uomini e donne (Francesco, Teresa, Giovanni della Croce, Ignazio)che docili all’azione dello Spirito e ai comandi del Verbo avevano fatto esperienza di quel rapporto tra Amante – Amato e avevano osato con “gemiti inesprimibili ” cantare i vincoli indissolubili tra il Padre e il Figlio penetrando le stesse profondità di Dio e manifestando con gli scritti l’intima unione della vita trinitaria.
Come dunque coniugare questa azione contemplativa all’azione del servizio per gli ultimi? Vi era “conflitto”? La prima era desiderosa di manifestarsi nel mondo mediante gesti concreti e la seconda sarebbe stata vana senza lo sguardo all’Amore che proprio nel Crocifisso-Risorto svelava l’essenza della chiamata.
L’aver appreso come la preghiera personale e liturgica, mezzo privilegiato e necessario per avere quella amicizia con Gesù, doveva necessariamente avere come prolungamento il sentirselo accanto a sé, ricordandosi frequentemente e affettuosamente che si era sempre alla sua presenza anche in mezzo alle occupazioni quotidiane (cfr. Camm. 26,2) mi rendeva in un certo senso consapevole che “tutte le nostre azioni, se vissute con onestà e competenza, nella lealtà e nel rispetto, sono atte a cercare la santità di vita” (Cost. 11). Dopotutto, la vita di Giuseppe di Nazareth non era stata che questa. Il suo silenzio vigilante insegnava ad essere attenti ai bisogni degli altri.
Alla fine degli studi, mediante un lavoro di ricerca, che si esprimeva in un elaborato che di volta in volta ogni docente consegnava agli alunni sui temi sviluppati, si ha avuto come naturale conseguenza di sperimentare quella “sana maturazione” che mi ha consentito di vedere gli avvenimenti, che nel tempo si sarebbero presentati, alla luce della volontà di Dio che trovano compimento nell’esortazione dell’apostolo Paolo “tutto posso in colui che mi dà la forza” (Fili. 4,13).
L’esperienza edificante dello studio, accompagnata dalla preghiera e dal servizio possono riassumersi nello scritto giovanneo:” ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato di ciò diamo testimonianza” (1 Gv. 1.2) Testimonianza destinata a ri-farsi dono gratuito alla Chiesa e al mondo, testimonianza che si modella mediante l’azione dello Spirito , sempre e in maniera nuova all’unione con Dio, giacché la Carità unisce a Dio (cf. Giovanni della Croce, Fiamma viva d’amore 1,13), ed è la sola a dare senso a tutte le attività dell’uomo spirituale.
In questi tempi difficili, tornano le parole profetiche di S Paolo VI: ”l’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri…o se ascolta i maestri lo fa perché sono testimoni (E.N. 41)
Carmelo Ferraro