ENZO BIANCHI (VATICAN INSIDER) Non è possibile l’edificazione di una personalità umana e spirituale robusta senza la lotta interiore, senza un esercizio al discernimento tra bene e male, in modo da giungere a dire dei «sì» convinti e dei «no» efficaci: «sì» a quello che possiamo essere e fare per vivere una vita umana degna di questo nome; «no» alle pulsioni idolatriche ed egocentriche che ci alienano e contraddicono i nostri rapporti con noi stessi, con gli altri e con le cose e, per chi crede, con Dio: rapporti chiamati a essere contrassegnati da libertà e amore. [/zilla_alert]
In questo senso vorrei analizzare tre dominanti fondamentali che agiscono sulle sfere umane dell’amare, dell’avere e del volere: la dominante dell’eros ( libido amandi ), la dominante del possesso ( libido possidendi ), la dominante del potere e dell’affermazione di sé ( libido dominandi ). L’uomo trova il senso della sua vita nell’amare, e l’eros è la pulsione fondamentale che lo abita, è parte integrante della sua fame d’amore. Tuttavia anch’esso deve trovare dei limiti, deve cioè essere attraversato dalla dinamica del desiderio. L’eros deve accettare la differenza e la distanza: non è un caso che l’interdetto primario fondamentale in tutte le culture sia quello dell’incesto. In un tempo in cui imperversa l’immagine, mentre si è smarrito il valore del simbolo, l’eros è più spettacolarizzato che vissuto nella sua profondità. E forse sta qui, nell’attuale tirannia dell’immagine, la radice dell’idolatria della sfera erotica: l’idolatria è costruzione di un’immagine da sostituire alla realtà, è fuga nell’immaginario, perdendo l’adesione alla realtà ed evitando anche le difficoltà, le sofferenze, le angosce che essa porta con sé. Nell’immagine pubblicizzata, la sessualità è vissuta senza angosce, senza conflitti: ecco l’illusione seducente dell’erotismo reso idolo, al caro prezzo di una sessualità spersonalizzata, senza più alcuna valenza simbolica, senza l’altro, senza il suo volto. In questo senso, non si può dimenticare l’imperante esercizio della sessualità virtuale, consumata online, nonché la pornografia disponibile in rete sotto molte forme… Come lottare in questo ambito? La dominante dell’eros deve fuggire la cosificazione dell’altro e la perversione del desiderio, per tornare a essere dinamismo di incontro e immissione nel mistero di comunione in cui l’uomo e la donna esprimono il loro amore, fino a celebrarlo in quella che Giovanni Paolo II osava chiamare la «liturgia dei corpi». In questo cammino occorre esercitarsi all’ascesi umana, alla lotta contro la spersonalizzazione della pulsione e la reificazione della sessualità. L’essere umano ha non solo il diritto, ma anche il dovere di vivere un rapporto con le cose e con i beni: senza questo rapporto che gli permette di soddisfare il bisogno del pane, della casa e del vestito, l’uomo non costruisce se stesso e non vive quella pienezza che gli spetta in quanto uomo e che la fede cristiana legge come vocazione a essere pastore, re e signore all’interno del creato. Tuttavia, in questo rapporto con le cose, grande è la tentazione idolatrica, la seduzione della brama del possesso. Ma quando il rapporto con le cose diviene idolatrico? Quando il possesso diviene un fine in sé, giustificando anche ogni mezzo pur di ottenerlo; quando si vuole affermare «il mio» e «il tuo» – queste fredde parole, dicevano i Padri della Chiesa! –, contraddicendo un’elementare esigenza di giustizia e misconoscendo la destinazione universale dei beni. C’è dunque un netto discernimento da operare: o essere guidati dal dinamismo della comunicazione e della comunione o essere alienati alla dominante del possesso, tertium non datur. In questo tempo di crisi dell’interiorità, di rimozione dell’interiorità dalla sfera dell’esistenza, grande è la tentazionedi lasciarsi definire da ciò che si ha o, correlativamente, da ciò che si fa, insomma, da ciò che è visibile e quantificabile, da ciò che è esteriore: dall’immagine che l’altro vede. Sempre di più, in questa pseudo-cultura, l’altro è inteso non come diverso con cui comunicare, ma come spettatore: in particolare spettatore del mio successo, della mia ricchezza. Certamente la brama di possedere risponde a una forma di angoscia e di lotta contro la morte, a una ricerca di onnipotenza e di rassicurazione che vengono dalla sensazione di poter tutto acquistare, di eliminare i bisogni soddisfacendoli immediatamente. Del resto, viviamo in un angolo di mondo in cui è possibile la soddisfazione di qualsiasi bisogno, ma in cui si è perso il senso dell’autentico bisogno, del bisogno reale: spesso i bisogni sono indotti, creati, eppure esigono, con tutta la forza dell’idolo, forza che riposa su una radicale inconsistenza, la soddisfazione. Si comincia a desiderare il possesso di una cosa e, a poco a poco, la brama di possedere porta a non considerare gli altri: si vuole tutto e subito, anche a spese degli altri. Questo aspetto emerge con particolare forza dalla constatazione del diffuso senso di irresponsabilità nei confronti di coloro che verranno dopo di noi. Il «tutto e subito» diviene anche «tutto è mio», «tutto è nostro». Qui la lotta esige da parte di ciascuno la capacità di porre una distanza tra sé e le ricchezze, per non cadere nel terribile abbaglio di chi si lascia definire da ciò che possiede; occorre cioè uscire dalla logica angusta e angosciata del «mio» e del «tuo», per entrare nella libertà della condivisione e della comunione dei beni. L’ultima tentazione «madre» è quella del potere, dell’affermazione di sé sugli altri: la libido dominandi, forse l’idolo che richiede l’adorazione più totale, quando addirittura non giunge fino a esigere il sangue degli altri nostri fratelli e sorelle in umanità. Non a caso per l’Apocalisse di Giovanni questo idolo arriva ad assumere i tratti di Dio stesso (cf. Ap13), a travestirsi da Dio per vedere rivolte a sé l’adesione e l’adorazione che vanno solo a Dio. Ora, è evidente che l’uomo è un esserein-relazione e pertanto esercita un’influenza sugli altri, dai quali a sua volta è influenzato: da questo gioco relazionale scaturisce la creazione di una vita comune, la costruzione di una città, di una polis , l’edificazione di una convivenza. Ma quando dalla logica dell’interrelazione e dello scambio – in cui la presenza degli altri è vista come positiva e sentita come essenziale – si passa a un’affermazione di sé contro o sopra gli altri, quando si trasforma il proprio io in assoluto, quando ci si lascia inebriare dalla sete di potere, allora si precipita nell’idolatria. Se non è frenata e se non riceve un limite, la libido dominandidiventa l’idolo più devastante a livello sociale e politico. Secondo Julia Kristeva, esso è la forma culminante del narcisismo e porta l’individuo o il soggetto politico o istituzionale a guardare a se stesso come a Dio. Ma l’esito socio-politico di un narcisismo estremo è il potere totalitario, dittatoriale. Un’istituzione, un partito, un sistema che faccia di se stesso e della propria sopravvivenza l’unico fine, anzi che si ritenga depositario dell’unico e vero bene per tutti, bene che dunque potrà e dovrà essere imposto a tutti, diventa liberticida. Cioè incapace di accettare che vi sia chi prende e mantiene una distanza da esso, chi custodisce un’alterità, una diversità. Non a caso una società come la nostra, in forte condizione di instabilità e di crisi, carente di ideali collettivi, sfilacciata nel suo tessuto sociale, con perdita di fiducia nelle istituzioni politiche, vede sorgere il culto della personalità e crescere i fenomeni della personalizzazione e della spettacolarizzazione di tutti i poteri. E diventa così terreno di possibili soluzioni politiche «idolatriche». Di fronte a questi rischi decisivi, la lotta interiore è il cammino attraverso il quale, nello spazio della libertà e dell’amore, si apprende l’arte della resistenza alla tentazione e l’arte della scelta. Avere un cuore unificato, un cuore puro, sensibile e capace di discernimento, un cuore che custodisce e genera pensieri d’amore: ecco lo scopo del combattimento e della resistenza interiore, arte davvero appassionante. È necessaria una grande lotta antiidolatrica per essere liberi di servire e amare ogni uomo, ogni donna, ogni creatura; insomma, per giungere a fare della nostra vita umana un capolavoro.
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