L’omelia del cardinal Bergoglio per l’apertura dell’Anno della fede Riportiamo il testo integrale dell’omelia tenuta dall’allora cardinale Jorge Mario Bergoglio, ora papa Francesco, in occasione dell’apertura dell’Anno della fede, l’11 ottobre 2012 .
Cari fratelli,
tra le esperienze più forti degli ultimi decenni c’è quella di trovarsi di fronte a delle porte chiuse. Il crescente senso di insicurezza porta a poco a poco a bloccare porte, a usare sistemi di vigilanza, telecamere di sicurezza, a diffidare dell’estraneo che bussa alla nostra porta. In qualche villaggio ci sono ancora porte che restano aperte. Ma la porta chiusa è un simbolo efficace del mondo di oggi. È qualcosa di più di un semplice dato sociologico; è una realtà esistenziale che va segnando uno stile di vita, un modo di porsi di fronte alla realtà, di fronte agli altri, di fronte al futuro. La porta chiusa di casa mia, che è il luogo della mia intimità, dei miei sogni, delle mie speranze e delle mie sofferenze come delle mie gioie, è chiusa agli altri. E non si tratta solo della mia casa materiale, ma anche del recinto della mia vita, del mio cuore. Sono sempre meno coloro che possono attraversare questa soglia. La sicurezza delle porte blindate custodisce l’insicurezza di una vita che si fa più fragile e meno permeabile alle ricchezze della vita e dell’amore degli altri.
L’immagine di una porta aperta è sempre stata simbolo di luce, di amicizia, di gioia, di libertà, di fiducia. Quanto abbiamo bisogno di ritrovare tutte queste cose! La porta chiusa ci danneggia, ci paralizza, ci separa.
Iniziamo l’Anno della fede e l’immagine che il Papa propone è quella della porta, una porta che dobbiamo varcare per poter trovare ciò che tanto ci manca. La Chiesa, attraverso la voce e il cuore di pastore di Benedetto XVI, ci invita ad attraversare la soglia, a compiere il passo di una decisione interiore e libera: disporci a entrare in una vita nuova.
La porta della fede ci rimanda agli Atti degli apostoli: «Non appena furono arrivati, riunirono la comunità e riferirono tutto quello che Dio aveva compiuto per mezzo loro e come aveva aperto ai pagani la porta della fede» (At 14,27). Dio prende sempre l’iniziativa e vuole che nessuno resti escluso. Dio bussa alla porta dei nostri cuori: «Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me» (Ap 3,20). La fede è una grazia, un dono di Dio. «Solo credendo la fede cresce e si rafforza; in un abbandono continuo nelle mani di un amore che si sperimenta sempre più grande perché ha la sua origine in Dio» (Benedetto XVI).
Attraversare questa porta presuppone di intraprendere un cammino che dura tutta la vita. Oggi ci si aprono davanti tante porte, molte delle quali sono porte false, porte che invitano in modo attraente ma ingannevole a mettersi in cammino, che promettono una felicità vuota, narcisistica e con una data di scadenza; porte che ci conducono a incroci che, qualunque sia la scelta che seguiamo, a breve o lungo termine provocheranno dolore e sconcerto. Porte autoreferenziali, che si esauriscono in se stesse e senza garanzia di futuro. Mentre le porte delle case sono chiuse, le porte dello shopping sono sempre aperte. Si attraversa la porta della fede, si varca questa soglia, quando la parola di Dio è annunciata e il cuore si lascia plasmare dalla grazia che trasforma. Una grazia che ha un nome concreto, quello di Gesù. Gesù è la porta (Gv 10,9). Lui, e Lui solo, è e sempre sarà la porta. Nessuno va al Padre se non attraverso di Lui (Gv 14,6). Se non c’è Cristo, non c’è cammino verso Dio. Come porta ci apre il cammino verso Dio e come Buon Pastore è l’unico che ha cura di noi a costo della sua stessa vita.
Gesù è la porta e bussa alla nostra porta affinché gli permettiamo di varcare la soglia della nostra vita. «Non abbiate paura… aprite le porte a Cristo», ci diceva il beato Giovanni Paolo II all’inizio del suo pontificato. Aprire le porte del cuore come fecero i discepoli di Emmaus, chiedendogli di restare «con noi perché possiamo varcare le porte della fede», e che lo stesso Signore ci aiuti a comprendere le ragioni per credere, «per poi poter uscire ad annunciarlo». La fede presuppone la decisione di stare con il Signore per vivere con Lui e condividerlo con i fratelli.
Ringraziamo Dio per questa opportunità di valorizzare la nostra vita di figli di Dio, per questo cammino di fede che è iniziato nella nostra vita con l’acqua del Battesimo, l’inesauribile e feconda rugiada che ci rende figli di Dio e fratelli nella Chiesa. La meta, la destinazione, il fine è l’incontro con Dio, con il quale siamo già entrati in comunione e che vuole convertirci, purificarci, elevarci, santificarci, e donarci la felicità a cui anela il nostro cuore.
Vogliamo ringraziare Dio perché ha seminato nel cuore della nostra Chiesa diocesana il desiderio di trasmettere e donare a mani aperte il dono del Battesimo. Questo è il frutto di un lungo cammino iniziato con la domanda: «Come essere Chiesa a Buenos Aires?», passato attraverso il cammino dell’essere assemblea, per radicarsi nel suo essere missione come opzione pastorale permanente.
Iniziare questo anno della fede è una nuova chiamata a far penetrare nella nostra vita la fede ricevuta. Professare la fede con la bocca implica viverla col cuore e mostrarla con le opere: una testimonianza e un impegno pubblico. Il discepolo di Cristo, figlio della Chiesa, non può mai pensare che credere sia un fatto privato. Sfida importante e forte per ogni giorno, persuasi che «colui che ha iniziato in voi quest’opera buona, la porterà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù» (Fil 1,6).
Guardando alla nostra realtà, come discepoli missionari ci chiediamo: qual è la nostra sfida nel varcare la soglia della fede?
Varcare la soglia della fede ci invita a scoprire che nonostante oggi sembri che sia la morte a regnare nelle sue varie forme e che la storia sia governata dalla legge del più forte o del più furbo, e che se l’odio e l’ambizione sono i motori di tante lotte umane, siamo però anche assolutamente convinti che questa triste realtà può e deve cambiare, proprio perché «se Dio è per noi, chi sarà contro di noi?» (Rm 8,31).
Varcare la soglia della fede richiede di non provare vergogna di avere un cuore di bambino che, credendo ancora all’impossibile, può vivere nella speranza: l’unica cosa capace di dar senso e trasformare la storia. È chiedere incessantemente, pregare senza sosta e adorare perché il nostro sguardo si trasfiguri.
Varcare la soglia della fede ci porta a implorare per ciascuno di noi «gli stessi sentimenti di Cristo Gesù» (Fil 2,5), sperimentando così un modo nuovo di pensare, di comunicare, di guardarci, di rispettarci, di stare in famiglia, di guardare al futuro, di vivere l’amore e la vocazione.
Varcare la soglia della fede significa agire, confidare nella forza dello Spirito Santo che è presente nella Chiesa e che si manifesta anche nei segni dei tempi, significa accompagnare il costante movimento della vita e della storia senza cadere nel disfattismo paralizzante di chi pensa che sia sempre meglio il passato; è l’urgenza di ripensare, riapportare, ricreare, impastando la vita con il lievito nuovo della giustizia e della santità (1Cor 5,8).
Varcare la soglia della fede implica avere occhi disposti a stupirsi e un cuore non pigramente abituato, capace di riconoscere che ogni volta che una donna dà alla luce un figlio si continua a scommettere sulla vita e sul futuro, che quando ci prendiamo cura dell’innocenza dei bambini garantiamo la verità di un domani e quando accudiamo la vita consegnata di un anziano compiamo un atto di giustizia e accarezziamo le nostre radici.
Varcare la soglia della fede è il lavoro vissuto con dignità e vocazione di servizio, con l’abnegazione di colui che ricomincia tutte le volte senza mollare, come se tutto ciò che è già stato fatto fosse solo un passo nel cammino verso il regno, pienezza di vita. È l’attesa silenziosa dopo la semina quotidiana, è contemplare il frutto raccolto ringraziando il Signore perché è buono e chiedendo che non abbandoni l’opera delle sue mani (Sal 137).
Varcare la soglia della fede esige di lottare per la libertà e la convivenza anche se il contesto cede, nella certezza che il Signore ci chiede di praticare la giustizia, amare la bontà e camminare umilmente con il nostro Dio (Mi 6,8).
Varcare la soglia della fede comporta la costante conversione dei nostri atteggiamenti, dei modi e dei toni con cui viviamo, riformulare e non rattoppare o riverniciare, dare la forma nuova che Gesù Cristo imprime a quello che è toccato dalla sua mano e dal suo Vangelo di vita, spronare a fare qualcosa di inedito per la società e per la Chiesa, perché «se uno è in Cristo, è una nuova creatura» (2Cor 5,17).
Varcare la soglia della fede ci porta a perdonare e saper strappare un sorriso, ad avvicinarci a tutti quelli che vivono nelle periferie esistenziali chiamandoli per nome, a prenderci cura delle fragilità dei più deboli e a sorreggere le loro ginocchia vacillanti con la certezza che tutto ciò che facciamo per il più piccolo dei nostri fratelli lo facciamo a Gesù (Mt 25,40).
Varcare la soglia della fede significa celebrare la vita, lasciarci trasformare perché siamo diventati uno in Cristo alla mensa eucaristica celebrata nella comunità, e quindi impegnarci con le mani e con il cuore a lavorare per il grande progetto del Regno: tutto il resto ci sarà dato in più (Mt 6,33).
Varcare la soglia della fede è vivere nello spirito del Concilio e di Aparecida, essere Chiesa dalle porte aperte non solo per ricevere ma soprattuto per uscire e riempire di Vangelo le strade e la vita degli uomini del nostro tempo.
Varcare la soglia della fede per la nostra Chiesa diocesana implica sentirci confermati nella missione di essere una Chiesa che vive, prega e lavora in chiave missionaria.
Varcare la soglia della fede è, in definitiva, accettare la novità della vita del Risorto nella nostra povera carne per renderla segno della vita nuova.
Meditando tutte queste cose, volgiamo lo sguardo a Maria. Che lei, la Vergine madre, ci accompagni in questo varcare la soglia della fede e faccia scendere sulla nostra Chiesa di Buenos Aires lo Spirito Santo, come a Nazareth, affinché come lei adoriamo il Signore e andiamo ad annunciare le meraviglie che ha compiuto in noi.
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