Ritorno al cuore

Appunti per un cammino di preghiera
di Robert Cheaib

L’unica vocazione

Dire: “non so pregare” o “la preghiera non fa per me” è teologicamente un’affermazione errata. Il Concilio Vaticano II, riassumendo la visione antropologica di quasi due millenni afferma che «la vocazione ultima dell’uomo è effettivamente una sola, quella divina»1. Ogni uomo è creato in vista dell’unione con Dio. Quest’unione inizia già su questa terra nell’esperienza dell’amore attivo e dell’autentica preghiera. «Ogni uomo ha ricevuto dal Creatore un organo che è in lui il luogo della preghiera»2.
La preghiera non consiste primariamente in bei pensieri o profonde meditazioni, ma nel «ritorno al cuore, nel trovare il proprio centro più profondo, nel risvegliare le profondità abissali del nostro essere alla presenza di Dio che è la Sorgente del nostro essere e della nostra vita»3.
Come posso verificare questo stato di preghiera? Dall’anelito infinito e instancabile del mio cuore verso la felicità, verso un senso per la mia vita, verso quel di più che, seppure non possa sempre identificarlo, mi trovo naturalmente proteso verso di esso. La fede ci insegna che questa gioia sconosciuta che il cuore anela spontaneamente è il volto del Signore che mi conosce e mi ama e mi richiama attraverso i miei aneliti verso la comunione con lui.

Giancarlo Vitali, Laudato Sie, coll. Priv.

Pellegrinaggio verso il cuore

Il pellegrinaggio verso il cuore è il più lungo e più impegnativo che si possa fare nella vita, ma è l’unico dal quale non si torna con semplici snapshot, ma con una vita trasfigurata da un incontro. Tutti i pellegrinaggi e le ricerche spirituali hanno senso se conducono a quest’oasi, a questo santuario che è lo spazio dell’incontro con Dio. Il paradosso umano è che «portiamo continuamente questo stato di preghiera con noi, come un tesoro nascosto di cui siamo ben poco o per nulla coscienti. Il nostro cuore respira da qualche parte in pienezza, ma senza che noi lo avvertiamo. Siamo sordi nei confronti del nostro cuore in preghiera, non gustiamo l’amore, non vediamo la luce in cui viviamo»4. Imparare a pregare è permettere ai gemiti dello Spirito di diventare canto e incanto e respiro dell’anima.
Le scelte della nostra vita a volte ci portano a una dissociazione mentale, non semplicemente psicologica, ma molto più profonda, a una specie di schizofrenia esistenziale. Ci troviamo ad avere un cuore doppio. Iniziamo a nutrire falsi aneliti che diventano idoli invadenti e irriguardosi che ci rendono sordi al bussare discreto del Signore. Per questo la Bibbia ci invita a più riprese a «circoncidere il cuore» (cf. Dt 10,16), ovvero ad amare il Signore con tutto il cuore e con tutta l’anima (v. 12).
La preghiera è quella cella nuziale in cui il Signore ri-crea il cuore e riordina gli affetti5. Il nostro cuore profondo parla il linguaggio di Dio e il cammino esteriore della preghiera consiste nell’alfabetizzare il nostro essere con il linguaggio del cuore. Così i vari metodi di preghiera hanno lo scopo di essere vie per giungere alla punta dell’anima sommersa in Dio. Gli autentici metodi di preghiera sono quelli che non si perdono dietro ai formalismi, ma che puntano alla trasformazione della nostra dispersione in conversione, in ritorno al cuore. Un ritorno a quel cuore che possiamo sorprendere «in flagrante delitto di preghiera»6.
Questo ritorno al cuore, dove lo Spirito è in continua preghiera, è il programma che san Gregorio Magno vede incarnato in san Benedetto: habitare secum, vivere con se stessi, essere à la page con la propria verità, quella perennemente rivolta a Dio7. È interessante anche come un grande convertito del secolo scorso, il filosofo Dietrich von Hildebrand, consideri proprio questo habitare secum come uno dei fondamenti della trasformazione in Cristo8. Nel metterci di fronte alla realtà della nostra vita, la preghiera vera ci scaglia senza maschere alla presenza del Dio vivo e vero.

Presenza al Presente

«Dio non ascolta colui che nella preghiera non ascolta se stesso»9. La presenza a se stessi è una necessaria condizione per essere presenti a chiunque altro e in modo particolare all’Altro, a Dio. Nulla soffoca la vita di preghiera come un’anima che fugge da se stessa10. È di vitale importanza, però, capire che la presenza a sé non è l’obiettivo primo e ultimo della preghiera. È bene quindi ribadire rigorosamente che la preghiera non è una meramente una psicologica presenza a se stessi. La vita spirituale, e la preghiera in senso particolare, non sono esercizi di autoterapia, ovvero una versione religiosa di quel tipo di psicologia popolare conosciuto come “self help”. La vita spirituale non è un soliloquio, ma è un dialogo. «L’invocazione della preghiera chiama lui e chiama me ad essere presenti, a esistere l’uno per l’altro. Chi cerca di raccogliersi in essa, si sa chiamato ad essere “davanti a lui”»11.
Nella vita spirituale, non si tratta – come puntualizza Anthony Bloom – di un viaggio all’interno di noi stessi, quanto di un viaggio attraverso noi stessi. Attraversiamo la nostra interiorità per incontrare nel fondo e nel profondo dell’anima colui che è più intimo a noi di noi stessi. Bloom riprende la lezione dei grandi Padri, specie di san Giovanni Crisostomo, il quale insegna che «chi trova la porta del proprio cuore, scoprirà che è la porta del regno di Dio»12.
Non bisogna stancarsi di ribadire questo passaggio sostanziale, pena la riduzione della qualità di presenza spirituale nella preghiera a semplice presenza psichica o – peggio – psicotica a se stessi. Esorcizzare “l’assenza dal presente”, di cui abbiamo parlato nel capitolo precedente, è preludio e componente necessaria dell’essere “presenti al Presente”, ovvero a Dio. Questo è l’elemento distintivo cristiano della preghiera, della meditazione e della contemplazione: il centro non sono io, è l’Amato. Ed è lì che la preghiera cristiana fa i suoi miracoli. Essa spalanca il cuore all’Amore. In poche e semplici parole: io non prego per sentirmi bene; prego perché amo, amo Dio. Che questo amore mi faccia sentire bene, è un altro conto. È un effetto ben accetto, ma non è la finalità. Ciò che conta è l’incontro con Dio e la trasformazione della mia vita secondo il suo volere. La preghiera è una concentrazione decentrata.
Teresa d’Avila descrive la qualità della presenza in preghiera in termini di amicizia e di amore reciproco. In un passo famoso della sua autobiografia definisce la preghiera così: «Per me l’orazione mentale non è altro se non un rapporto d’amicizia, un trovarsi frequentemente da soli a soli con chi sappiamo che ci ama»13.
Un’altra rilevante attestazione sulla preghiera intesa come presenza ci giunge da un carmelitano di nome Nicholas Herman, noto meglio come fra Lorenzo. Questi era un semplice frate carmelitano morto nel 1691. Di lui, apparentemente, non è possibile evidenziare alcuna particolarità di spicco. In quella vita ordinaria nella cucina della comunità religiosa a Parigi, quell’uomo semplice ha raggiunto un alto grado di perfezione vivendo alla presenza di Dio. Chi viveva con lui testimonia che persino il suo aspetto era edificante al punto che invogliava spontaneamente al raccoglimento e alla preghiera. Egli manteneva in tutte le faccende e le occupazioni quotidiane un senso di presenza spirituale che trapelava dal suo volto.
Fra Lorenzo confessa nei suoi dialoghi che «nel rumore e nel chiasso della mia cucina, ove diverse persone reclamano varie cose al contempo, io sono in possesso di Dio in grande tranquillità, come se stessi in ginocchio davanti al Santissimo»14. Nelle poche conversazioni che ci sono giunte assieme ad alcune brevi lettere, fra Lorenzo attesta che per lui «i tempi prefissati per la preghiera non erano diversi da altri tempi», ma erano un’estensione naturale e intensa di quella presenza a Dio che viveva nell’ordinario. Anzi, il frate confessa che «era più unito a Dio nei suoi impieghi esterni che quando li lasciava per le devozioni in raccoglimento».
Egli considerava come una «grande illusione» il pensiero diffuso che i tempi della preghiera fossero diversi dagli altri tempi. Per lui, i tempi dedicati alla preghiera e alla devozione sono un mezzo per esercitarsi ad attingere un fine: quello di vivere continuamente alla presenza di Dio. Il segreto per lui consiste nel riconoscere Dio intimamente presente a noi e di colloquiare con lui in ogni momento. La sua definizione di preghiera la dice lunga: essa non è altro che «un senso della presenza di Dio».
Il maestro dell’interiorità, sant’Agostino, ci insegna l’importanza di questa qualità di presenza invitandoci a curare soprattutto la disposizione interiore della nostra preghiera.
L’Ipponate esorta così: Pregate senza esitazione, c’è chi ascolta: chi vi ascolta è dentro di voi. Non dovete levare gli occhi verso un determinato monte, non dovete levare lo sguardo alle stelle, al sole, alla luna. Non crediate di essere ascoltati se pregate rivolti al mare: dovete anzi detestare preghiere simili. Purifica piuttosto la stanza del tuo cuore; dovunque tu sia, dovunque tu preghi, è dentro di te colui che ti ascolta, dentro nel segreto, che il salmista chiama “seno” dicendo: La mia preghiera si ripercuoteva nel mio seno (Sal 34, 13). Colui che ti ascolta non è fuori di te. Non andare lontano, non levarti in alto come se tu dovessi raggiungerlo con le mani. Più t’innalzi, più rischi di cadere; se ti umili, egli ti si avvicinerà15.

Il testo è tratto dal libro: Robert Cheaib, Alla presenza di Dio. Per una spiritualità incarnata, Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2015, 57-62

NOTE
1 Gaudium et Spes 22.
2 A. Louf, Lo Spirito prega in noi, 15.
3 T. Merton, Contemplative Prayer, Doubleday, New York 1996, 30.
4 A. Louf, Lo Spirito prega in noi, 19.
5 La vecchia traduzione latina di Ct 2,4 recitava così: «Introduxit me in cellam vinariam ordinavit in me caritatem».
6 A. Louf, Lo Spirito prega in noi, 23.
7 Gregorio Magno, Dialoghi 2, 3.
8 Cf. D. Von Hildebrand, La trasformazione in Cristo, Morcelliana, Brescia 1952.
9 Cf. Gregorio Magno, Moralia 22, 13.
10 Cf. L. Bouyer, Il senso della vita monastica, Qiqajon, Magnano (BI) 2013, 206.
11 J. Werbick, Padre nostro. Meditazioni teologiche come introduzione alla vita cristiana, Queriniana, Brescia 2013, 39.
12 A. Bloom, Scuola di preghiera, Qiqajon, Magnano (BI) 2009, 36.
13 Teresa D’Avila, Libro della Vita 8, 5.
14 B. Lawrence, The Practice of the Presence of God, Oneworld, Oxford 1993, 26.
15 Agostino, Commento al Vangelo di Giovanni 10, 1.