L’Immacolata Concezione

Immagini di arte, fede e teologia di Giovanni Novello
(prima parte)

L’esperienza di fede mariana immacolista, ha richiesto la lunga ricerca di un linguaggio artistico proprio, capace di

Juan de Juanes, Immacolata Concezione tra i santi Gioacchino e Anna, XVI sec., Sot de Ferrer, Chiesa parrocchiale

esprimerla con efficacia.
La difficoltà di individuare una raffigurazione canonica per l’Immacolata Concezione è dipesa dalle secolari controversie teologiche relative a questo delicato tema dogmatico, secondo il quale «la beatissima Vergine, nel primo istante della sua concezione, per singolare grazia e privilegio concessole da Dio Onnipotente, in previsione dei meriti di Gesù Cristo Salvatore del genere umano, fu preservata immune da ogni macchia di peccato originale». Così proclama papa Pio IX l’8 dicembre 1854 nella bolla Ineffabilis Deus, ponendo fine al secolare dibattito interno alla Chiesa che, con fasi alterne, aveva trovato schierati su fronti fieramente opposti Francescani, Carmelitani, Serviti e Gesuiti, ferventi immacolisti, e Domenicani, fermi sostenitori della tesi macolista.
Il confronto sul concetto dottrinale, infatti, ha animato la discussione teologica a partire dal secolo XII, legando il concepimento di Maria in seno alla madre Anna, alla purezza necessaria per attuare il progetto divino dell’incarnazione di Cristo redentore. La definizione del modello iconografico, ovvero della raffigurazione “significante” della Vergine, unica nel genere umano a essere priva di ogni macchia di peccato fin dal primo momento della sua esistenza, avviene per progressive approssimazioni da parte degli artisti che, dal Medioevo all’Età moderna, esprimono con sempre maggiore precisione i principali elementi della dottrina immacolista e ne definiscono l’immagine-tipo.
Di tali tentativi, alcuni, eccessivamente fantasiosi o scarsamente allusivi, trovano definitiva bocciatura nelle sessioni conclusive del Concilio di Trento del 1563, altri, conformati e canonizzati, avanzano verso la grande produzione seicentesca delle Immacolate barocche. Alla formazione dell’iconografia immacolistica controriformista post-conciliare contribusce in misura determinante la crescente attenzione al soggetto da parte dei teologi, i quali orientano e accompagnano l’elaborazione dell’immagine, specialmente attraverso una doviziosa trattatistica come: Discorso intorno alle imagini sacre et profane di Gabriele Paleotti del 1582; De picturis et imaginibus sacris di Jean Meulen o Molano del 1594; De pictura sacra di Federigo Borromeo del 1624; Arte de la pintura di Francisco Pacheco del 1649; fino agli esempi più moderni.

Juan de Juanes, Immacolata Concezione, Villareal, Chiesa delle Clarisse

Fondamento della raffigurazione è l’interpretazione in senso mariano di determinati testi canonici della Bibbia, come pure di un repertorio di simboli e metafore tratti dall’Antico Testamento, mentre il ricorso alle citazioni apocrife, abbastanza consueto nel Medioevo, produce modelli sostanzialmente inadeguati a comunicare il tema immacolistico.
L’influenza dottrinale di sant’Agostino, che considera l’atto coniugale dominato dalla concupiscenza e quindi destinato a procreare nella colpa, persiste fino al secolo XVI, quando uno dei modi più comuni di rendere in pittura l’Immacolata Concezione è ancora la raffigurazione dell’incontro di Gioacchino e Anna alla Porta d’Oro di Gerusalemme.
La fecondità miracolosamente concessa agli anziani e pii genitori della Vergine, è lì attivata tramite un casto bacio, svincolando così Maria dall’eredità del peccato di origine, trasmesso dai progenitori Adamo ed Eva all’umanità intera. La narrazione dell’Incontro alla Porta d’Oro, desunta dal capitolo III del Vangelo dello Pseudo-Matteo, è affrescata tra i primi da Giotto di Bondone nel 1305 nella Cappella degli Scrovegni di Padova e dipinta tra gli ultimi da Vicente Macip, detto Juan de Juanes, nel 1560 circa nel retablo per la Parroquia de la Concepciòn a Sot de Ferrer in Spagna.

A. Benson, San Gioacchino e Sant’Anna alla Porta Aurea (part), 1528 ca., Madrid, Museo del Prado

Proprio Molano, denunciando gli abusi nelle raffigurazioni sacre, nel suo trattato rigetta quello favolistico del “bacio” significante il concepimento immacolato della Vergine e legittima l’immagine di Maria “Tota Pulchra”.
Nel tempo, le figure di Gioacchino e Anna diventano comprimarie, affiancando quella dell’Immacolata, ormai resa visibile con i tratti della «Donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e una corona di dodici stelle sul suo capo» dell’Apocalisse (Ap 12,1), della donna della Genesi che schiaccia la testa al serpente (Gn 3,15) e della «Tutta bella sei tu, amica mia, e nessuna macchia è in te» del Cantico dei Cantici (Ct 4,7).
Questa fortunata sintesi compositiva di tipologia immacolista, comparsa tra Quattro e Cinquecento, comprende anche la raffigurazione della numerosa serie dei tradizionali attribuiti simbolici biblici della Vergine, fissati nel repertorio delle lodi mariane già dal secolo XII e infine codificati nel 1587 da papa Sisto V nelle Litanie lauretane.
Oltre che dai libri della Genesi, del Cantico dei Cantici e dell’Apocalisse, gli emblemi mistici di Maria sono tratti da quelli dei Proverbi, del Siracide, della Sapienza, dei Salmi e contemplano: “Splendente come il sole” e “Bella come la luna” (Ct 6,10); ”Pozzo di acque vive“ (Ct 4,15); “Giardino chiuso“ e “Fonte sigillata“ (Ct 4,12); “Torre di David“ (Ct 4,4); “Fiore del campo“ e “Giglio tra gli spini“ (Ct 2, 1-2); “Specchio senza macchia“ (Sap 7,26); “Città di Dio“ (Sal 87,3); “Tempio Santo di Dio“ (Sal 65,5); “Scala del Cielo“ (Gn 28,12); “Stella Mattutina“ (Sir 50,6); “Palma d’Engaddi”, “Roseto di Gerico”, “Ulivo rigoglioso” e “Platano frondoso” (Sir 24,14); “Cedro del Libano“ e “Cipresso dell’Ermon“ (Sir 24,13).
(Continua)

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