La gioia del Vangelo riempie il cuore

Vita Consacrata vissuta con gioia. Ritiro alle Consacrate e ai Consacrati della Diocesi di Ragusa, 2 ottobre 2016.
di Mons. Carmelo Cuttitta – Vescovo di Ragusa
Nel magistero di papa Francesco la parola gioia ricorre molto frequentemente quando si rivolge a tutti i credenti e, in modo particolare, ai consacrati e alle consacrate. Per costoro, la parola “gioia” viene riproposta con varie declinazioni e sfumature in riferimento all’identità della vita consacrata, all’origine e al fondamento della vocazione delle persone consacrate coinvolte nell’azione missionaria della Chiesa.
Nei discorsi e dialoghi di papa Francesco il sentimento della gioia ripropone la qualità e la dinamica personale, comunitaria ed ecclesiale sia del vissuto interiore che di quello manifesto. Egli ripropone la gioia come il sentimento che dovrebbe accompagnare il vivere di tutti i credenti che hanno coscienza della vita cristiana come vocazione.
Nell’incipit dell’Evangelii gaudium, rivolta a tutti i credenti, viene affermato che «la gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia». Questo annuncio e invito alla gioia viene amplificato con semplicità e sorprendente genuinità quando papa Francesco si rivolge ai consacrati: «La gioia nasce dalla gratuità di un incontro […]. Non abbiate paura di mostrare la gioia di aver risposto alla chiamata del Signore, alla sua scelta di amore e di testimoniare il suo Vangelo nel servizio della chiesa. La gioia, quella vera, è contagiosa». […] «Questa è la bellezza della consacrazione: è la gioia. Nel chiamarvi Dio vi dice: “Tu sei importante per me, ti voglio bene, conto su di te”. Gesù, a ciascuno di noi, dice questo! Di là nasce la gioia! La gioia del momento in cui Gesù mi ha guardato. Capire e sentire questo è il segreto della nostra gioia. Sentirsi amati da Dio, sentire che per lui noi siamo non numeri, ma persone; e sentire che è lui che ci chiama» (Incontro con seminaristi e novizi, 9 luglio 2013).
Nella lettera apostolica con cui papa Francesco apre l’anno dedicato alla vita consacrata, constata che «dove ci sono i religiosi c’è gioia» Egli segnala che: «La vita consacrata non cresce se organizziamo delle belle campagne vocazionali, ma se le giovani e i giovani che ci incontrano si sentono attratti da noi, se ci vedono uomini e donne felici! […] È la vostra vita che deve parlare, una vita dalla quale traspare la gioia e la bellezza di vivere il Vangelo e di seguire Cristo». (21 novembre 2014).
Riflettiamo: la parola gioia appare davvero una novità per la vita consacrata? Il richiamo all’identità, alla forza profetica e missionaria propria della vita consacrata potrà aiutare a uscire, da una forma di accidia o tristezza in cui sembrava essere entrata? È necessario riconsiderare il tema del gaudium nella vita cristiana. Ciò ci aiuterà a comprendere come la fede si diffonde grazie a un sano contagio (attrazione) e non per un proselitismo o per una dimostrazione. (Benedetto XVI).

La gioia una parola non estranea, ma riproposta

Le parole di papa Francesco, risvegliano l’attenzione sulla bellezza e la dignità della vita consacrata e sullo stile di coloro, uomini e donne che vivono la loro scelta di vita consacrata.
In generale tutti i documenti della Chiesa sulla vita religiosa comprovano il valore testimoniale di questa scelta. Essa è espressione della chiamata alla santità della Chiesa che deve manifestarsi «nei frutti della grazia che lo Spirito produce nei fedeli». Coloro che assumono la forma di vita di consacrazione, per impulso dello Spirito, dovranno «portare nel mondo una testimonianza e un esempio luminosi di questa santità». L’invito alla santità è rivolto a tutti i credenti. Può risultare significativo che il capitolo successivo a quello dedicato alla vocazione alla santità venga dedicato ai religiosi. Un invito alla qualità, forse? Certamente una responsabilità non indifferente!
La riflessione che la Lumen gentium offre sulla vita consacrata, viene riproposta nell’Evangelica testificatio. Splendido documento con cui Paolo VI, con linguaggio diretto, attraversato da fervore e tenerezza fraterna, si rivolge ai religiosi e alle religiose per confermare e incoraggiare, orientare e stimolare. In questo documento si parla in modo diretto della “gioia”: «La gioia di appartenergli per sempre è un incomparabile frutto dello Spirito Santo, che voi avete già assaporato. Animati da questa gioia, che Cristo vi conserverà anche in mezzo alle prove, sappiate guardare con fiducia all’avvenire. Nella misura in cui si irradierà dalle vostre comunità, questa gioia sarà per tutti la prova che lo stato di vita da voi scelto vi aiuta, attraverso la triplice rinuncia della vostra professione religiosa a realizzare la massima espansione della vostra vita in Cristo» (ET 43; 53).
Il sentimento della gioia, quindi, non è un superficiale stato interiore emotivo, ma è il segno della fede e della speranza e giunge, come frutto di grazia, dall’incontro con Cristo. La gioia nasce dall’appartenenza a Cristo.
Il tema della gioia viene riproposto anche nel fondamentale documento Vita consacrata.
La gioia è dono dello Spirito e diviene il segno della testimonianza della vita in Cristo, scelto come unico orizzonte esistenziale di chi si consacra. Infatti, nel documento viene ribadito che la testimonianza viva, segnata dalla gioia, è essa stessa il loro compito missionario rivolto alla chiesa intera. Si ricorda «che al primo posto sta il servizio gratuito a Dio, reso possibile dalla grazia di Cristo, comunicata al credente mediante il dono dello Spirito» (VC 25).
Ritorna nel documento il principio dell’appartenenza a Cristo: questo è il luogo della gioia e la sua sorgente. Prendendo sempre più coscienza che la vocazione nasce dall’essere innestati in Cristo con una modalità significativa e profetica, allora le persone consacrate in modo individuale e ancor più comunitario divengono missionari e testimoni con uno stile di vita che fa trasparire l’ideale che viene professato (cf. VC 25).
A tutte le persone consacrate viene rivolto l’invito a mostrare nella gioia l’amore appassionato per Gesù Cristo. È la testimonianza che tutti i contemporanei attendono (cf. VC 109). Il documento Ripartire da Cristo, che segna un punto fermo nella riflessione sistematica della vita consacrata, alla luce degli insegnamenti conciliari e di Vita consacrata, ribadisce i concetti della gioia come testimonianza dell’amore a Cristo. Assumendo lo stile che egli scelse per sé, indicato nei consigli evangelici della castità, povertà e obbedienza, i consacrati sono orientati a ricercare e testimoniare con la vita la totalità per Dio, disponendosi alla missione con gioia profonda. (cf RDC 5; 13;16;26).
La ricerca della parola “gioia”, utilizzata direttamente nei documenti della chiesa sulla vita consacrata, permette di contestualizzare tale sentimento in un ambito di valore che definisce la vita consacrata. Essa nasce, come più volte viene ribadito, dall’appartenenza a Cristo, quale dono e ricerca, principio necessario della vita di chi si consacra a Dio con cuore indiviso. A questo, va aggiunto come la riflessione focalizzi l’attenzione sulla testimonianza. È la stessa vita dei consacrati che, se vissuta con gioia diviene testimonianza viva ed efficace. Quindi, la gioia dovrà divenire stile di vita personale e comunitaria, oltre ogni superficialità o apparenza, in quanto radicata sulla struttura stessa della dinamica personale, ormai trasformata da una comunione con Cristo che ha trasformato la vita.
Il richiamo evangelico che disegna l’incontro con Cristo e la gioia che ne proviene sembrano essere proposte dalle parole del Vangelo: «Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena» (Gv 15,11). Così, per i consacrati, le parole «Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me» (Gal 2,20), sembrano assumere una pregnanza di valore esistenziale e profetico.

Fenomenologia della gioia nella vita consacrata

Dobbiamo ammettere che nel pensare comune non è così scontato abbinare la parola e l’espressione della gioia con un credente, sia consacrato che laico. La questione della presenza o meno della gioia e della serenità si propone quando andiamo a incontrare persone impegnate nell’attività dell’apostolato, in particolare preti, consacrati e consacrate. Spesso li possiamo cogliere preoccupati a risolvere importanti impegni, oppure occupati a raggiungere più luoghi e persone per non far svanire l’azione di un ministero, ma anche incaricati della gestione di concrete situazioni di difficoltà per il venir meno delle energie dedicate al servizio. La grande disponibilità e gratuità può essere accompagnata, spesso, da una fatica che non permette di far trasparire di essere contenti di servire il Dio della gioia.
Per chi annuncia e testimonia la fede in Gesù Cristo la gioia diviene un indicatore infallibile e uno strumento di mediazione comunicativa efficace. In questa visione non può essere fatto un uso strumentale della gioia, alla pari delle forzature dei messaggi pubblicitari che ostentano un ottimismo superficiale a fini commerciali.
La gioia cristiana, poiché proviene dall’intimo, offre ragioni di fede e di vita con Dio, non è esibizione o forzatura e nemmeno un’espressione puramente comportamentale, da manifestare sempre e ovunque all’esterno, rischiando la sua banalizzazione. Le vicende della vita fanno sperimentare momenti felici e tristi, scoprire debolezze e limiti propri e altrui, così come le fatiche previste e impreviste. È comprensibile, quindi, come non sempre sia possibile offrire espressione evidente ai sentimenti della gioia interiore.
Si tratta di una sentimento profondo, non superficiale, che persiste nell’intimo anche quando non può manifestarsi. La gioia del credente, che fonda la sua speranza e il suo cammino umano sulla fiducia in Dio e nella sua parola, va considerata non come una realtà psicologica in senso stretto, ma spirituale: mentre coinvolge la psiche e i sensi, va oltre questi due orizzonti, poiché attinge ed esprime il mistero dell’uomo.

Romano Guardini: Lettera sulla formazione

Romano Guardini descrive questa realtà in questo modo: «Noi vogliamo far sì che il nostro cuore divenga lieto. Non allegro, che è qualcosa di completamente diverso. Essere allegri è un fatto esterno, rumoroso, e presto si dissolve. La gioia invece vive nell’intimo, silente, è profondamente radicata. Essa è sorella della serietà; dove è l’una è anche l’altra. Qui si deve parlare di quella lieta gioia verso la quale è possibile aprirsi una strada. Ciascuno la può possedere, allo stesso titolo, qualunque sia la sua natura. Non proviene dal denaro, da una vita comoda, o dal fatto di essere riveriti dalla gente, anche se da tutto questo può essere influenzata. La vera fonte della gioia è radicata più profondamente, cioè nel cuore stesso, nella sua più remota intimità. Ivi abita Dio e Dio stesso è la fonte della gioia.»

La dimensione trascendente

Frère Éric, Visitazione, Taizé), Chiesa della Riconciliazione

La gioia cristiana è un frutto dello Spirito e non può essere ricercata per se stessa. È gratuita e dono inaspettato. Essa, infatti, è la conseguenza del raggiungimento di qualcosa di importante per il soggetto (il «tesoro in mezzo al campo» o la «perla preziosa» delle parabole evangeliche).
Per tutti i consacrati è sempre aperto, quindi, il cammino della conversione. Il dono e la gratuità della gioia non esime dall’impegno e dalla fatica di riporre continuamente al centro della propria identità e del proprio desiderio la relazione con Cristo, l’identificazione a Cristo e l’assunzione della sua passione per il regno. Anche la stessa relazione di Gesù è costruita sulla totale disponibilità a ricercare la volontà del Padre, unica sorgente di amore. Essa è una relazione fonte di gioia per il Figlio: compiere la volontà del Padre, che ama il Figlio, è assumere e vivere del cuore stesso di Padre. Nello stesso tempo è fonte di gioia del Padre stesso: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento» (Mt 3,17).

Cercate il regno di Dio e la sua giustizia

Alle persone consacrate si conformano bene le parole del Vangelo: «Cercate anzitutto il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta» (Mt 6,33). Tra le «cose date in aggiunta» dovrà fare parte anche la gioia: sarà donata a chi cerca per prima cosa il regno di Dio e la sua giustizia. Il senso di questa indicazione apre una via pedagogica-esistenziale. La gioia è la conseguenza di un orientarsi verso il regno secondo la logica del chicco di grano che cade a terra e muore, e alla fine produce molto frutto (cf. Gv 12,24).

«Guai a me se non annuncio il Vangelo!» (1Cor 9,16)

A partire da questa intensa affermazione di san Paolo, si può rilevare come il processo di appropriazione della fede, cioè della relazione con Cristo, è un cammino di personalizzato. Condividere la fede e annunciarla contribuiscono a rendere personale e profonda l’adesione alla fede in Gesù Cristo. Non solo una fede compresa, provata, condivisa, ma anche annunciata. Tale sequenza pedagogica diviene necessario esercizio per giungere a rendere profonda la relazione con Cristo. Paolo esprimerà nella sua seconda lettera ai Corinti questo invito a rendere nota la parola della fede, chiedendo loro di diventare «collaboratori della gioia» (2Cor 1,24).
Per Paolo è divenuta una necessità, una ragione totale di vita per consumare la sua vita e la sua persona a favore del Vangelo di Gesù Cristo. La centralità di Gesù Cristo definisce l’identità stessa di Paolo: annunciare la novità del Vangelo non è un vanto ma una necessità vitale.

La tua legge è la mia gioia (Sal 119,77)

Cogliendo alcune definizioni che la vita consacrata dice di sé nei documenti del magistero e in rapporto alle dinamiche antropologiche, si evidenzia che nelle persone consacrate la gioia indica la qualità del dono della propria esistenza.
La gioia è la coordinata evidente della scelta di appartenere a Dio con tutto se stessi e lo strumento di efficacia della testimonianza aperta alla chiesa e alla comunità umana, esercitando il servizio secondo il carisma proprio di ogni gruppo di consacrati. La bellezza della vita in Cristo non appare senza la gioia.
Negli anni dopo il Vaticano II, la vita consacrata ha modificato progressivamente la definizione che ha dato di sé e la sua autocoscienza identificazione a Cristo. Ripensando la proposta evangelica, i credenti sono chiamati a camminare verso la perfezione, quale progressiva. L’idea della vita consacrata come scelta eccellente, unica e fatta dai consacrati come categoria di perfetti, separati dal mondo, non ha avuto più continuità. È stata una rivoluzione di mentalità per le persone consacrate che ha interessato, e coinvolge ancora, il modo di percepirsi come uomini e donne prima che come discepoli dentro classi predefinite. È un modo di pensarsi nuovo.
Agli uomini e donne consacrate si è aperta una sfida che invita a stare nel mondo con la propria umanità, fatto del corpo, della mente e del cuore. Così «la rivoluzione cui far fronte, come consacrati, insieme a tutti i nostri fratelli e sorelle in umanità, non riguarda più il cielo delle stelle, ma il cuore degli uomini e delle donne».
Come abbiamo affermato, la gioia nasce dall’appartenenza a Dio e dal condividere, quale dono di grazia, nella speranza e nella fiducia ciò che sta nel suo cuore di Padre. Riportando alcune parole citate all’inizio di questa riflessione, affermiamo che per tutti i credenti in Cristo vale la gioia del Vangelo. Essa «riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano Gesù» (EG 1). La condivisione è totale, anche della gioia di Cristo (cf. Gv 15,11).

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